Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26711 del 21/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20.5-H-2017 proposto da:

BANCA MONTE PASCHI SIENA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BOSIO 2, presso lo studio dell’avvocato LUCONI MASSIMO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NIDIACI TOMMASO, CORSANI CARLOTTA;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE CIESSE SRL in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati BECONI PAOLA, MORADEI DONATA, MONTICELLI SABRINA;

– controricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CLAUDIO MONTEVERDI 20, presso lo studio dell’avvocato LEPONE ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSATI PAOLO MARCELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 932/2017 della CORTE D’ APPELLO di depositata il 26/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCODITTI ENRICO.

RILEVATO

Che:

Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Prato, B.M. e Immobiliare Ciesse s.r.l. proponendo azione revocatoria della compravendita stipulata in data 1 dicembre 2003. Il Tribunale adito accolse la domanda. Avverso detta sentenza proposero appello entrambi i convenuti. Con sentenza di data 26 aprile 2017 la Corte d’appello di Firenze accolse gli appelli, rigettando la domanda.

Osservò la corte territoriale che l’unico credito provato da M.P.S. prima della vendita era la concessione di mutuo per Euro 60.000,00, debito rispetto al quale non arrecava alcun pregiudizio la vendita dato l’ingente patrimonio immobiliare del debitore, mentre gli ulteriori crediti fra il 2005 e 2006 erano successivi alla vendita, e che mancava la prova della dolosa preordinazione di arrecare danno al debitore, considerato che era la stessa creditrice a non ritenere fino all’agosto 2006 il B. debitore insolvente (non risultava prodotta alcuna diffida ad adempiere o richiesta di restituzione), avendogli peraltro concesso finanziamenti nel periodo 2005/2006. Aggiunse che il prezzo pattuito di Euro 1.115.546,90 era in linea con i prezzi di mercato, prezzo versato presso la banca, il che, stante il rischio che la banca potesse trattenere l’importo per il caso di insolvenza, induceva ad escludere ogni volontà fraudolenta.

Ha proposto ricorso per cassazione Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. sulla base di due motivi e resistono con distinti controricorsi le parti intimate. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Osserva la ricorrente che, anche volendo sostenere che il credito della banca fosse insorto successivamente alla vendita, risultava provata la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria sulla base di presunzioni (ed in particolare il ruolo svolto da B.F., fratello del debitore ed amministratore della società acquirente fino a due giorni prima della vendita, nonchè il prezzo non di mercato) e che, mentre la prova della scientia damni del debitore era in re ipsa, anche la società acquirente non poteva non conoscere la situazione finanziaria del venditore (considerata anche l’iniziativa del fratello di rassegnare le proprie dimissioni dall’incarico di amministratore due giorni prima della vendita). Aggiunge che doveva ritenersi provata la dolosa preordinazione e che il B. nel 2005 aveva venduto tutti i suoi beni immobili.

Il motivo è inammissibile. Va premesso che dall’articolazione del primo motivo si evince la sommaria esposizione dei fatti di causa quale requisito che deve connotare il ricorso per cassazione. Va ulteriormente premesso che inammissibile è la memoria di Immobiliare Ciesse in quanto pervenuta per posta.

La censura, formulata in rubrica come denuncia di vizio motivazionale, attiene esclusivamente al profilo della valutazione della prova, la quale, in quanto tale, è riservata al giudice di merito. Va rammentato che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo ìnquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. U. n. 16598 del 2016 e Cass. n. 11892 del 2016). Va inoltre rilevato che non rispettato è il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 c.p.c..

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 115 e 116 c.p.c.. Osserva la ricorrente che la motivazione manca del tutto e che l’assenza di motivazione rileva anche sotto il profilo della mancata pronuncia in ordine alle istanze istruttorie, ed in particolare la richiesta di CTU e di prova orali (interrogatorio formale e testimonianze).

Il motivo è inammissibile. Avuto riguardo all’articolata motivazione della sentenza impugnata, la censura difetta di specificità in ordine alla denuncia di carenza del requisito motivazionale ed è carente anche sotto il profilo dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Tale è la genericità della denuncia che la ricorrente censura la sentenza mediante il richiamo a nozioni come inadeguatezza e illogicità manifesta che invero ineriscono al vizio di motivazione secondo la previgente disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non alla carenza del c.d. minimo costituzionale quanto alla motivazione.

L’unico profilo di specificità della censura attiene alla mancata pronuncia in ordine alle richieste istruttorie. In primo luogo va evidenziato che la ricorrente non ha specificatamente indicato se in sede di precisazione delle conclusioni le istanze istruttorie furono reiterate. Ad ogni buon conto va osservato che ciò che in senso proprio si denuncia è l’omessa pronuncia, ma il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande od eccezioni attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (fra le tante Cass. n. 13716 del 2016), nella specie non specificatamente proposto riguardo alle istanze istruttorie (sotto il profilo dell’omesso esame di fatto decisivo e controverso).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di B.M., delle spese del giudizio di legittimità, con distrazione in favore del procuratore anticipatario e che liquida in Euro 6.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di Immobiliare Ciesse s.r.l., delle spese del giudizio di legittimità, con distrazione in favore del procuratore anticipatario e che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

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