Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26507 del 17/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27479 – 2018 R.G. proposto da:

S.L. – c.f. ***** – S.V. – c.f. *****

– elettivamente domiciliate in Roma, alla via di Trasone, n. 20, presso lo studio dell’avvocato Giulio Mazzone che le rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.

RICORRENTI

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore.

INTIMATO avverso il decreto n. 964/2018 della corte d’appello di Roma;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2019 dal consigliere Dott. Abete Luigi.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto notificato il 17.2.1983 Se.An. e Se.Ti. citavano Se.Si. a comparire dinanzi al tribunale di Cagliari.

Chiedevano farsi luogo a divisione ereditaria.

All’esito del decesso – in data ***** – di Se.An. intervenivano, quali sue eredi, con atto del 4.4.2006, S.L. e S.V..

Con sentenza in data 9.2.2011 l’adito tribunale definiva il giudizio.

Con ricorso ex lege n. 89 del 2001 alla corte d’appello di Roma depositato il 10.9.2012 S.L. e S.V. si dolevano per l’irragionevole durata del giudizio summenzionato e chiedevano che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponder loro un equo indennizzo.

Il Ministero della Giustizia non si costituiva.

Con decreto n. 964/2018 la corte d’appello di Roma condannava il Ministero della Giustizia a corrispondere a S.L. e a S.V., iure hereditatis e pro quota, l’equo indennizzo di Euro 750,00 nonchè a corrispondere a S.L. iure proprio l’equo indennizzo di Euro 750,00 e a S.V. iure proprio l’equo indennizzo di Euro 750,00; condannava il Ministero alle spese di lite.

Evidenziava la corte che S.L. e S.V. avevano diritto, iure hereditatis e pro quota, all’equo indennizzo spettante alla loro dante causa con riferimento alla durata irragionevole del giudizio “presupposto”, limitatamente al periodo compreso tra il 17.2.1983, di notifica dell’atto introduttivo del giudizio “presupposto”, ed il *****, di decesso della loro dante causa.

Evidenziava la corte che S.L. e S.V. avevano diritto, iure proprio, all’equo indennizzo con riferimento alla durata irragionevole del giudizio “presupposto” limitatamente al periodo compreso tra il 4.4.2006, di in cui erano intervenute nel giudizio “presupposto”, ed il 9.2.2011, di del deposito della sentenza che aveva definito il medesimo giudizio.

Evidenziava ulteriormente che alla durata irragionevole del giudizio “presupposto” maturata antecedentemente al decesso della de cuius non era cumulabile la durata del giudizio successiva all’intervento delle eredi in dipendenza della diversità dei titoli fatti valere.

Avverso tale decreto hanno proposto ricorso S.L. e S.V.; ne hanno chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Con l’unico motivo le ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3.

Deducono che, indipendentemente dal momento in cui hanno acquistato la qualità di parte nel giudizio “presupposto”, in quanto eredi di Se.An., il pregiudizio da irragionevole durata del giudizio “presupposto”, in virtù del principio di cui all’art. 2909 c.c., è ad esse ascrivibile sin dal decesso della loro dante causa.

Deducono segnatamente che si soffre l’irragionevole durata del giudizio “presupposto” in quanto destinatari sostanziali della pronuncia giurisdizionale.

Deducono quindi che la corte distrettuale avrebbe dovuto uniformarsi al precedente n. 26931/2006 di questa Corte di legittimità – appieno conforme alla giurisprudenza della Corte E.D.U. – alla cui stregua l’erede, ancorchè non costituito nel giudizio “presupposto”, è legittimato iure proprio a far valere il diritto all'”equo indennizzo” per il periodo successivo alla morte del de cuius.

Il ricorso è inammissibile propriamente ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

La corte di Roma invero ha regolato le questioni di diritto che la vicenda de qua e l’esperito mezzo di impugnazione involgono in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

In particolare l’insegnamento di questa Corte n. 23939 del 9.11.2006 (secondo cui in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, spetta agli eredi la legittimazione alla proposizione della domanda di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo promosso dal loro dante causa prima dell’entrata in vigore della citata legge e, conseguentemente, va riconosciuto agli eredi, “pro quota”, l’equo indennizzo che sarebbe stato liquidato al loro dante causa per l’eccessiva durata del processo da lui promosso sino alla data della sua morte, al quale va aggiunto l’indennizzo (eventualmente) spettante per intero a ciascuno degli eredi per l’eccessiva durata della fase del processo successiva alla sua riassunzione)” richiamato nel decreto impugnato, è stato ribadito con la pronuncia n. 2752 del 4.2.2011 di questa Corte.

In particolare gli insegnamenti di questa Corte n. 21646 del 19.10.2011 (secondo cui in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo presupposto, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo “iure proprio” dovuto al superamento del predetto termine, soltanto a decorrere dalla sua costituzione in giudizio) e n. 4003 del 19.2.2014 (secondo cui in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, qualora la parte del giudizio presupposto sia deceduta, l’erede ha diritto all’indennizzo “iure proprio” solo per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria costituzione, la quale – come confermato dalla C.E.D. U., con sentenza del 18.6.2013, “Fazio ed altri c. Italia”- è condizione essenziale per far valere la sofferenza morale da ingiustificata durata del processo), del pari richiamati nel decreto impugnato, sono stati ribaditi con la pronuncia n. 3001 del 3.2.2017 e con la pronuncia n. 183 del 5.1.2017 di questa Corte.

In ogni caso si rimarca che con la citata pronuncia n. 4003/2014 questa Corte ha dato atto che l’opzione ricostruttiva per cui l’erede ha diritto all’indennizzo “iure proprio” solo per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria costituzione, rinviene riscontro della giurisprudenza della Corte E.D.U., segnatamente nella sentenza del 18 giugno 2013, “Fazio ed altri c. Italia”.

Non sussistono quindi nè la denunciata violazione nè la denunciata falsa applicazione di legge.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese. Nonostante la declaratoria di inammissibilità del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese va pertanto assunta.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. sez. un. 28.5.2014, n. 11915).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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