LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 23280/2012 proposto da:
Molnlycke Health Care srl rappresentata e difesa dall’Avv.to Fabrizio Busignani con domicilio eletto in Varese via Leopardi 5.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi 12.
– intimate/resistente –
Avverso la decisione della Commissione Tributaria della Lombardia n. 48/38/12 depositata il 10/04/2012.
Udita la relazione del Consigliere Dott. Pandolfi Catello nella camera di consiglio del 30/04/2019.
RILEVATO
La società Molnlycke Health Care srl, operante nel settore degli articoli medicali, proponeva ricorso avverso la sentenza della CTR Lombardia n. 48/38/12 depositata il 10 aprile 2012 che aveva respinto l’appello alla decisione della CPP di Varese.
La vicenda discende dalla notifica dell’Avviso di accertamento dell’ufficio di Gallarate dell’Agenzia delle Entrate notificata il 15 ottobre 2007.
L’avviso aveva mosso tre rilievi relativamente all’IVA: il primo per omessa dichiarazione di operazioni attive,il secondo per acquisto di beni in evasione d’imposta, il terzo per indebita detrazione d’imposta su operazioni passive.
Giova precisare che il ricorso per cassazione in esame attiene esclusivamente i primi due rilievi in quanto il terzo era già stato ritenuto infondato dalla stessa sentenza d’appello.
La società deduce in sede di legittimità due motivi di impugnativa:
a) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d), ed in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e al D.P.R. n. 63 del 1972, art. 54;
b) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia quale l’omesso esame della documentazione dalla quale sarebbero state tratte risultanze idonee ad impedire l’applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21.
L’Agenzia si è costituita al solo fine di poter partecipare eventualmente all’udienza di discussione.
CONSIDERATO
La ricorrente si duole, con il primo motivo, che il giudice d’appello abbia erroneamente ritenuto che i prospetti contabili, peraltro redatti dalla società su base volontaria, consentissero di fondare presunzioni legali semplici alle quali attribuire carattere di gravità precisione e concordanza tali da giustificare la pretesa oggetto dell’avviso di accertamento.
La CTR ha ritenuto, invece, non superate dalle giustificazioni addotte dalla ricorrente le presunzioni dell’ufficio indotte dal rilevante scostamento, tra le risultanze contabili e quelle fisiche, desunto dalle rettifiche inventariali apportate dalla società sui prospetti contabili per allineare i due termini così difformi. Le rettifiche erano state rilevate dalla Guardia di Finanza e fatte oggetto del processo verbale di constatazione posto a base dell’avviso di accertamento. In esito a tale attività accertativa era emersa una differenza inventariale di circa 26.000 “pezzi”, contenuti in confezioni di prodotti sterili per cardiochirurgia, pari ad un imponibile di Euro 1.299.416,00 corrispondente ad imposte per Euro 259.883,20. In particolare la rettifica inventariale sostiene la società ricorrente – si era resa necessaria perchè, per un errore della codifica del nuovo sistema di contabilizzazione informatizzata della merce, risultava che ognuno degli 88 cartoni da registrare contenesse 300 pacchi sterili monouso, in luogo del contenuto reale di due pacchi, per cui la merce da inventariare era di 176 pezzi e non di 26.000.
In tale quadro fattuale l’ufficio era pervenuto, ritenuta ingiustificate le ragioni addotte dalla società, ad una maggiore imposizione. Con il motivo di ricorso la parte,in tal modo, censura non la falsa applicazione di norme, ma l’erronea valutazione da parte della CTR delle risultanze di fatto, opponendo a quella della commissione territoriale la sua ricostruzione della vicenda, per cui la doglianza si concretizza in una critica alla ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.
La parte deduce anche, a supporto dello stesso motivo di censura, la violazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4 che consente la presunzioni di cessioni di beni solo in presenza di differenze quantitative riscontrate, in sede di accertamento, dal raffronto tra l’inventario fisico dei beni in giacenza e le risultanze della “scritture ausiliarie di magazzino” o della documentazione obbligatoria. Poichè nel caso di specie non vi era stata alcuna ricognizione fisica delle rimanenze registrate, confrontate con le risultanze documentali, l’ufficio nella situazione data non poteva trarre alcuna presunzione di cessione. Il richiamo alla normativa suddetta appare però improprio, giacchè questa Corte ha bensì affermato che, in tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, il rilievo di ammanchi di beni sulla base di scritture contabili non obbligatorie (tali sono quelle esaminate dalla G.d.F.) escluda l’applicabilità della disciplina dettata dal D.P.R. n. 441 del 1997, legittimante presunzioni di cessione e di acquisto di beni. Essa infatti presuppone che gli ammanchi siano riscontrati a seguito di un inventario fisico dei beni o di un confronto basato su documentazione contabile obbligatoria. Ciò nondimeno, la Corte ha anche affermato che non sono inapplicabili le disposizioni generali che consentono la rettifica delle dichiarazioni fiscali anche sulla base di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., in quanto queste possono essere desunte anche da documentazione contabile non obbligatoria tenuta dal contribuente e rinvenuta dai verificatori o spontaneamente esibita. (Sez. 5 -, Ordinanza n. 12245 del 18/05/2018).
Il primo motivo va pertanto respinto.
Diversa valutazione merita, invece, la seconda censura di vizio motivazionale con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione antecedente alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012 convertito con modifiche dalla L. n. 134 del 2012 riguardando l’impugnativa una sentenza pubblicata in data antecedente l’11/09/2012).
La parte lamenta l’omessa esplicitazione dei motivi per i quali la CTR ha ritenuto di respingere l’appello relativo ai rilievi 1 e 2 contestati dall’ufficio con l’avviso di accertamento, mentre ha accolto il gravame relativo al terzo rilievo.
Invero, dalla lettura della pronuncia si evince che, quanto ai rilievi 1 e 2, il giudice regionale ha dapprima elencato in modo dettagliato le ragioni addotte dalla società circa le ragioni che avevano determinato le rettifiche contabili per riallineare le differenze inventariali rilevate, per poi concludere:
a) che le circostanze addotte dal contribuente non “avevano sufficiente attinenza” con il problema delle differenze inventariali;
b) che le disfunzioni nel funzionamento del software di gestione della contabilità di magazzino “non costituiva motivo sufficiente” a giustificare le differenze rilevate;
c) che pertanto le differenze inventariali non risultavano adeguatamente giustificate e documentate.
Ne deriva che le espressioni utilizzate dalla commissione territoriale configurano in sostanza una motivazione apparente giacchè non hanno alcun contenuto esplicativo, ma solo assertivo senza consentire di cogliere le ragioni per le quali le circostanze addotte dal ricorrente siano state ritenute non attinenti, nè sufficienti. Si tratta cioè di locuzioni tassative, ma in nulla dimostrative. La motivazione nega in tal modo la sua identità, configurandosi come non-motivazione. Vanifica cioè la sua funzione che non è solo quella di palesare il giudizio finale, ma anche quello di renderne comprensibile l’intero percorso logico-giuridico che lo ha determinato. Il giudizio è, quindi, il punto di arrivo di un processo argomentato, non solo graficamente presente nel testo, ma anche comprensibile nel suo divenire, di modo che tra fatto, motivi e dispositivo sussista un esplicito nesso di consequenzialità.
Questa Corte ha, infatti, affermato che il vizio di carenza di motivazione, sia sotto forma di difetto assoluto di motivazione che di motivazione apparente, si configura quando il giudicante omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza un’approfondita, o nessuna, disamina logica e giuridica. (ex multis Sez. U, Sentenza n. 26825 del 21/12/2009).
La parte della sentenza impugnata costituente (o che avrebbe dovuto costituire) la motivazione, si discosta, invece, da tale paradigma.
Il secondo motivo di doglianza è dunque fondato e, con riferimento ad esso, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla stessa CTR in diversa composizione, perchè rivaluti la controversia, alla luce dei principi di diritto richiamati, fornendo congrua motivazione e regoli le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 aprile 2019.
Depositato in cancelleria il 22 ottobre 2019