Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26683 del 21/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18701-2(118 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3430/3/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CALABRIA, depositata il 18/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI PRISCOLI LORENZO.

FATTI DI CAUSA

Rilevato:

che la contribuente impugnava l’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2008 e 2009 per IRPEF con il quale l’Ufficio aveva rettificato, aumentandolo, il reddito;

che la Commissione Tributaria Provinciale, pur riconoscendo legittimo il ricorso al metodo di calcolo del reddito D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo del 30% il reddito determinato dall’Ufficio;

che la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello della contribuente ritenendo che “l’Ufficio ha provveduto ad un vero e proprio accertamento analitico chiedendo giustificazione per ogni operazione bancaria eseguita dalla contribuente, non considerando però la modifica dell’art. 32. Questa Commissione constata che se dall’avviso si escludono i versamenti non è possibile quantificare il dovuto e le sanzioni applicabili di conseguenza gli atti sono da annullare. Va comunque considerato che la maggior parte delle operazioni vengono giustificate dalla ricorrente e che per l’anno 2008 è emersa una minima incongruenza tra quello dichiarato e/o ritenuto giustificato e quanto accertato dall’Ufficio che di per se stesso giustificherebbe l’accoglimento del ricorso. Per quanto riguarda l’anno 2009 avrebbe fatto bene l’Ufficio a considerare i prelevamenti già riconosciuti legittimi e a meglio quantificare preventivamente la richiesta”;

che l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo di impugnazione mentre la società contribuente non si costituiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo vigente ratione temporis, in quanto la modifica del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ad opera del D.L. n. 193 del 2016 che limita l’efficacia delle presunzioni a versamenti e prelevamenti sopra un determinato importo, non avrebbe portata retroattiva e quindi la CTR sarebbe incorsa in errore laddove lamenta che l’Ufficio ha chiesto giustificazioni per “ogni” operazione bancaria effettuata.

Ritenuto quanto segue:

La modifica del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, non ha portata retroattiva in quanto già una precedente modifica del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 era stata da questa Corte considerata come non avere portata retroattiva: cfr. Cass. 31 ottobre 2018, n. 27845, sentenza secondo cui in tema di indagini bancarie, la presunzione legale relativa in favore dell’Amministrazione prevista, previa modifica del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 con riguardo ai versamenti effettuati su un conto corrente anche dai professionisti e dai lavoratori autonomi, non ha efficacia retroattiva, poichè si tratta di una norma che non riveste natura processuale, essendo quelle in tema di presunzioni abitualmente collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile.

Va considerato altresì che gli artt. 10 e 11 disp. gen. prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa disposizione (Corte Cost. 193 del 2017; nello stesso senso Corte Cost. n. 257 del 2017; Cass. 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23424; Cass. 30 maggio 2017, 13597), assente nel caso di specie.

Il principio di tendenziale irretroattività della legge civile è stato affermato anche dalla Corte di Giustizia (Grande Sezione, 6 settembre 2011, C-108/10, p. 83) e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo; quest’ultima ha ricondotto tale principio all’art. 6 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Raffineries greques Stran et Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, p. 37-50; Papageorgiou c. Grecia, 22 ottobre 1997, p.37; Agrati c. Italia, 8 novembre 2012, p.11: quest’ultima sentenza sottolinea altresì che una norma retroattiva si giustifica solo se obbedisce a ragioni imperative di interesse generale, non ravvisabili nel caso di specie).

La Corte costituzionale peraltro si è ripetutamente espressa nel senso che “va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo” (sentenze n. 132 del 2016 e n. 424 del 1993) ed ha altresì affermato che “il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore” (ex plurimis: sentenze n. 232 del 2016, n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011): nella specie tuttavia la norma prima non prevedeva alcun limite quantitativo e quelli che sono stati successivamente introdotti sono estremamente chiari e non costituiscono certo nè un chiarimento interpretativo nè una delle possibili varianti di senso della norma precedente, cosicchè, nel caso di specie, la norma successiva nnon può che definirsi come avente una portata spiccatamente innovativa.

Inoltre, la Consulta ha anche più volte affermato che il divieto di retroattività della legge, pur non essendo stato elevato a dignità costituzionale (salvo la previsione dell’art. 25 Cost. per la materia penale), costituisce fondamentale valore di civiltà giuridica, per cui, allorquando “una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore”, non è precluso al legislatore di emanare norme retroattive (sentenza n. 232 del 2016; n. 150 del 2015), che però, oltre a dover espressamente contenere come detto tale previsione di retroattività, deve altresì, al fine di superare indenni il vaglio di costituzionalità, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza ed essere sostenuta da adeguati motivi di interesse generale (ex multis, sentenze n. 232 del 2016, n. 69 del 2014 e n. 264 del 2012).

Ora, nel caso di specie, anche a voler prescindere da un lato come detto dall’assenza di un’espressa menzione della retroattività del nuovo art. 32 nel corpo della legge e dall’altro da un’indagine circa la ragionevolezza della norma, non si riscontrano quegli “adeguati motivi di interesse generale” richiamati dalla Consulta o quelle “ragioni imperative di interesse generale ” citate dalla Corte di Strasburgo elementi ritenuti necessari per sostenere la retroattività della norma, trattandosi anzi di disciplina che, prima facie, non appare certo assecondare gli interessi del Fisco e quindi della collettività in generale.

Deve altresì evidenziarsi che del nuovo testo dell’art. 20 non può predicarsi nè che sia portatore di “un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore” nè che persegua lo scopo di superare un “dibattito giurisprudenziale irrisolto”, così come richiesto dalla Consulta perchè ad una norma possa assegnarsi natura interpretativa.

Quanto infatti alla “interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore” la norma introduce dei limiti all’efficacia delle presunzioni della fattispecie che prima non erano previsti.

Quanto poi ad un ipotetico “dibattito giurisprudenziale irrisolto” mette conto considerare che la natura sostanziale e non retroattiva delle modifiche intervenute ad opera del D.L. n. 193 del 2016 non è mai stata posta in dubbio.

Occorre altresì considerare che in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 (Cass. 16 novembre 2018, n. 29572; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1519).

Pertanto erra la CTR laddove ha ritenuto che l’Ufficio abbia sbagliato nel momento in cui “ha provveduto ad un vero e proprio accertamento analitico chiedendo giustificazione per “ogni” operazione bancaria eseguita dalla contribuente, non considerando però la modifica dell’art. 32", quando invece, in relazione alla formulazione del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 vigente ratione temporis, l’Ufficio era legittimato a chiedere giustificazione per ogni operazioni bancaria eseguita dalla contribuente.

Ritenuto pertanto che il motivo è fondato e pertanto il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 21 ottobre 2019

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