Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26707 del 21/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8176-2018 proposto da:

S.F., P.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato GIANALBERTO FERRETTI, rappresentati e difesi dall’avvocato MAURIZIO CANNIZZO;

– ricorrenti –

contro

S.V., S.G.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 138, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO BACCHETTI, rappresentati e difesi dagli avvocati LIBORIO MAURIZIO COSTANZA, GIOVANNI CROSTA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2390/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ORICCHI ANTONIO.

RILEVATO

che:

è stata impugnata da S.F. ed a. la sentenza n. 2390/2017 della Corte di Appello di Palermo con ricorso fondato su due motivi e resistito con controricorso delle parti intimate.

Deve, per una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogarsi, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

La gravata decisione della Corte territoriale, accogliendo l’appello incidentale innanzi ad essa interposto dalle odierne parti controricorrenti, condannava – in parziale riforma – della decisione di primo grado- anche P.M. (in aggiunta a S.F.) al ripristino dello stato dei luoghi richiesto con l’atto introduttivo del giudizio dai S.V. e S.G..

La sentenza di primo grado, in data 20.12.2011, il Tribunale di Palermo – Sezione Distaccata di Partinico, aveva già parzialmente accolto la domanda degli attori – odierni controricorrenti con condanna del solo S.F. alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi delle porzioni comuni di un immobile in precedenza modificato.

Parti ricorrenti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1.- Col primo motivo del ricorso si denuncia –

testualmente così come da rubrica – “omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

2.- Il secondo motivo è così rubricato: ” omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

3.- Entrambi i motivi vanno trattati congiuntamente.

Gli stessi sono del tutto inammissibili.

Parti ricorrenti hanno, con detti motivi così come formulati, del tutto eluso quanto previsto dal novellato testo del pur invocato art. 360 c.p.c., n. 5.

Le medesime parti non hanno tenuto in nessun conto neppure quanto, in ordine alla concreta applicazione della detta norma, è stato chiaramente affermato da questa Corte a S.U..

Infatti in ricorso viene, con i motivi qui scrutinati, prospetatta censura in ordine alla succitata condanna estesa dalla Corte alla P.M., di cui si adduce la estraneità alla vicenda oggetto della controversia.

Orbene, a prescindere dal merito della detta estensione alla P. della condanna alla rimessione in pristino (invocata fin dall’atto introduttivo) deve osservarsi e ritenersi quanto segue.

Parti ricorrenti – col ricorso alla norma invocata- non hanno, come dovevano, addotto uno specifico fatto o atto o documento o atto testuale od extratestuale la cui valutazione era stata eventualmente omessa dalla Corte.

Il mero ripercorrere, in fatto, la narrativa delle vicenda secondo il proprio convincimento di parte è del tutto inidoneo a fondare le censure mosse dal ricorso alla stregua di quanto oggi previsto dal novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Al riguardo deve rammentarsi che: “l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della Corte di cassazione.

Ne consegue che: a) l'”omesso esame” non può intendersi che “omessa motivazione”, perchè l’accertamento se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione; b) i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari; c) è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, si risolvano (ma non è il caso di specie) in una sostanziale mancanza di motivazione (Sez. 1, Sentenza n. 7983 del 04/04/2014).

Da ultimo, va ricordato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). In definitiva, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione ” (Cass., S.U., Sent. 7 aprile 2014, n. 8053).

I motivi sono, quindi, del tutto inammissibili.

4.- Il ricorso va, dunque, dichiarato – nel suo complesso-inammissibile.

5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

5.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna le parti ricorrenti, in solido, al pagamento in favore di quelle controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 5 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 21 ottobre 2019

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