LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 7521/2015 r.g. proposto da:
A.D.A., (cod. fisc. *****) ed A.G.A. (cod. fisc. *****), entrambi rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Marco Sanvitale, presso il cui studio elettivamente domiciliano in Pescara, alla Piazza 1 Maggio n. 4.
– ricorrenti –
contro
FALLIMENTO ***** S.R.L. (p. iva *****), in persona del curatore, Avv. T.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato Salvatore Ferrazzano, presso il cui studio elettivamente domicilia in Foggia, al Corso Roma n. 204.
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE DI FOGGIA, depositato il 17/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/10/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. A.D.A. e A.G.A. ricorrono per cassazione, affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., avverso il decreto del Tribunale di Foggia del 17 febbraio 2015, reiettivo della loro opposizione ex artt. 98-99 L. Fall. contro la decisione del giudice delegato del fallimento ***** s.r.l. (dichiarato dal medesimo tribunale il 10 ottobre 2013) che aveva disatteso le loro domande di restituzione e, in subordine, di rivendicazione del complesso immobiliare compiutamente descritto in atti. Resiste, con controricorso, la curatela fallimentare.
1.1. In particolare, quanto alla domanda principale “di restituzione del complesso immobiliare per cessazione/scioglimento del rapporto di comodato”, fondata su di un contratto di comodato verbale asseritamente intervenuto tra gli A. e la ***** s.r.l. (di cui era amministratore A.D.A., e le cui quote erano di proprietà di quest’ultimo, in ragione del 65%, e, per il residuo 35%, del figlio A.G.A.), quel tribunale, pur muovendo dalla constatazione della effettiva sussistenza di un siffatto contratto, avente ad oggetto i beni di cui era stata chiesta la restituzione, ritenne di doverla respingere assumendo che lo stesso: i) fosse a termine, individuato in quello, scadente il 15 ottobre 2019, desunto dall’ulteriore contratto di affitto di azienda stipulato il 30 maggio 2013 tra la ***** s.r.l. e la Mongelluzzi Horeca s.r.l., da ciò facendo conseguire l’inapplicabilità, nella specie, sia del recesso ad nutum ex art. 1810 c.c., sia di quello ex art. 1809 c.c., comma 2, per non avere gli opponenti dimostrato un urgente ed imprevisto bisogno; ii) non fosse caratterizzato dall’intuitus personae, posto che i beni oggetto del contratto di comodato non erano rimasti nella detenzione della comodataria, ma erano stati concessi in godimento ad un terzo, con l’esplicito consenso dei comodanti, così derivandone l’inapplicabilità del diritto alla restituzione del bene per il fallimento del comodatario e del disposto di cui all’art. 1811 c.c., quest’ultimo utilizzabile solo in caso di contratto intuitu personae.
1.1.1. Il giudice di merito, inoltre, considerò: i) inapplicabile l’art. 1186 c.c., atteso che la ***** s.r.l. non si era resa inadempiente agli obblighi assunti con il comodato, nè un tale inadempimento sarebbe stato integrato dal mero suo fallimento; ii) astrattamente applicabile al contratto di comodato il disposto dell’art. 72 L.fall., benchè, nell’odierna fattispecie, il ricorso al principio generale di cui al citato articolo dovesse concretamente escludersi trovando essa regolamentazione nel combinato disposto dell’art. 79 L. Fall. e art. 2558 c.c.: era, invero, pacifico che il fallimento fosse subentrato nel contratto di affitto di azienda stipulato dalla fallita ***** s.r.l. con la Mongelluzzi Horeca s.r.l. il *****, sicchè detto contratto, essendone stato escluso il carattere personale, aveva continuato ad essere disciplinato dall’art. 2558 c.c., a tenore del quale, salva diversa pattuizione, l’acquirente dell’azienda (ed altrettanto è a dirsi per l’affittuario, giusta l’u.c. della medesima disposizione) subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale.
1.2. Quanto, invece, alla domanda subordinata “di rivendica”, il tribunale la valutò come inaccoglibile, pur avendo gli istanti dimostrato il loro diritto di proprietà, perchè i beni de quibus non erano stati acquisiti al fallimento e la curatela aveva espressamente rimarcato di volerne mantenere la disponibilità – come già la fallita – esclusivamente quale comodataria.
2. Le formulate censure prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero artt. 72 e 79 L. fall., nonchè art. 2558 c.c.; violazione e falsa applicazione di norme di diritto sull’interpretazione dei contratti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero artt. 1362 e ss. c.c.; violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ed insanabile contraddizione della motivazione del decreto impugnato”. Si ascrive al tribunale di aver erroneamente ritenuto applicabile l’art. 72 L. Fall. al contratto di comodato, atteso che la citata norma postula un contratto, ancora pendente, da cui sorgano obbligazioni, a carico del fallito e dell’altro contraente, che, al momento della dichiarazione di fallimento, siano, per entrambe le parti, in tutto o in parte ancora ineseguite. Ove non sussista una tale situazione, o se l’obbligazione sia a carico di una sola delle parti, si è al di fuori dell’ipotesi di legge. Parimenti erronea, oltre che viziata anche da insanabile contraddittorietà della motivazione, era l’affermazione del giudice di merito circa l’applicabilità, nella specie, dell’art. 79 L. Fall., dettato, invece, per l’affitto di azienda, contratto del tutto diverso dal comodato se non altro perchè quest’ultimo è a titolo gratuito e non oneroso. Si sostiene che “nel richiamare l’art. 79 L. Fall., il Tribunale di Foggia confonde le due situazioni: il contratto di comodato A. – ***** s.r.l. e quello di affitto ***** s.r.l. – Mongelluzzi Horeca s.r.l.. La curatela è, evidentemente, subentrata nel secondo, ma non può subentrare nel primo, nè ex art. 72 L. Fall., (..), nè ex art. 79 L.fall…(…1. Nè si potrà sostenere, come sembra fare il Tribunale di Foggia, che la curatela, una volta subentrata nel contratto di affitto con la Mongelluzzi Horeca s.r.l., subentri automaticamente anche nel contratto di comodato con gli A., ex art. 2558 c.c…”, posto che: “1) l’art. 2558 c.c. riguarda l’ipotesi dell’acquisto (o della cessione in affitto) di azienda da parte di un terzo in forza di un atto autonomo e diverso, sia esso atto pubblico o scrittura privata autenticata; non certo l’ipotesi, che è la nostra, di subentro del Curatore al contratto di affitto di azienda ex art. 79 L. Fall.; 2) l’art. 2558 c.c. esclude il subentro nei contratti aventi carattere personale, come è certamente il comodato (…); 3) anche se si dovesse ritenere il contratto di comodato non personale, lo si dovrebbe assimilare, ai fini dell’art. 2558 c.c., per analogia, ad una locazione, per la quale opera la disciplina di cui all’art. 1594 c.c., che vieta la cessione del contratto di locazione senza il consenso del locatore…; 4) nel caso di specie, la cessione del contratto di comodato a terzi era espressamente vietata nel contratto di affitto di azienda, seppure impropriamente viene usato il termine di “locazione”..: la comune intenzione delle parti, di tutte le parti, del contratto del 30.5.2013, non è diversamente interpretabile”. Infine, si rappresenta che il decreto impugnato, laddove ha opinato che, “…essendo la fattispecie riconducibile alla previsione specifica dell’art. 79 l.fall., deve escludersi il ricorso al principio generale di cui all’art. 72 l.fall., facendo quest’ultimo esplicitamente salve le diverse disposizioni della sezione tra le quali v’è l’art. 79”, si rivela in grave contraddizione con la parte del medesimo provvedimento che, invece, ha ritenuto applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 72 L. Fall.;
II) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero artt. 98 e 99 L. Fall.; violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione ai fatti oggetto del thema decidendum”. Muovendo dalla natura impugnatoria caratterizzante il giudizio ex artt. 9899 L. Fall., retto dal principio di immutabilità della domanda, il quale esclude che possano prendersi in considerazione fatti diversi da quelli dedotti in sede di verifica del passivo, si addebita al tribunale foggiano di aver erroneamente preso in esame il tema dell’applicabilità, nella specie, del combinato disposto dell’art. 79 L. Fall. e art. 2558 c.c., introdotto dalla curatela solo in sede di opposizione;
III) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero artt. 1803,1804,1809,1810 e 1811 c.c.; violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero delle norme di diritto sull’interpretazione dei contratti: art. 1362 e ss. c.c.”. Si insiste nel contestare l’applicazione dell’art. 72 L. Fall. al contratto di comodato, in ragione delle specifiche caratteristiche di quest’ultimo e della sua peculiare disciplina codicistica;
IV) “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero artt. 1803,1804,1809,1810 e 1811 c.c.; violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero delle norme di diritto, ovvero art. 1186 c.c. in rapporto agli artt. 1803,1804,1809,1810 e 1811 c.c.”. Sotto il primo profilo, si contestano le argomentazioni rinvenibili nel decreto impugnato, e le conclusioni da esse tratte, quanto all’avvenuta qualificazione del contratto di comodato in esame come soggetto a termine (anche a favore della comodataria), alla negazione della sua natura personale ed alla insussistenza di un urgente ed imprevedibile stato di bisogno legittimante la richiesta di restituzione del bene ex art. 1809 c.c.. Si afferma che “la natura del tutto personale del contratto di comodato giustifica il recesso immediato nel caso in cui uno dei due originari soggetti del contratto muti e, nel caso di specie, l’intervenuto fallimento del comodatario impedisce quell’uso personale e diretto del bene che il comodante voleva garantire solo ed esclusivamente alla ***** s.r.l. in bonis, con il che la domanda di restituzione è fondata”. Circa il secondo aspetto, si sostiene che “anche in caso di termine, il contratto di comodato è da considerarsi sciolto automaticamente con il fallimento del comodatario, ex art. 1186 c.c.: l’insolvenza del comodatario costituisce, ex se, decadenza dal beneficio del termine, anche se tale termine fosse stato apposto nel suo interesse”.
3. Il primo motivo, laddove contesta (cfr. amplius, pag. 26-30 del ricorso) la ritenuta applicazione, ad opera del tribunale foggiano, dell’art. 72 L. Fall. al contratto di comodato in generale, deve considerarsi inammissibile perchè mostra di non cogliere appieno la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
3.1. Il giudice a quo, invero, dopo aver effettivamente sostenuto l’applicabilità, seppure in astratto, al contratto di comodato della suddetta disposizione (cfr. pag. 7-8 del decreto impugnato), ha poi, opinato che, tuttavia, “nel caso di specie, il subentro del fallimento nel contratto di comodato intercorso tra gli odierni opponenti e la ***** s.r.l. deve ritenersi conseguito all’applicazione dell’art. 79 legge fallimentare e art. 2558 c.c., quest’ultimo espressamente invocato dal fallimento”. Ha, quindi, specificamente concluso – dopo aver giustificato il perchè di detta sua affermazione – nel senso che “…essendo la fattispecie riconducibile alla previsione specifica dell’art. 79 l.fall., deve escludersi il ricorso al principio generale di cui all’art. 72 L. Fall., facendo quest’ultimo esplicitamente salve le diverse disposizioni della sezione tra le quali v’è l’art. 79” (cfr. pag. 8-9 del medesimo decreto).
3.1.1. E’ affatto palese, allora, che l’affermazione, come quella riportata, in termini di astratta applicabilità ad un contratto di comodato dell’art. 72 L. Fall., contenuta nel decreto oggi impugnato, non abbia spiegato alcuna decisiva influenza sul dispositivo dello stesso, sicchè, rivelandosi improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse.
3.2. Parimenti inammissibile è, conseguentemente, anche il vizio motivazionale prospettato dai ricorrenti in ordine al medesimo punto, dovendo soltanto aggiungersi che, in ogni caso, tale doglianza sarebbe comunque radicalmente inammissibile perchè fa riferimento ad una nozione di vizio di motivazione non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis risultando impugnato un decreto decisorio reso il 17 febbraio 2015), atteso che tale mezzo di impugnazione può concernere esclusivamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti e non anche la pretesa (ma qui insussistente, per quanto si è precedentemente esposto) di contraddittorietà della motivazione.
3.3. Nella parte in cui il motivo in esame censura la ritenuta riconducibilità del caso di specie al combinato disposto dell’art. 79 L. Fall. e art. 2558 c.c. (cfr. pag. 30-35 del decreto impugnato), lo stesso deve considerarsi privo di fondamento.
3.3.1. Posto, invero, che l’art. 79 L. Fall., nel testo, qui utilizzabile ratione temporis, risultante dalle modifiche apportategli dal D.Lgs. n. 169 del 2007, sancisce che il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto di azienda (ma entrambe le parti possono recedere dal contratto entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L’indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall’art. 111, n. 1, L. Fall.), e che il giudice a quo ha ritenuto “pacifico” (nè, su questo specifico aspetto, è stata oggi formulata puntuale doglianza, anzi, rinvenendosene espressa conferma alla pagine 33-34 del ricorso) che il fallimento fosse subentrato nel contratto di affitto di azienda stipulato dalla fallita ***** s.r.l. con la Mongelluzzi Horeca s.r.l. il *****, deve conseguirne che detto contratto, essendone stato escluso il carattere personale (si legge, in proposito, nel decreto impugnato, che, “nel caso di specie, la circostanza che i comodanti hanno espresso il consenso, non solo per se stessi, ma anche impegnandosi per i propri eventuali successori ed aventi causa a qualsiasi titolo, a che il godimento del bene venisse ceduto dalla comodataria ad un soggetto terzo – così che il complesso immobiliare non viene ad essere detenuto dalla comodataria ma da un terzo soggetto, per una durata temporale del tutto considerevole – svilisce, all’evidenza, sia dal lato del comodante che del comodatario, l’aspetto di rilevanza delle qualità personali sia del soggetto concedente che di quello beneficiante: il comodante si impegna non solo per sè ma anche per i suoi successori ed aventi causa a qualsiasi titolo, ed il comodatario viene autorizzato a cedere a terzi l’intero complesso immobiliare. E che, nel caso di specie, i comodanti e la comodataria abbiano voluto un contratto di comodato svincolato dall’intuitus personae lo si inferisce anche dal fatto che, nell’economia complessiva dell’accordo, vi era anche l’interesse della Mongelluzzi Horeca s.r.l. da garantire. Quest’ultima, prendendo in affitto il ramo di azienda, doveva poter contare su una concreta e solida disponibilità del complesso immobiliare da parte della… ***** s.r.l. – non certo garantita da un mero contratto verbale di comodato, dal contenuto incerto soprattutto quanto al termine di durata del comodato ed alla sussistenza del consenso del comodante alla concessione del godimento del bene a terzi diversamente essendo per essa a rischio la possibilità di detenere il complesso immobiliare per l’intero periodo di durata della locazione…”), aveva continuato ad essere disciplinato dall’art. 2558 c.c., a tenore del quale, salva diversa pattuizione, l’acquirente dell’azienda (ed altrettanto è a dirsi per l’affittuario, giusta l’ultimo comma della medesima disposizione, per l’intera durata dell’affitto) subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale (cfr. Cass. n. 31466 del 2018, secondo cui la disciplina prevista dall’art. 2558 c.c., commi 1 e 3, è applicabile non solo alle ipotesi espressamente previste dalla norma, ma, estensivamente, anche ad altri casi, come l’affitto di ramo di azienda, in cui vi è, in forza di un fatto giuridico idoneo a produrla, la sostituzione di un imprenditore ad un altro nell’esercizio dell’impresa; Cass. n. 15065 del 2018, che ha altresì precisato che, in tema di successione nei contratti ai sensi dell’art. 2558 c.c., l’automatico subentro del cessionario in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale si applica soltanto ai cosiddetti “contratti di azienda”, aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della attività imprenditoriale, ed ai cosiddetti “contratti di impresa”, non aventi ad oggetto diretto beni aziendali, ma attinenti alla organizzazione dell’impresa stessa).
4. Il secondo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c..
4.1. Se è vero, infatti che, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, che ha natura impugnatoria ed è retto dal principio dell’immutabilità della domanda, non possono essere introdotte domande nuove o modificazioni sostanziali delle domande già avanzate in sede d’insinuazione al passivo (cfr. Cass. n. 26225 del 2017), è parimenti innegabile, a tacer d’altro, che la giurisprudenza di questa Corte si è, ormai, consolidata nel senso di ritenere che, nel giudizio suddetto, non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di ius novorum, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandato al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (cfr., ex multis, Cass. n. 19003 del 2017; Cass. n. 8246 del 2013; Cass. n. 8929 del 2012. In senso sostanzialmente analogo, si veda anche la più recente Cass. n. 22784 del 2018).
5. Parimenti inammissibili si rivelano, infine, nel loro complesso, il terzo ed il quarto motivo, esaminabili congiuntamente perchè evidentemente connessi.
5.1. Invero, laddove si insiste nel censurare la riconducibilità del contratto di comodato alla fattispecie regolata dall’art. 72 L. Fall., essi mostrano, come si è già chiarito nello scrutinio del primo motivo, di non aver integralmente colto la ratio decidendi posta alla base del rigetto della domanda di restituzione, individuata dal tribunale pugliese, concretamente, nella opinata applicabilità del combinato disposto dell’art. 79 l.fall. e art. 2558 c.c..
5.2. Inoltre, nella parte in cui contestano la ritenuta (dal giudice di merito) natura non personale del contratto di comodato intercorso tra gli A. e la ***** s.r.l. in bonis, nonchè il suo carattere precario, le doglianze, non solo non rispondono adeguatamente al principio cd. di autosufficienza del ricorso (oggi desumibile dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non riportando, nel contesto dei motivi, tutte le specifiche e corrispondenti pattuizioni afferenti sia l’appena menzionato contratto di comodato che quello, ulteriore, di affitto di azienda successivamente stipulato dalla ***** s.r.l. in bonis con la Mongelluzzi Horeca s.r.l., ma obliterano totalmente che il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sè (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del già citato principio di autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una di quelle potenziali e plausibili, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14938 del 2019, in motivazione).
5.2.1. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati.
5.2.2. Nel quadro di detti principi, risulta chiaro che i motivi in esame, così come esposti in ricorso, si risolvono nell’invocare una diversa lettura delle pattuizioni contrattuali involgenti i diversi rapporti intercorsi tra gli A. e la ***** s.r.l. in bonis, nonchè tra quest’ultima e la Mongelluzzi Horeca s.r.l., neppure riportandosene, come si è già detto, nell’osservanza del principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, il testo integrale, non essendo soddisfatto tale onere da una soltanto parziale loro riproduzione (cfr. Cass. n. 14938 del 2019, in motivazione, Cass. n. 2560 del 2007; Cass. n. 3075 del 2006; Cass. n. 16132 del 2005).
5.2.3. Nella specie, il giudice di merito ha offerto una ricostruzione del contenuto di tali pattuizioni fornendo una motivazione argomentata, non sindacabile, dunque, in ordine alle ragioni dell’esito dell’interpretazione, che si sottrae a verifiche in questa sede (perchè postulante accertamenti in fatto non consentiti a questa Corte) anche quanto alla da lui ritenuta insussistenza di una sopravvenuta ragione di urgente ed imprevedibile bisogno del comodante idonea a legittimare la richiesta di quest’ultimo, ex art. 1809 c.c., comma 2, di immediata restituzione del bene concesso in comodato.
5.3. Va considerato, infine, che la legge fallimentare nulla prevede, specificamente, quanto agli effetti del fallimento sul contratto di comodato.
5.3.1. In proposito, come è stato osservato anche in dottrina, il basso livello di protezione attribuito dalla disciplina del comodato al comodatario dà agio di ragionare su tale contratto nell’ambito della procedura fallimentare, secondo il criterio del favore per il fallimento, quando la procedura colpisce il comodante, ed in proposito questa Corte ha recentemente statuito che, in tema di comodato immobiliare a tempo determinato, il fallimento del comodante pronunciato dopo la stipulazione del relativo contratto genera l’obbligo del comodatario di restituire immediatamente, alla curatela che lo richieda, il bene oggetto del contratto stesso (cfr. Cass. n. 27938 del 2018).
5.3.2. L’argomento si complica, però, se la sorte del contratto di comodato debba stabilirsi osservando la ipotesi inversa, quella – come accaduto nella specie – del fallimento del comodatario. Qui le esigenze della massa inducono a preferire la soluzione della prosecuzione del rapporto, salva diversa volontà del curatore, soprattutto se scandito temporalmente o comunque destinato a durare finchè è utile il godimento del bene. Non è anomalo, del resto, che il fallimento incida in modo asimmetrico sui rapporti contrattuali in corso al momento della sua sopravvenienza, a seconda di quale delle parti sia sottoposta alla procedura concorsuale. Ciò che, invece, è singolare – ed il legislatore eccezionalmente lo stabilisce – è la continuazione del rapporto, sebbene sia riservata al curatore altra opzione.
5.3.3. In assenza, dunque, di specifica disposizione legislativa dettata per la sorte del comodato a tempo determinato nell’ipotesi di fallimento del comodatario, deve concludersi, per conseguenza rispetto alla ratio sottesa al regime dei rapporti preesistenti (il favore per la massa), nel senso della prosecuzione del rapporto ove il curatore, nella sua discrezionalità, non ne decida la interruzione (solo in quest’ultima ipotesi derivandone, conseguentemente, l’insorgenza, per il medesimo curatore, dell’obbligazione di immediata restituzione del bene).
6. Rileva, infine, il Collegio che a pag. 53 del ricorso si legge che “circa la domanda di rivendica, la proprietà dei beni in capo agli A. è stata dimostrata; essa è stata, tuttavia, proposta, e come tale viene riproposta, solo in via subordinata alla domanda di restituzione”.
6.1. Detta domanda, però, è stata esplicitamente respinta dal tribunale foggiano, il quale la valutò come inaccoglibile, pur avendo gli istanti dimostrato il loro diritto di proprietà, perchè i beni de quibus non erano stati acquisiti al fallimento ed essendo gli stessi oggetto di un contratto di comodato (cfr. pag. 9-10 del decreto impugnato). Ne consegue, dunque, che, in presenza di una specifica soccombenza sul punto, sarebbe stato onere dei ricorrenti proporre un puntuale motivo di impugnazione al fine di rimettere in discussione quella statuizione, rivelandosi, per contro, affatto insufficiente la mera riproposizione, in questa sede, della domanda predetta.
7. Il ricorso, dunque, va respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità, quantificate come in dispositivo, a carico dei ricorrenti soccombenti, in solido tra loro, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, in via solidale, da parte dei medesimi ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, e condanna A.D.A. e A.G.A., in solido tra loro, al pagamento, nei confronti della curatela controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, il comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2019