LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27204/2018 proposto da:
A.D., elettivamente domiciliato in Roma Viale Manzoni, 81 presso lo studio dell’avvocato Giudice Emanuele che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 982/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 21/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 21.5.2018, ha confermato il provvedimento di primo grado, che ha rigettato la domanda di A.D., cittadino della Costa d’Avorio, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere fuggito dalla Costa d’Avorio nel 2011 a seguito dell’uccisione del padre, presunto sostenitore dell’allora Presidente G., e delle minacce dallo stesso subite, e di essersi poi rifugiato in Mali fino al 2014, anno in cui veniva venduto da uno dei suoi fratellastri ad un trafficante che lo aveva portato in Libia).
Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Torino ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione A.D. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha confermato il giudizio di inverosimiglianza del suo racconto senza, tuttavia, indicare i criteri ermeneutici utilizzati per pervenire ad una tale conclusione.
Non è stato svolto dal giudice di merito un filtro della storia personale del richiedente attraverso i criteri sanciti dalla norma sopra citata.
2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e comma 2 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3.
Lamenta il ricorrente che la Corte di merito ha omesso di dare rilevanza a quanto accadutogli in Mali, esperienza che era alla base dei veri motivi di migrazione del ricorrente.
3. I primi due motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.
Non vi è dubbio che il ricorrente non abbia colto la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
Se è pur vero che la Corte di merito non ha ritenuto credibile il racconto del richiedente, la stessa ha fondato la propria decisione non solo sulla inverosimiglianza del suo racconto, ma su una pluralità di rationes decidendi.
Infatti, dopo aver ritenuto che il timore del ricorrente di subire persecuzioni non era fondato, non avendo lo stesso svolto mai attività politica (con ciò dimostrando di non ritenere attendibile il suo narrato), il giudice di secondo grado ha evidenziato che la situazione prospettata dal ricorrente a fondamento della sua fuga dalla Costa d’Avorio era ormai superata in relazione al nuovo corso della situazione socio-politica della Costa d’Avorio. In particolare, il nuovo Presidente Q., in occasione del primo discorso dal suo insediamento, aveva rimarcato l’importanza che i giovani, le forze più produttive, rientrassero nel Paese per dare un nuovo slancio all’economia.
Quanto all’esperienza asseritamente vissuta dal ricorrente in Mali, la sentenza impugnata ne ha coerentemente sottolineato l’irrilevanza ai fini del decidere e ciò per la considerazione assorbente che, non risultando da nessuna documentazione che il ricorrente avesse anche la cittadinanza maligna, in alcun modo lo stesso avrebbe potuto essere rimpatriato in quel paese.
Infine, la Corte d’Appello di Torino, in punto situazione paese, ha osservato alla luce degli aggiornati report del 2016 e 2017 che in Costa d’Avorio non risulta una situazione di conflitto armato, con la conseguenza che – al di là della valutazione di non credibilità del richiedente – lo stesso non risulta esposto ad alcun rischio di subire un grave danno in caso di rimpatrio.
Il ricorrente non si è in alcun modo confrontato e non ha censurato le sopra esposte argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi ad invocare l’erroneità del giudizio di non credibilità formulato dalla Corte e reiterando l’assunto della rilevanza della sua triste esperienza in Mali, sul rilievo che la stessa sarebbe stata all’origine della sua decisione di emigrare.
Orbene, è orientamento consolidato di questa Corte che ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. (Cass. n. 18641 del 27/07/2017).
4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
Il ricorrente, nel ribadire la credibilità della propria storia personale, rileva di non essere fuggito dalla povertà, ma da una condizione di estrema vulnerabilità che lo aveva portato a subire trattamenti contrari al senso di umanità e dignità.
Evidenzia l’integrazione sociale dallo stesso raggiunta nel paese d’accoglienza e lamenta che la Corte d’Appello ha omesso di compiere la valutazione comparativa tra il livello di benessere ottenuto in Italia e le sue condizioni nel paese d’origine, oltre alla rilevante sproporzione nella titolarità e nell’esercizio dei diritti fondamentali.
5. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria (residuando per alcune ipotesi speciali), questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.
Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, tuttavia, nel caso di specie, non è necessario attendere la decisione del Supremo Collegio, palesandosi il motivo inammissibile per aspecificità.
In primo luogo, il ricorrente ha genericamente fondato la sua domanda di protezione umanitaria su una condizione di vulnerabilità non legata alla sua vicenda personale, ma derivante da quella situazione sociopolitica del paese d’origine che, come già evidenziato, è stata comunque ritenuta superata dalla sentenza impugnata, non avendo neppure prospettato il richiedente recenti episodi di violazione, in generale, di diritti fondamentali nel suo paese d’origine (che, peraltro, comunque non rileverebbero in difetto di un coinvolgimento personale).
Infine, come già messo in luce dalla sentenza impugnata, non può neppure rilevare in via esclusiva il livello di integrazione raggiunto dall’odierno ricorrente nel paese d’accoglienza, elemento che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).
L’accertata declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendo il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.
Non si applica il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019