LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21985/2018 proposto da:
A.S., in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Stefano Francesco Maria Mannironi, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 631/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 28/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2019 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.
RITENUTO
CHE:
A.S., nato in *****, con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 impugnava dinanzi al Tribunale di Cagliari, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
Il richiedente proponeva gravame, insistendo per il riconoscimento della protezione in tutte le sue forme, dinanzi alla Corte di appello di Cagliari, che lo respingeva.
Egli aveva riferito di essere fuggito perchè aveva avuto uno scontro fisico con un giovane per difendere la sorella gemella dalle avances di questo ragazzo che le stava rendendo impossibile la vita nella citta di Lagos, e che questi era morto a seguito della colluttazione.
La Corte, nel respingere l’appello, ha ritenuto inattendibile il racconto e contraddittorio tra la versione resa alla Commissione e quella pronunciata dinanzi al Tribunale; ha quindi evidenziato che il richiedente si era reso responsabile del grave reato di omicidio, sia pure preterintenzionale, e che non aveva spiegato da chi avrebbe dovuto essere corrotta la Polizia, posto che tale motivo aveva addotto per giustificare la mancata presentazione alle forze dell’ordine per sostenere la tesi della legittima difesa; su tali considerazioni ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).
Ha escluso anche la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) cit., sulla dirimente circostanza che il richiedente proveniva dall'*****, Stato posto a sud-est della *****, non interessato a conflitti interreligiosi, nè interessato da un conflitto armato interno o internazionale, sulla scorta del rapporto EASO giugno 2017 e del sito della Farnesina.
Ha, infine, negato la protezione umanitaria – sulla considerazione che la richiesta era motivata analogamente ed esclusivamente come quella per le altre forme di protezione ed andava ugualmente respinta – ed il diritto di asilo in quanto ricompreso ed esaminato nelle altre forme di protezione.
Il ricorso è articolato in otto mezzi corroborati da memoria; il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1.1. Primo motivo: Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 4,28 e 32 in relazione agli artt. 24,97 e 111 Cost. – Contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente afferma di avere un autonomo diritto al rispetto delle disposizioni volte a disciplinare la composizione ed il funzionamento delle Commissioni territoriali che travalica quello volto ad ottenere la protezione richiesta e si duole che la Corte di appello abbia disatteso la questione ravvisando il carattere amministrativo del provvedimento della Commissione e la novità ed autonomia del procedimento giurisdizionale attivato. Chiede anche di sollevare questione di legittimità costituzionale della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5 per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost. poichè nel caso concreto dette disposizioni non erano state ritenute applicabili, così precludendo l’ottenimento dell’annull a.to del provvedimento amministrativo.
1.2. Il motivo è infondato, dovendo questa Corte confermare la propria giurisprudenza, secondo la quale l’eventuale nullità del provvedimento amministrativo di diniego della protezione internazionale, reso dalla Commissione territoriale, non ha autonoma rilevanza nel procedimento introdotto dinanzi all’autorità giudiziaria avverso detto provvedimento, poichè tale giudizio ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, sicchè deve pervenire alla decisione sulla spettanza, o meno, del diritto stesso e non può limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (Cass. n. 26480/2011; Cass. n. 18632/2014; Cass. n. 7385/2017; Cass. n. 23472/2017; Cass. n. 12357/2018).
1.3. Privi di consistenza sono, pure, i dubbi di costituzionalità della L. n. 2248 del 1865, artt. 4 e 5, non avendo il ricorrente neppure enunciato in che modo le censurate disposizioni – che regolano i limiti in cui l’A.G.O. può conoscere degli effetti dei provvedimenti amministrativi, come tracciati dalla legge abolitiva del contenzioso amministrativo del 1865 – potrebbero produrre disparità di trattamento o pregiudicare il diritto di difesa ed ad un equo processo del richiedente, processo che, in quanto attinente alla categoria dei diritti umani fondamentali, è, appunto, demandato alla giurisdizione ordinaria, dotata di piena cognizione di merito a conoscere della fondatezza della domanda (Cass. n. 30105/2018).
2.1. Secondo motivo: Violazione del D.P.R. n. 303 del 2004, art. 4 in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. – contraddittorietà della motivazione.
Il ricorrente si duole che il provvedimento della Commissione territoriale sia stato tradotto nelle lingue veicolari, ma non nella lingua conosciuta dall’istante e che ciò avrebbe pregiudicato i suoi diritti di difesa e ripropone la questione di legittimità costituzionale prima esaminata.
2.2. Il motivo è infondato perchè la nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo, ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sè la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. n. 7585/2017; Cass. n. 30105/2018).
Quanto ai profili di costituzionalità si rinvia a quanto chiarito al par. 1.3.
3.1. Terzo motivo: Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) e art. 3 nonchè della L. n. 39 del 1990, art. 1 e succ. mod., nonchè dell’art. 115 c.p.c. – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente si duole che le sue dichiarazioni in ordine alle ragioni dell’allontanamento dalla ***** non siano state adeguatamente valutate dalla Corte di appello, così come la reale situazione politico sociale dell'***** di provenienza e l’elevato grado di corruzione nelle forze dell’ordine.
3.2. Il motivo è inammissibile perchè propone sostanzialmente censure di merito in quanto sollecita una rivalutazione del timore espresso per un eventuale rientro in ***** e della situazione socio/politica dell'*****, inammissibile in sede di legittimità.
4.1. Quarto motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 2, in rel. al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 13 dell’art. 6 Dir. CEE n. 115/08 – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente si duole che vi sia stata una omessa pronuncia o un difetto di motivazione a proposito della domanda di asilo, erroneamente ritenuta dai giudici di merito ricompresa nelle altre e gradate forme di protezione; sostiene che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che impone il divieto di espulsione e respingimento per lo straniero che possa essere oggetto di persecuzioni o di trattamenti disumani, deve rientrare nell’alveo dell’art. 10 Cost. Invoca un nuovo intervento legislativo che attui l’art. 10 Cost.
4.2. Il motivo è infondato.
Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, “Il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed all’art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3" (Cass. n. 16362/2016); va inoltre considerato che, nello specifico, la Corte di appello ha escluso in fatto l’esposizione del ricorrente al rischio di persecuzione, e tale accertamento non è fatto oggetto di idonea censura con il motivo in esame.
5.1. Quinto motivo: Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 16 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, – Omesso esame di un fatto decisivo.
Il ricorrente sostiene che nel valutare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria vi sia un’attenuazione del nesso causale tra la vicenda individuale ed il rischio rappresentato, rispetto a quanto richiesto per il riconoscimento del rifugio politico.
Contesta inoltre la valutazione compiuta dalla Corte di appello circa la inattendibilità del racconto e la ascrivibilità allo stesso di un reato gravo, quale l’omicidio preterintenzionale, che contesta; si duole che non sia stata considerata la professione della religione cristiana, che sia stata sottovalutata la presenza di B.H..
4.2. Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha escluso la credibilità del racconto e, in fatto, i presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione richieste, avendo accertato che lo Stato di origine del richiedente si trova nella parte a sud est della *****, non è uno Stato interessato da conflitti interreligiosi, nè presenta situazioni di conflitto armato interno o internazionale, come definiti dalla giurisprudenza Europea, perchè possa riconoscersi sussistente il presupposto per il riconoscimento della protezione sussidiaria anche ex art. 14, lett. c) cit..
Orbene il motivo non si confronta con tale statuizione attraverso puntuali censure e non indica il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso e che avrebbe potuto condurre ad una decisione differente, ma richiama fonti senza illustrare gli specifici fatti riferiti e cita precedenti di merito, privi di diretta incidenza perchè relativi a soggetti diversi ed a situazioni oggetto di autonoma valutazione; in altri termini, la censura è diretta a sollecitare un’impropria rivisitazione dell’apprezzamento di fatto compiuto in sede di merito circa la credibilità del racconto e la situazione socio/politica della *****.
6.1. Sesto motivo: Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e dell’art. 6, comma 4, della Dir. CEE 16/12/2008 n. 115 – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Il ricorrente, avendo rammentato di avere esposto che in ***** è applicata la pena di morte e sono sistematicamente attuati trattamenti disumani e degradanti verso la popolazione inerme, sulla scorta di ciò richiede il riconoscimento della protezione. Infine afferma che l’art. 6, par. 4, della direttiva 115/2008/CE contempla la possibilità che gli stati membri prevedano il rilascio di permessi di soggiorno, oltre che per motivi umanitari, anche per motivi “caritatevoli… o di altra natura”.
Il motivo è inammissibile perchè la Corte di appello ne ha escluso in fatto i presupposti e le censure del ricorrente sono sostanziali censure di merito.
E’, comunque, opportuno rammentare che l’art. 6, par. 4, della direttiva 115/2008/CE contempla soltanto una possibilità – non un obbligo – per gli Stati membri, e il legislatore italiano non ha ritenuto di prevedere, oltre alle fattispecie di protezione internazionale costituite, come si è detto, dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal permesso di soggiorno per motivi umanitari, anche il rilascio di permessi di soggiorno per motivi caritatevoli o di altra natura (Cass. n. 12357/2018).
7.1. Settimo motivo: Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, – Omesso esame di un fatto decisivo.
Il ricorrente si duole del rigetto della richiesta di protezione umanitaria e sostiene che le ragioni del suo allontanamento dalla ***** avrebbero giustificato il riconoscimento della protezione, che non sarebbe stata esaminata la documentazione comprovante la sua integrazione (corso per l’apprendimento della lingua italiana).
7.2. Il motivo è inammissibile perchè la pretesa si fonda su circostanze di fatto che non sono state oggetto di accertamento nella sentenza impugnata e non indica alcun elemento individualizzato di vulnerabilità, dedotto tempestivamente e in maniera circostanziata e non valutato..
8.1. Ottavo motivo: Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, della L. n. 228 del 2012, art. 1 omesso esame di un fatto decisivo.
La censura è appuntata sulla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, compiuta dalla Corte di appello.
8.2. Il motivo è inammissibile, dovendo tale statuizione essere impugnata con opposizione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170 (Cass. n. 3028/2018; Cass. n. 13807/2011; Cass. n. 21685/2013; Cass. n. 21700/2015), e non con ricorso per cassazione.
9. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, stante l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00=, oltre spese prenotate a debito;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019
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