LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3126/2014 proposto da:
S.F., A.G., B.R., C.V., CA.GI., CO.CA., CR.VI., CU.FR., F.S.V., L.A., LO.AN., M.F., N.V., P.P., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, alla via DEGLI APPENNINC n. 46, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GIAMPAOLO, rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELA MESSINO’;
– ricorrenti –
contro
A.S.P. – AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI REGGIO CALABRIA -, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI ORTI DI TRASTEVERE n. 59, presso lo studio dell’avvocato BARTOLO DATTOLA, rappresentata e difesa dall’avvocato NATALE POLIMENI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1332/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 26/07/2013.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha respinto l’appello proposto da S.F. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe avverso la sentenza del Tribunale di Locri che aveva accolto solo parzialmente le domande formulate nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale n. ***** di Locri, alla quale era succeduta l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, ed aveva condannato la convenuta a corrispondere ai ricorrenti, tutti ex medici condotti, le indennità spettanti ai dirigenti di primo livello, nei limiti della prescrizione quinquennale calcolata a ritroso dalla data di notifica del ricorso;
2. la Corte territoriale ha premesso che l’eccezione di prescrizione, ritualmente formulata dalla resistente, era stata accolta dal primo Giudice “non risultando dagli atti e documenti di causa, nonostante la contraria affermazione dei ricorrenti, alcun atto interruttivo della prescrizione precedente al ricorso giudiziario”;
3. nell’atto di gravame gli appellanti avevano indicato per ciascun ricorrente gli atti interruttivi (lettere stragiudiziali di messa in mora inviate negli anni 2004 e 2005 nonchè richiesta di tentativo di conciliazione risalente al dicembre 2005), atti che risultavano inseriti in copia nel fascicolo di parte, ma la circostanza non consentiva di ritenere che la produzione fosse stata effettuata già al momento del deposito del ricorso di primo grado, perchè l’indice delle produzioni non recava in calce la firma del cancelliere, la quale ha la funzione di attestare, in caso di contestazioni, la tempestività e la regolarità della produzione;
4. il giudice d’appello ha evidenziato che l’ASP non aveva mai ammesso l’esistenza di atti interruttivi e nel resistere all’impugnazione aveva eccepito la novità e la tardività della produzione documentale, produzione non utilizzabile, una volta esclusa la prova della tempestività della stessa, in ragione del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8202/2005;
5. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di un unico motivo, al quale l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria ha resistito con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. i ricorrenti denunciano, con l’unico motivo di ricorso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, perchè la Corte d’appello non ha considerato che l’irregolarità conseguente alla mancata sottoscrizione dell’indice dei documenti depositati “trova un limite nell’accettazione implicita del deposito documentale, qualora la controparte ne discuta il contenuto”;
1.1. nel caso di specie la ASL, sollevando l’eccezione di prescrizione, aveva implicitamente contestato l’efficacia interruttiva degli atti stragiudiziali prodotti dai ricorrenti, sicchè la circostanza doveva essere valutata dal giudice del merito in quanto decisiva ai fini di causa;
2. il ricorso presenta plurimi profili di inammissibilità, innanzitutto perchè formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, che impongono al ricorrente per cassazione di riportare nell’atto, quanto meno nelle parti essenziali, il contenuto dei documenti e degli atti processuali sui quali la censura si fonda e di fornire precise indicazioni in merito alla loro allocazione nel fascicolo processuale;
2.1. i ricorrenti assumono che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare il tenore delle difese svolte dalla resistente, a loro dire sufficienti per superare l’irregolarità della produzione, ma non trascrivono in parte qua la memoria difensiva del giudizio di primo grado, non la producono in questa sede, nè forniscono alcuna indicazione finalizzata a consentire il pronto reperimento dell’atto;
3. si aggiunga che la sentenza impugnata risulta depositata il 26 luglio 2013 nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;
3.1. la censura è validamente formulata solo qualora il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, indichi ” il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014);
3.2. le richiamate condizioni non ricorrono nella fattispecie, perchè il motivo non è formulato nei termini sopra indicati ed inoltre perchè la Corte territoriale ha valutato gli scritti difensivi della resistente rilevando che “da alcun atto di parte appellata (è stata disposta l’acquisizione delle memorie di costituzione on primo grado ex art. 416 c.p.c.) o verbale di causa emerge l’ammissione… dell’esistenza di atti interruttivi della prescrizione”;
4. all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate come da dispositivo;
4.1. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019