Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26723 del 21/10/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27443/2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/07/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Caltanissetta, con decreto depositato il 7.8.2018, ha rigettato la domanda di C.S., cittadino della Costa d’Avorio, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria.

Il giudice di merito, dopo aver riassunto le dichiarazioni del richiedente il quale aveva riferito di aver deciso di lasciare il proprio paese per cercare un’occupazione, essendo l’unico di sette fratelli che non aveva un lavoro – ha ritenuto, in primo luogo, che difettassero i presupposti per il riconoscimento a favore del ricorrente della protezione sussidiaria, essendo insussistente il pericolo per lo stesso di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Il ricorrente non è stato, inoltre, ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione C.S. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio ai soli fini della discussione, limitandosi a depositare la memoria ex art. 370 c.p.c., comma 1 (costituzione che è quindi inammissibile, come statuito da questa Corte con sentenza n. 27140/2017 in fattispecie analoga).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5.

Espone il ricorrente di aver compiuto il massimo sforzo per fare una narrazione più completa possibile e circostanziata della sua fuga dalla Costa d’Avorio, paese notoriamente caratterizzato scontri, violazioni di diritti umani ad opera di gruppi terroristici e fondamentalisti.

Il ricorrente lamenta che il giudice di prime cure ha violato i criteri di valutazione della credibilità del richiedente nonchè il principio dell’attenuazione dell’onere della prova laddove ha messo in dubbio i fatti dallo stesso narrati.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Lamenta il ricorrente che, nel caso di specie, non può non riconoscersi il “danno grave” previsto dalla norma sopra citata, avuto riguardo al contesto socio politico che caratterizza il Paese ed al rischio di essere ucciso per gli atti di persecuzione a cui è stato già sottoposto e a cui sarebbe sottoposto in caso di rimpatrio.

4. Entrambi i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla connessione di alcune delle questioni trattate, sono inammissibili.

Va, in primo luogo, osservato che il giudice di merito non ha affatto ritenuto non credibile il racconto del richiedente, il quale, come evidenziato nella parte narrativa, non ha minimamente affermato di aver lasciato il proprio paese perchè oggetto di persecuzione o perchè oggetto al rischio di un grave danno alla propria incolumità, ma semplicemente per trovare un’occupazione.

In ordine alla situazione generale del paese d’origine, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha evidenziato, alla luce di fonti accreditate (sito del Ministero degli Esteri e rapporto di Amnesty International), l’insussistenza di una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata derivante da un conflitto armato nello Stato della Costa d’Avorio, con conseguente insussistenza – peraltro, come già detto, neppure prospettata dal ricorrente durante l’audizione innanzi al giudice – di un rischio di danno grave in caso rientro nel paese d’origine.

Tale accertamento costituisce un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dal giudice di merito.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32.

Lamenta il ricorrente che la situazione di instabilità interna del suo paese d’origine ed il pericolo per l’incolumità comunque giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria.

6. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria (residuando per alcune ipotesi speciali), questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, tuttavia, nel caso di specie, non è necessario attendere la decisione del Supremo Collegio, atteso che la domanda del ricorrente non possiede comunque i requisiti per un suo accoglimento neppure con i parametri elaborati nella citata sentenza n. 4455/2018, palesandosi il motivo inammissibile per aspecificità.

Il ricorrente ha genericamente dedotto la violazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza minimamente correlarla alla sua condizione personale.

Sul punto, questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente, come già più volte anticipato, senza far cenno ad un possibile rischio per la propria incolumità, ha fornito al giudice di merito, in sede di audizione, una giustificazione di natura eminentemente economica in ordine alla ragione che lo ha indotto lasciare il proprio paese, evidenziando, altresì, che tutti i suoi fratelli (ben sei) avevano tutti una propria occupazione.

Tale circostanza è stata ben evidenziata dal giudice di merito e tale preciso rilievo è stato del tutto ignorato nel ricorso per cassazione.

L’accertata declaratoria di inammissibilità del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, essendo la costituzione del Ministero inammissibile per i motivi già illustrati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472