Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.28007 del 31/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3327/2018 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA PERTUSA 4, presso lo studio dell’avvocato OTTORINO AGATI, rappresentato e difeso dagli avvocati CRISTIANA DONIZETTI, STEFANO GIORDANO;

– ricorrente –

contro

CENTROUFFICIO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERFRANCO PUCCIO;

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore e procuratore speciale Dott. A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38 presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO ARICO’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2281/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/06/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

B.G. riportò gravi lesioni personali in un sinistro avvenuto il ***** nell’autostrada *****, allorquando, mentre si trovava all’esterno dell’auto da lui condotta (di cui aveva perso il controllo, andando ad urtare contro il guard-rail di sinistra), era stato investito da un autocarro che, nonostante la segnalazione del veicolo fermo sulla carreggiata, non si era arrestato in tempo utile ad evitare l’incidente;

il B. e la moglie M.G. convennero in giudizio, per il risarcimento dei danni, la società Centroufficio s.r.l., P.S. e la Carige Assicurazioni s.p.a., nelle rispettive qualità di proprietaria, conducente e assicuratrice dell’autocarro;

il Tribunale di Termini Imerese, Sez. Dist. di Cefalù (avanti al quale la causa era stata riassunta a seguito della dichiarazione di incompetenza da parte del Tribunale di Palermo), accertò l’esclusiva responsabilità del P. e condannò tutti i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni (quantificati in 1.127.308,00 Euro quanto al B. e in 35.310,00 Euro in favore della M.), dichiarando altresì la responsabilità per mala gestio in capo all’assicuratrice ed affermandone pertanto la responsabilità ultramassimale per gli interessi compensativi;

provvedendo sul gravame della Centrouffficio s.r.l., la Corte di Appello di Palermo ha riformato parzialmente la decisione di primo grado, accertando un concorso colposo del P. e del B. (nelle rispettive misure del 70% e del 30%), quantificando in misura inferiore il danno non patrimoniale subito dal P. e condannando pertanto gli originari convenuti al pagamento di 314.133,14 Euro (al netto dell’importo di 250.000,00 Euro già versato dalla Carige), oltre interessi compensativi dalla data del sinistro ed oltre interessi moratori dalla data della pronuncia al saldo;

ha proposto ricorso per cassazione B.G., affidandosi a tre motivi illustrati da memoria; hanno resistito sia la Centroufficio s.r.l. che la Amissima Assicurazioni s.p.a. (già Carige Assicurazioni).

CONSIDERATO

che:

col primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., assumendo che la Corte di merito ha errato nel ritenere applicabile alla fattispecie la previsione dell’art. 2054 c.c., comma 2 (concernente l’ipotesi dello scontro tra veicoli, non verificatosi nel caso in esame) anzichè – come avrebbe dovuto – la norma dell’art. 2054 c.c., comma 1, con conseguente obbligo del P. (e dei responsabili solidali) di risarcire il danno provocato alla persona del B., in difetto della prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno;

il motivo è inammissibile, in quanto “eccentrico” rispetto alla ratio decidendi, che – nonostante richiami in un passaggio la previsione dell’art. 2054 c.c., comma 2 – non è basata sull’applicazione della presunzione di paritario concorso dei soggetti coinvolti; infatti la Corte – per un verso – ha mostrato di non dubitare della responsabilità del P. (riconducibile evidentemente alla previsione dell’art. 2054 c.c., comma 1) e – per altro verso – ha compiuto un accertamento in concreto della condotta del B., individuando elementi (quali la situazione di pericolo provocata dal precedente eccesso di velocità, il posizionamento del segnale mobile di pericolo ad una distanza inferiore a quella prevista e l’essersi posto dietro la propria vettura) che ha ritenuto idonei a integrare un fatto colposo rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1;

il secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione “dell’art. 2729 c.c. e art. 116 c.p.c., con riferimento alla perizia svolta nell’ambito del procedimento penale a carico del P.”: il ricorrente contesta l’affermazione della Corte circa l’impossibilità di utilizzare la relazione della consulenza cinematica svolta in sede di indagini preliminari nel procedimento a carico del P. per il fatto che il procedimento penale non aveva avuto cognizione piena e si era concluso con pronuncia ai sensi dell’art. 444 c.p.p.; rileva che la circostanza che la sentenza di “patteggiamento” non produca effetti di cosa giudicata nella causa civile non impedisce al giudice di quest’ultima di “tenere conto, nell’ambito del suo libero apprezzamento, di atti e documenti che (…) si siano formati in sede penale e siano stati riversati in sede civile”;

la censura è inammissibile, per più motivi:

la violazione dell’art. 116 c.p.c., non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 11892/2016, Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 1229/2019): infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione;

la violazione dell’art. 2729 c.c., non è prospettata, come avrebbe dovuto (cfr. Cass., S.U. n. 1785/2018, in motivazione) sotto il profilo della violazione dei presupposti che consentono di ritenere integrata (o di escludere) la possibilità di una inferenza di natura presuntiva;

la censura è incompleta in quanto si limita a contestare l’assunto -effettivamente erroneo (cfr., ex multis, Cass. n. 2168/2013 e Cass. n. 26250/2011) – secondo cui la consulenza svolta in sede di indagini preliminari non potrebbe essere valutata in difetto di un vaglio dibattimentale, senza attingere l’intero ragionamento seguito dalla Corte che – a ben vedere – ha evidenziato l’inattendibilità della consulenza in quanto basata unicamente sugli elaborati della Polizia Stradale, che non tenevano conto di quanto riferito dai testi oculari (cfr. pag. 10 della sentenza);

il terzo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2729 e 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio “con riferimento alla sentenza ex art. 444 c.p.p., pronunciata a carico del P.”: il ricorrente si duole che la Corte abbia del tutto omesso di valutare la circostanza che fosse stata pronunciata una sentenza di “patteggiamento”, comportante un riconoscimento di responsabilità e costituente fatto dal quale il giudice civile avrebbe potuto trarre elementi di giudizio;

il motivo è inammissibile – oltrechè per quanto osservato per il secondo motivo in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 2729 c.c. – per il fatto che l’eventuale valutazione della pronuncia della sentenza ex art. 444 c.p.p., quale elemento a carico del P. sarebbe comunque priva di “ricadute” sul piano dell’affermazione del concorso colposo del B., cui non osta il pur avvenuto riconoscimento della responsabilità (civile, oltrechè penale) del detto P.;

il ricorso va pertanto dichiarato, nel complesso, inammissibile, con ogni conseguenza in punto di spese di lite;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate, per ciascun controricorrente, in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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