LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
UniCredit s.p.a., in persona di quadri direttivi L. E. e M. R., come da st. soc. e Delib. CdA per procura notaio B.
21.12.2012, elett. dom. in Roma, via Cipro n. 77 presso lo studio dell’avv. Cristina Speranza, con l’avv. Filippo Testa, che la rappr.
e dif. come da procura a margine dell’atto;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** s.r.l., in persona del cur. fall. p,t., rappr. e dif. dall’avv. Lu.Ni., elett. dom. in Roma, presso lo studio dell’avv. Corrado Morrone, in viale Ventuno Aprile n. 11, come da procura a margine dell’atto;
– controricorrente –
per la cassazione del decreto Trib. Campobasso 21.11.2013, n. 791/12, Rep. n. 3045/13;
vista l’istanza di improcedibilità, proposta dal Fallimento;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro alla camera di consiglio del 9.10.2019;
il Collegio autorizza la redazione de provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. UniCredit s.p.a. impugna il decreto Trib. Campobasso 21.11.2013, n. 791/12, Rep. n. 3045/13 che, in accoglimento della domanda di “revocazione” del proprio credito – già ammesso nello stesso passivo del fallimento ***** s.r.l. per 86.792,86 Euro in chirografo – e per come proposta dal corrispondente curatore avverso l’originario decreto del giudice delegato, ne ha disposto l’esclusione;
2. per il tribunale, così qualificata l’iniziativa dell’organo concorsuale, doveva darsi ingresso alle risultante dei giudizio di primo grado (opposizione a decreto ingiuntivo), intercorso tra la stessa banca e la società ancora in bonis, culminato in una sentenza favorevole a la debitrice, benchè emessa dopo il suo fallimento e prima della esecutività dello stato passivo, però recante l’accertamento, ad opera dello stesso tribunale, che nulla era dovuto alla banca, avendo essa praticato sugli stessi due conti correnti richiamati nell’insinuazione tassi d’interesse illegittimamente anatocistici, come illustrato dalla CTU e dalla pronuncia, che addirittura fissava un credito di restituzione in capo alla società; ricorrendo la fattispecie dell’errore di fatto, s’imponeva l’accoglimento della domanda di revocazione, non essendovi stata nel giudizio parallelo alcuna deduzione del fallimento quale atto interruttivo, nè potendosi ammettere il credito della banca con riserva, posto che la citata sentenza non accertava il credito ma piuttosto lo negava;
3. il ricorso è su quattro motivi, ad esso resiste il fallimento con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo si contesta la nullità della decisione, emessa verso UniCredit s.p.a., quando invece la parte costituita in giudizio era la società mandataria della banca, cioè UniCredit Credit Management Bank s.p.a., senza che la prima avesse assunto la qualit’ di parte;
2. con il secondo motivo viene contestata la violazione della L. Fall., art. 98 e art. 112 c.p.c., poichè l’iniziativa del curatore, denominata “impugnazione del credito ammesso”, era stato d’ufficio riqualificata come revocazione, quale non poteva essere, poichè proposta nei 30 giorni dall’emissione del provvedimento impugnato e senza che la curatela avesse dato prova dell’acquisizione solo tardiva di documenti per causa non imputabile, e cioè dell’esito del giudizio sull’opposizione al decreto ingiuntivo e della relativa consulenza; altro vizio era poi nell’agire del tribunale che, sostituendosi all’opponente, aveva ordinato l’acquisizione della CTU, onere di produzione prima non assolto dal curatore;
3. il terzo motivo indica ancora la carenza d’interesse ad impugnare e il vizio di motivazione, poichè il curatore nulli aveva osservato o eccepito in sede di formazione dello stato passivo, salvo la sottrazione degli interessi anatocistici eventualmente calcolati e il decreto del giudice delegato era conforme;
4. con il quarto motivo, oltre al vizio di motivazione, si solleva la violazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., avendo il tribunale fatto propria una risultanza di altro processo ancora cointestata, stante la pendenza dell’appello e comunque errata, poichè la Banca restava creditrice di altra somma, anche al netto di interessi e spese non dovuti;
5. va disattesa l’istanza di improcedibilità, formulata dal curatore fallimentare e con l’allegazione del decreto di chiusura della procedura concorsuale, poichè, al di là della omessa documentazione dell’avvenuta definitività di detta chiusura, trova applicazione nella vicenda il principio, più volte espresso da questa Corte, per cui “in tema di giudizio di cassazione, sussiste la legittimazione processuale del curatore fallimentare se, al momento della notifica del ricorso, il decreto di chiusura del fallimento non sia ancora definitivo; così come nell’ipotesi in cui la legittimazione del curatore venga meno nella pendenza del giudizio, in quanto in esso non trovano applicazione gli artt. 299 e 300 c.p.c., n’è trova applicazione il principio generale secondo cui la chiusura del fallimento fa cessare la legittimazione processuale del curatore, con il conseguente sub ingresso del fallito, tornato “in bonis”, nei procedimenti pendenti al momento della chiusura” (Cass. 4514/2019, 25603/2018);
6. il primo motivo è inammissibile, per un verso apparendo sul punto il ricorso carente di specificità ove richiama la destinatarietà soggettiva del decreto collegiale ora impugnato senza raccordarla in modo più chiaro con la titolarità della iniziativa di ammissione al passivo che, dal tenore del predetto decreto, risulterebbe riferibile alla stessa banca UniCredit s.p.a. ed invero così considerata creditore concorsuale già dal giudice delegato in sede di provvedimento di ammissione; per altro verso, si osserva che “l’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c. e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine soggetti cui la decisione si riferisce” (Cass. 22275/2017, 5660/2015 e, poi, 19437/2019); nella vicenda è invero non controverso che è stato fatto valere il credito di UniCredit s.p.a., con piena accettazione del contraddittorio della controparte della curatela, nè potendosi affermare, ai fini della invocata nullità, che la pronuncia sia stata “resa nei confronti di soggetto che non aveva assunto, nè avrebbe mai potuto assumere, la qualità di parte in causa in proprio, non avendo mai intentato l’azione o ad essa resistito nel corso del processo in tale qualità” (Cass. 3766/2018);
7. il secondo motivo è inammissibile, pur con necessaria correzione della motivazione; con esso la banca investe la qualificazione della domanda, erroneamente ascritta all’istituto di cui alla L. Fall., art. 98, comma 4, ma sul punto non appare contestato che l’iniziativa del curatore abbia assunto a prova, per far rimuovere il credito già ammesso al passivo da parte del giudice delegato, gli elementi istruttori, oltre che gli esiti, di un diverso giudizio nel frattempo definito, oggettivamente non considerati nella sede della verifica sommaria e per la prima volta, nella pienezza del contraddittorio fra le parti, esaminati dal collegio; ciò che rileva è dunque se dall’istituto assunto nella pronuncia del tribunale a presupposto dell’accoglimento della impugnazione e nonostante la norma di riferimento, quell’errore di fatto, per come descritto, sia compatibile con la decisione finale; la risposta è affermativa;
8. va infatti premesso che nessun vincolo precludeva al giudice una diversa qualificazione della domanda del curatore rispetto alla denominazione fattane dalla parte, in virtù del principio per cui “il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione” (Cass. 13602/2019); in realtà l’aver qualificato la domanda ai sensi della L. Fall., art. 98, comma 4, dunque introducendo un regime addirittura più rigoroso rispetto a quello cui sono assoggettati gli impugnanti che esperiscano i mezzi di cui ai commi 2 e 3, della stessa disposizione, non spiega alcuna rilevanza nella struttura argomentativa del tribunale, pur essendo comunque errato, ma per altre ragioni; non vi è infatti alcuna tardività dell’iniziativa rispetto ai 30 giorni canonici della L. Fall., art. 99, comma 1, perchè a detta dello stesso attuale ricorrente il mezzo era stato depositato all’interno e non ft ori da tale termine; ed anche la discussione sulla non imputabilità dei documenti richiamati appare irrilevante, sia perchè la decisione è piuttosto orientata a conferire decisività all’errore sul fatto in sè (cioè al merito) più che ai documenti del giudizio parallelo e favorevole alla società debitrice, sia perchè tutta la motivazione del tribunale fa leva su una ricostruzione del debito bancario rivista, alla luce della CTU e della sentenza, secondo la corretta regola della illiceità dell’anatocismo; si tratta di circostanza, in tal senso dovendosi correggere la motivazione e dunque indicando la domanda come vera e propria impugnazione del credito ammesso L. Fall., ex art. 98, comma 3, che è stato oggetto di pieno contraddittorio, subendo in questa sede odierna censura i limiti della novellazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014); ne consegue l’inammissibilità anche del quarto motivo;
9. il terzo motivo è inammissibile, poichè – corretta la motivazione come sopra anticipato – la contestazione impugnatoria da parte del curatore è comunque avvenuta nei termini ordinari compatibili con il rimedio di cui alla L. Fall., art. 98, comma 3, posto che “avverso il decreto di esecutività dello stato passivo possano essere proposte solo l’opposizione (da parte dei creditori o dei titolari di diritti su beni), l’impugnazione (da parte del curatore o di creditori avverso un credito ammesso) o la revocazione. Ciascuno di tali rimedi, peraltro, può essere utilizzato, dal soggetto legittimato, esclusivamente entro il termine di cui alla L. Fall., art. 99… atteso che, ove il termine sia ancora pendente, non può che essere proposta l’impugnazione a sè spettante” (Cass. 24889/2016, 21581/2018); ed opera per il curatore principio analogo alla non acquiescenza vigente quanto alla relazione tra mancate osservazioni al progetto di stato passivo ed impugnazione del creditore (Cass. 19937/2017, 5659/2012);
10. il curatore non è cioè impedito all’impugnazione del credito ammesso ancorchè il provvedimento del giudice delegato rifletta il progetto di cui alla L. Fall., art. 95; tale autonomia discende sia dalla terzietà della decretazione del giudice delegato, sia dalla legittimazione senza vincoli esplicitata nel sistema dalla L. Fall., artt. 98 e 99, che solo presuppongono, rispettivamente, la contestazione di un credito ammesso e i termini dell’iniziativa (oltre a più stringenti requisiti per la revocazione); il che rende inutile l’aggiramento dell’istituto e la sovrapposizione operata con la revocazione, per come inserita dal tribunale, poichè la valorizzazione dell’errore di fatto in realtà è, nel decreto, funzionale a dare risalto non tanto ad una cattiva o imperfetta percezione del materiale probatorio già versato avanti al giudice delegato, bensì ad altro, in allora non esaminato ma del tutto pertinente ai fini del disconoscimento del credito; diviene così inammissibile, anche per questa parte, la censura, poichè sul decreto del giudice delegato, grazie alla tempestiva impugnazione del credito ammesso, quale operata dal curatore, non si era formato alcun giudicato, nè vi è contestazione di mutamento della causa petendi rispetto a quella accompagnante la domanda di credito, riferendosi gli esiti del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (con i relativi elementi istruttori) esattamente al medesimo credito insinuato; ed il loro complessivo apprezzamento, come visto, sfugge al sindacato di legittimità;
4. il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna del ricorrente alle spese secondo la regola della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 5.200 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019
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