LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da D.P.R., domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Aniello Musto, per procura a margine del ricorso, (p.e.c.
aniellomusto.avvocatinapoli.legalmail.it fax 081/7674931);
– ricorrente –
nei confronti di:
L.V., elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Flaminio 34, presso l’avv. Giancarlo Nunè, dal quale è rappresentata e difesa unitamente all’avv. Massimo Calò, per procura speciale alle liti in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1088/2017 della Corte di appello di Napoli, emessa il 21.12.2016 e depositata il 9.3.2017 R.G. n. 2743/2016;
sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.
Bisogni Giacinto.
RILEVATO
CHE:
1. Si controverte, oltre che sulla pronuncia di addebito della separazione a carico del sig. D.P.R., sul diritto della sig.ra L. a continuare a percepire l’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni, ma non ancora autosufficienti economicamente, fissato in complessivi 400 Euro mensili.
2. La Corte di Appello di Napoli ha ritenuto che non vi è agli atti la prova della raggiunta autosufficienza dei figli i quali hanno pertanto diritto al mantenimento. Ha ritenuto inoltre che l’ammontare dell’assegno fissato dal giudice di primo grado risulta sostenibile con le accertate condizioni reddituali del sig. D.P.. Quanto alla domanda di addebito proposta dal sig. D.P. ha ribadito la sua inammissibilità perchè proposta tardivamente. Mentre quanto alla domanda di addebito proposta dalla sig.ra L. ha rilevato che la stessa risulta provata sulla base delle numerose denunce per il comportamento violento posto in essere nel corso del matrimonio da parte del marito.
3. D.P.R. ricorre per cassazione deducendo con il primo motivo di ricorso omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in quanto non sarebbero state valutate le sue condizioni di salute (invalidità al 100%) e la situazione economica della L. e contesta altresì, con il secondo motivo la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, riferendosi all’addebito che a suo giudizio doveva essere posto a carico della sig.ra L.V. responsabile del suo allontanamento forzato dal domicilio coniugale e non a suo carico non essendo stato provata la violenza domestica denunciata dalla L.. Il secondo motivo si chiude con una richiesta di condanna al risarcimento dei danni provocati dall’espulsione della residenza familiare.
RITENUTO
CHE:
4. Il ricorso è inammissibile. Il primo motivo è stato proposto come denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. La giurisprudenza di legittimità (a partire da Cass. civ. S.U. Cass. Civ. S.U. n. 8053 dell’8 aprile 2014) ha chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
5. Nella specie la censura prospettata con il primo motivo non appare conforme ai requisiti richiesti dalla giurisprudenza citata e si risolve sostanzialmente in una richiesta di riesame del merito della controversia che la Corte di appello ha già esaminato con motivazione adeguata. Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta altresì che in primo grado sono state prese in considerazione le condizioni economiche della L. cui è stata respinta la domanda di assegno di mantenimento in relazione al suo reddito mensile di 1.500 Euro corrispondente allo stipendio percepito dalla ASL di Napoli. L’imposizione di un assegno di mantenimento da destinare alle esigenze dei figli solo a carico del D.P. si giustifica evidentemente per il fatto che questi ultimi convivono con la madre che fornisce pertanto il suo contributo economico e di cura di cui si avvalgono. Infine quanto alla condizione di invalido civile al 100% il ricorrente non indica in alcun modo le modalità di deduzione della circostanza nel corso del giudizio di merito. La Corte di appello ha rilevato che egli percepisce una indennità di disoccupazione e che ha riconosciuto di svolgere attività lavorativa “in nero” come cuoco.
6. Quanto al secondo motivo la deduzione generica di violazione di legge è anche essa inammissibile in quanto il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. Civ. sez. I n. 24298 del 29 novembre 2016). Va altresì rilevato che il ricorrente non censura affatto la decisione laddove ha ribadito il giudizio di inammissibilità della domanda di addebito proposta nei confronti della L.. Per altro verso il ricorrente ignora la giurisprudenza di legittimità secondo cui le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sè sole – quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse -, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. civ. sez. VI-1 n. 7388 del 22 marzo 2017 e n. 433 del 14 gennaio 2016). Il ricorrente anche con riguardo al secondo motivo richiede in realtà una nuova valutazione di merito senza contestare neanche la motivazione della sentenza della Corte di appello che richiamando quella di primo grado ha affermato che il D.P. si è reso responsabile di comportamenti violenti in danno della moglie nel corso della convivenza matrimoniale consistiti in percosse e lesioni reiterati nel tempo che sono state oggetto di denuncia penale da parte della L. e sono state confermate dai testi escussi fra cui il figlio A.. Nè infine ha contestato la circostanza addotta dalla controricorrente secondo cui per tali condotte il D.P. ha riportato, da parte del Tribunale di Napoli (sentenza n. 366/2014), una condanna penale a 4 mesi di reclusione e una condanna civile al risarcimento dei danni.
7. Il ricorso per cassazione va pertanto dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione e applicazione della disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 2.200, di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e gli altri elementi identificativi delle parti a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2019