Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26595 del 18/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.R., domiciliato in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dall’avv. Federico Lera, che indica per le comunicazioni e gli avvisi di cancelleria il fax ***** e la p.e.c.

studiolegale.pec.lera.it;

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di *****, rappresentati e difesi, ope legis, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi 12, sono elettivamente domiciliati con indicazione per le comunicazioni e gli avvisi di cancelleria del fax ***** e della p.e.c.

ags.mail.cert.avvocaturastato.it;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 104/2018 della Corte di appello di Genova emessa in data 14 dicembre 2017 e depositata in data 22 gennaio 2018 R.G. n. 270/2017;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Giacinto Bisogni.

RILEVATO

CHE:

1. Il sig. M.R., cittadino del Bangladesh, nato il *****, ha chiesto alla competente Commissione territoriale di ***** (sez. di *****) la protezione internazionale o in subordine la protezione umanitaria esponendo di aver lasciato il Bangladesh per poter mantenere la propria famiglia, in seguito a una controversia che lo aveva privato dei terreni da cui traeva il reddito. Si era recato quindi in Libia dove aveva trovato una occupazione confacente alle sue esigenze ma in seguito alla guerra civile, scoppiata in seguito alla crisi del regime politico del colonnello Gheddafi, aveva dovuto abbandonare il paese per recarsi in Italia.

2. La Commissione territoriale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria avendo il richiedente rappresentato una migrazione motivata da ragioni esclusivamente economiche.

3. Il Tribunale di Genova con ordinanza del 29 aprile 2016 e la Corte di Appello con sentenza n. 104/2018 hanno respinto il ricorso del sig. M.R. condividendo le ragioni già espresse dalla Commissione territoriale e ritenendo insussistente, ai fini della possibile concessione della cd. protezione umanitaria, una situazione di vulnerabilità del richiedente asilo in caso di rientro in patria. Nessuno specifico motivo era stato addotto, in relazione alla situazione del Bangladesh, tale da incidere negativamente sulle condizioni personali del richiedente che, per altro verso, non aveva dimostrato alcun radicamento sociale e familiare in Italia nè aveva prospettato e dimostrato ragioni di salute che impedissero il rientro in Bangladesh.

4. Ricorre per cassazione il sig. M.R. con un unico motivo di impugnazione con il quale afferma la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, de1 D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il T.U., art. 5, comma 6, in materia di immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1998). Il ricorrente, ai fini della concessione della protezione umanitaria, invoca la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. sez. 1 n. 4455/2018) secondo cui in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

5. Si difende con controricorso il Ministero dell’Interno unitamente alla Commissione territoriale di *****.

RITENUTO

CHE:

6. Il ricorso è inammissibile. La Corte di Appello ha compiuto il raffronto fra la situazione che il ricorrente subirebbe nel caso di rientro in patria e quella di cui potrebbe godere in Italia, per effetto del suo percorso, già in atto, di integrazione, ed è pervenuta alla decisione di rigetto dell’appello rilevando che la motivazione dell’espatrio, cui lo stesso sig. M.R. ha fatto riferimento nella proposizione della richiesta di protezione, è esclusivamente economica e non è affatto legata a una situazione di violenza indiscriminata o di privazione generalizzata dei diritti fondamentali in Bangladesh, situazione che peraltro è stata esclusa dalla Corte di appello, sulla base delle informazioni ritraibili dai siti ***** e *****, nella valutazione della domanda di protezione sussidiaria rispetto alla quale il ricorrente non ha proposto alcuna impugnazione. Nè può ritenersi che le difficoltà economiche che hanno portato all’espatrio possano integrare una condizione di violazione dei diritti fondamentali tale da privare il ricorrente della sua stessa dignità personale. Egli ha infatti descritto una situazione di contesa proprietaria endo-familiare che ha indotto alla vendita dei terreni che fornivano il reddito e che ha convinto il ricorrente a ricercare all’estero una condizione economica migliore sostanzialmente in suo favore data la sua giovane età al momento della sua partenza dal Bangladesh e all’attualità. Narrazione questa che ha portato i giudici del merito a ritenere, con una motivazione adeguata e coerente, che il sig. M.R. ha posto in essere una migrazione di carattere economico non compatibile con la richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna alle spese del giudizio di cassazione e la attestazione di applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, come specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 2.100, di cui 100 per spese, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2019

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