LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19876-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso l’avvocato DORA DE ROSE, rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO GALASSI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 2, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SCHILLACI, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELA MARIA MASSANELLI, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 351/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 23/04/2014 R.G.N. 118/2014.
RILEVATO
che la Corte territoriale di Ancona, con sentenza depositata il 23.4.2014, respingeva l’appello interposto da Poste Italiane S.p.A., nei confronti di M.G., avverso la pronunzia del Tribunale di Pesaro n. 21/2014, resa in data 28.1.20h, che – rilevato che l’art. 21 del CCNL applicabile prevedeva l’acquisizione da parte dell’operatore di sportello junior di livello D che avesse effettivamente esercitato le corrispondenti mansioni per dodici mesi, della qualifica di operatore di sportello senior di livello C, e accertato che la M., inquadrata nel livello D senior, aveva esercitato le funzioni, corrispondenti al profilo di operatore junior, di operatore di sportello per la consegna della posta inesitata, anche con maneggio di denaro, ininterrottamente dal 10.10.2005 – aveva dichiarato il diritto della lavoratrice all’inquadramento con qualifica di operatore junior di livello D dal 10.10.2005 e con qualifica di operatore senior di livello C dal 10.10.2006 ed alla percezione delle corrispondenti differenze retributive;
che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. articolando cinque motivi, cui resiste con controricorso M.G.;
che il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO
che, con il ricorso, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e degli artt. 21 CCNL del 2003 e 20 CCNL 2011, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si lamenta che la Corte distrettuale non abbia “tenuto conto dell’individuazione delle qualifiche e gradi prevista dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto dei risultati di tali due indagini come da costante giurisprudenza”, ed in particolare, che i giudici di merito avrebbero dato una lettura non corretta dell’art. 21 del CCNL del 2003, che ha ridefinito il nuovo sistema di classificazione del personale articolato su sei livelli professionali che, per il caso in esame, sono relativi a quelli previsti dai livelli C e D, con specifica indicazione dei ruoli di appartenenza; 2) ancora in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., perchè i giudici di seconda istanza avrebbero omesso di valutare il dedotto svolgimento delle mansioni di operatore di sportello unitamente alla sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 2103 c.c. per il riconoscimento della qualifica superiore; 3) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti per la mancata valutazione della circostanza oggetto della censura sollevata con il precedente mezzo di impugnazione; 4) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione dell’art. 421 c.p.c. in tema di poteri istruttori del giudice e procedimento valutativo di prove; 5) ancora in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per non avere il Collegio di merito ammesso le richieste istruttorie come formulate da Poste Italiane S.p.A.;
che i primi tre motivi, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione, non sono fondati; con essi, all’evidenza, si censura, nella sostanza, il fatto che i giudici di merito avrebbero omesso il procedimento logico-giuridico c.d. trifasico, ritenuto necessario, alla luce del consolidato orientamento della Suprema Corte, per il corretto inquadramento del lavoratore; non avrebbero, cioè, accertato quali attività lavorative svolgesse in concreto la dipendente, non avrebbero proceduto all’individuazione delle qualifiche previste dai CCNL di categoria applicabili alla fattispecie ed infine, non avrebbero operato il raffronto tra il risultato della prima indagine e le declaratorie contrattuali individuate nella seconda;
che questo Collegio osserva, al riguardo, che la Corte di Appello, attraverso un percorso motivazionale condivisibile sotto il profilo logico-giuridico, è pervenuta alla decisione oggetto del giudizio di legittimità dopo aver analiticamente vagliato le risultanze dell’istruttoria espletata in primo grado ed uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali di questa Corte, alla stregua dei quali il procedimento logico-giuridico che determina il corretto inquadramento di un lavoratore subordinato si compone di tre fasi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17163/2016): l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi;
che, in particolare, la corte di Appello, nel confermare la pronunzia di primo grado, analizzato il sistema di classificazione con le relative declaratorie e le disposizioni del CCNL 2003 (art. 21), ha rilevato che “l’inquadramento in determinati profili e l’effettivo svolgimento delle mansioni corrispondenti sono previsti come requisiti sufficienti per il passaggio, nell’ambito 4i-cm. di un certo tipo di mansione (nella specie operatore di sportello) dal profilo junior situato in livello più basso al profilo senior situato in livello più alto”, per cui “la questione si riduce a valutare se la M. abbia svolto, a partire dal 10.10.2005, attività proprie, pur nell’ambito del medesimo livello D, del profilo di addetto senior o di quello di operatore junior”;
che, quindi, la Corte territoriale ha accertato che “le mansioni di operatore pacificamente svolte dalla M. corrispondono per definizione ai profili inseriti nei livelli D (junior) e C”, posto che “è evidente che l’attività dello sportello inesitate corrisponde perfettamente alla definizione del profilo di operatore junior: “lavoratori che…. Svolgono nell’ambito di procedure definite attività amministrative, tecniche o gestiscono le relazioni con i clienti fornendo informazioni sui prodotti o effettuando le operazioni richieste”, a differenza degli addetti che (cfr. la descrizione del relativo ruolo per il livello E) svolgono attività esecutive, tecniche di supporto e/o operative, connesse a tutte le diverse operazioni del ciclo di lavorazione”, con la conseguenza che correttamente la M. dal 10.10.2005 “è stata inserita nel ruolo e nel profilo professionale di operatore junior (che comprende anche le attività dello sportello “inesitate”) e che, decorso il termine contrattuale previsto, le compete l’inquadramento nel ruolo e nel profilo professionale di operatore senior”;
che tale accertamento risulta conforme al principio consolidato sopra richiamato e resiste alle censure della società ricorrente;
che neppure il quarto ed il quinto motivo, anch’essi connessi, sono meritevoli di accoglimento, in quanto è ius receptum che il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova e del contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (arg. ex Cass. nn. 21486/2011; 17915/2010); nella specie, si rileva che non è stata specificamente versata in atti in questa sede la documentazione offerta dalla società sin dal primo grado a sostegno dei propri assunti, nè sono stati riportati i capitoli di prova che si assumono erroneamente non ammessi dalla Corte di merito; e ciò, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6, con la conseguenza che questa Corte non è stata messa in grado di apprezzare la veridicità della doglianza svolta;
che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;
che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019
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