LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1439/2013 R.G. proposto da:
Promoplast s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Sara Armella e Maria Antonelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, sito in Roma, piazza Gondar, 22;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 36, depositata il 24 maggio 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
RILEVATO
CHE:
– la Promoplast s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 24 maggio 2012, che, accogliendo l’appello principale dell’ufficio e rigettando quello incidentale della contribuente, ha dichiarato la legittimità dell’avviso di rettifica dell’accertamento emesso per infedele dichiarazione doganale in ordine alla qualità della merce importata;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo muove dalla contestazione della classificazione, operata nella dichiarazione, della merce importata sotto la voce di “giocattoli raffiguranti animali soggetti non umani”, ritenendo, invece, che la stessa rientrasse nella diversa voce “modelli ridotti e modelli simili per il divertimento – altri”, la quale è prevista l’applicazione del dazio nella misura del 4,7%;
– il giudice di appello, in riforma della sentenza impugnata, ha evidenziato che i prodotti importati dalla contribuente, raffiguranti personaggi di fantasia, noti per la loro diffusione tramite opere audiovisive e fumetti, presentano caratteristiche proprie delle figure umanoidi, così come indicate nelle note esplicative della voce di riferimento, sia per la struttura, sia per la tipologia dei personaggi raffigurati;
– il ricorso è affidato a sette motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;
– la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. CONSIDERATO CHE:
– con il primo motivo la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto della motivazione;
– il motivo è infondato;
– come già rilevato, il giudice di appello è giunto alla conclusione della legittimità dell’atto impugnato e, conseguentemente, della infedeltà della dichiarazione doganale in ragione del fatto che le note esplicative pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee per i codici la cui applicazione è invocata dall’Ufficio comprendono le figure umanoidi rappresentanti personaggi di film o di fumetti, privi di parti mobili e di indumenti staccabili e fissi su supporto, e che i prodotti importati dalla contribuente “presentano proprio tali caratteristiche sia per la struttura sia per quanto riguarda la tipologia di persone raffigurati, che non possono essere semplici animali”, come, invece, sostenuto dalla parte;
– aggiunge che “i “personaggi raffigurati presentano una serie di caratteristiche che li rendono affinità essere umani, parlano, ragionano, camminano in posizione eretta, sono dotati di mani, indossano vestiti, per cui debbano, senza ombra di dubbio, essere considerati umanoidi”, secondo l’accezione propria del termine;
– una siffatta argomentazione rende percepibile l’iter logico seguito dal giudice per la formazione del suo convincimento e, di conseguenza, permette un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento;
– con il secondo deduce l’omessa motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione alla classificazione dei prodotti importati sotto la voce doganale che include le figure umanoidi, anzichè a quella, indicata dalla società, che include giocattoli raffiguranti animali soggetti non umani;
– il motivo è inammissibile, in quanto non inerisce ad un fatto – e alla ricognizione della fattispecie concreta effettuata dal giudice di appello a mezzo delle risultanze di causa -, ma a un giudizio di diritto, vertente sulla applicazione della norma di diritto relativa alla tariffa doganale delle Comunità Europee (cfr., sull’oggetto del vizio di motivazione censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, Cass., ord., 28 settembre 2017, n. 22707; Cass. 4 agosto 2017, n. 19567);
– con il terzo motivo la contribuente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine ai motivi dell’appello incidentale proposto;
– il motivo è infondato;
– la Commissione regionale ha ritenuto che l’appello incidentale dovesse essere rigettato in quanto l’accoglimento dell’appello principale dell’Ufficio, per le ragioni indicate della motivazione, rivestisse “carattere assorbente di ogni altra motivazione inerente giudizio”, aggiungendo che i motivi del gravame incidentale “non presentano un riscontro giuridico tale da poter far dichiarare di legittimità dell’atto impugnato”;
– si è, dunque, in presenza di una pronuncia di assorbimento in senso improprio che ricorre quando la decisione assorbente esclude, secondo la valutazione del giudice, la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande;
– in tali casi l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (cfr. Cass., ord., 16 gennaio 2019, n. 879; Cass., ord., 12 novembre 2018, n. 28995);
– con il quarto motivo si critica la decisione impugnata per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, in relazione alla mancata dichiarazione della nullità dell’atto impugnato per inosservanza del termine di sessanta giorni intercorrente tra la notifica del processo verbale e quella dell’atto impositivo, oggetto di motivo dell’appello incidentale;
– il motivo è infondato;
– in tema di avvisi di rettifica in materia doganale, è inapplicabile l’invocato L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, operando in tale ambito il jus speciale di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, nel testo utilizzabile ratione temporis, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto all’impugnazione in giudizio del suddetto avviso (cfr. Cass. 2 luglio 2014, n. 15032; Cass. 5 aprile 2013, n. 8399).
– il rispetto del principio del contraddittorio nella fase amministrativa deriva, dunque, dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, e costituisce, in ogni caso, un principio fondamentale del diritto dell’Unione, per cui ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione medesima intende fondare la sua decisione, quand’anche la normativa nazionale applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (cfr. Corte Giust. 3 luglio 2014, Kamino; tra la giurisprudenza domestica, cfr. Cass., ord., 23 maggio 2018, n. 12832);
– tuttavia, tale principio generale può soggiacere a restrizioni, in relazione al perseguimento di obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., altresì, Corte Giust., 9 novembre 2017, Ispas);
– è stato, in proposito, evidenziato, con riferimento alle decisioni delle autorità doganali, che l’interesse generale dell’Unione Europea, e, in particolare, l’interesse a recuperare tempestivamente le entrate proprie, impone che i controlli possano essere realizzati prontamente ed efficacemente (cfr. Corte Giust., 18 dicembre 2008, Sopropè);
– conseguentemente, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo prevede la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’art. 244 codice doganale, benchè la proposizione di un ricorso amministrativo non sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione di tale articolo non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato (così, Corte Giust., 20 dicembre 2017, Preqù);
– in ogni caso, in tema di tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale comporta l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui – non ricorrente nella specie – il contribuente assolva all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere (cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823);
– con il quinto motivo si critica la decisione impugnata per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, in relazione alla violazione del principio del legittimo affidamento del contribuente, formatosi in ragione in ragione di precedenti analoghe operazioni, sempre avallate dall’Ufficio;
– il motivo è inammissibile, in quanto si fonda sul presupposto – non accertato nella sentenza, nè evincibile, comunque, dalla stessa – che l’Ufficio abbia omesso si procedere alla rettifica degli accertamenti relativi a dichiarazioni doganali rese per l’importazione di prodotti di identica natura;
– con il sesto motivo di ricorso la contribuente lamenta la violazione del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, per aver il giudice di appello omesso di rilevare il difetto di motivazione dell’atto impositivo, nonchè l’insussistenza degli elementi di fatto e di diritto necessari affinchè l’Ufficio possa procedere alla rettifica della voce doganale dichiarata;
– il motivo è inammissibile, in quanto la mancata riproduzione dell’atto impositivo non consente a questa Corte di poter effettuare un sindacato in ordine alla implicita decisione della Corte regionale di insussistenza dell’eccepito vizio;
– con l’ultimo motivo di ricorso la società allega la violazione Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, art. 220, per aver il giudice di appello escluso che ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’esimente di cui alla richiamata disposizione normativa, in presenza di un errore delle autorità doganali, che avevano omesso qualsiasi contestazione in occasione di analoghe operazioni effettuate in precedenza, e della buona fede della contribuente, resa evidente dalla previa acquisizione di informazioni in ordine alla correttezza della voce da dichiarare presso l’autorità doganale francese;
– anche questo motivo è inammissibile in quanto si fonda sul presupposto – non accertato nella sentenza, nè evincibile, comunque, dalla stessa – che l’Ufficio abbia omesso si procedere alla rettifica degli accertamenti relativi a dichiarazioni doganali rese per l’importazione di prodotti di identica natura e che la condotta della contribuente si sia conformata alle indicazioni ricevute dalle autorità doganali;
– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.400,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019