LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1683/2018 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
D.E., rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO ZINNO;
– controricorrente –
e contro
A.C., + ALTRI OMESSI;
– intimati –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 29/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/03/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.
RILEVATO
che:
– con decreto del 20.11.2017, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’opposizione proposta dal Ministero nei confronti di D.E. ed altri soggetti, confermando il decreto del Consigliere Delegato del 12.1.2017, che aveva accolto la domanda ex L. n. 89 del 2001, in relazione all’irragionevole durata di un processo ex legge Pinto;
– la corte territoriale riteneva che il termine della L. n. 89 del 2001, ex art. 4, avesse natura processuale e non sostanziale, ragione per la quale, al momento dell’instaurazione del giudizio ex L. n. 89 del 2001, non era spirato il termine di sei mesi previsto dall’art. 4 della medesima legge, decorrente dalla notifica del decreto in data 12.3.2016;
– per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero della Giustizia sulla base di quattro motivi;
– ha resistito con controricorso D.E.;
– non hanno svolto attività difensiva le altre controparti;
– in prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memorie illustrative.
RITENUTO
che:
– con il primo motivo di ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente si duole dell’applicabilità dei termini della sospensione feriale al fine del computo del termine decadenziale L. n. 89 del 2001, ex art. 4, sostenendo che tale termine avrebbe natura sostanziale;
– con il secondo motivo di ricorso, riproponendo la medesima doglianza, il ricorrente deduce che, con l’introduzione dell’istituto della mediazione, previsto dal D.Lgs. n. 28 del 2010, il rimedio giurisdizionale non rappresenterebbe l’unico strumento per far valere il diritto di equa riparazione, ragione per la quale non troverebbe applicazione la sospensione feriale;
– con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto il profilo della equiparazione del termine per impugnare, introdotto con L. n. 69 del 2009;
– con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la natura processuale del termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, sarebbe incompatibile con il procedimento monitorio, per le sue caratteristiche di speditezza ed urgenza;
– i motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono manifestamente infondati;
– la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che, poichè fra i termini per i quali della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (Cassazione civile sez. VI, 18/03/2016, n. 5423Cass. n. 5895/09; conforme, Cass. n. 2153/10);
– questa Corte ha affermato lo stesso principio anche con riferimento alla domanda di mediazione, ritenendo, in primo luogo che, mentre il diritto alla ragionevole durata del processo, quale diritto fondamentale della persona, non è disponibile, nè suscettibile di conciliazione, il diritto all’equa riparazione per durata irragionevole, quale diritto patrimoniale, è soggetto alla disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione, in aderenza alla “ratio” di deflazione del contenzioso giudiziario. Pertanto, la domanda di mediazione comunicata entro il termine semestrale L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 4, impedisce, “per una sola volta”, ai sensi del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 6, la decadenza dal diritto di agire per l’equa riparazione, potendo quest’ultimo essere ancora esercitato, ove il tentativo di conciliazione fallisca, entro il medesimo termine di sei mesi, decorrente “ex novo” dal deposito del verbale negativo presso la segreteria dell’organismo di mediazione (Cassazione civile sez. un., 22/07/2013, n. 17781);
– la decisione delle Sezioni Unite N. 17781/2013 ha ulteriormente avallato la natura processuale e non sostanziale del termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, con la precisazione che l’effetto interruttivo, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 6, si produce a partire non già dalla data di deposito ma da quella, evidentemente successiva, di comunicazione alla controparte (Cassazione civile sez. II, 26/10/2018, n. 27251);
– il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, ritenendo che il termine della L. n. 89 del 2001, ex art. 4, avesse natura processuale e non sostanziale ed ha conseguentemente ritenuto che il ricorso fosse tempestivo;
– il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo, con attribuzione al procuratore antistatario.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1198,50 oltre spese forfettarie, Iva e cap come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019