LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CATALDI Michele – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7069-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERTALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
HERA SPA;
– intimata –
Nonchè da:
HERA SPA in persona del Presidente della C.d.A e legale rappresentate pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO TROLLO, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE ANGELO LUPOI giusta delega in calce;
– controricorrente incidentale –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2297/2017 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA, depositata il 17/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/06/2019 del Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE;
udito il P.M. in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI ETTORE che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso principale, rigetto ricorso incidentale;
udito per il ricorrente l’Avvocato VALENZANO che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BALZANO per delega dell’Avvocato LUPOI che ha chiesto l’inammissibilità o rigetto del ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
A norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, convertito nella L. n. 427 del 1993, la società Hera spa (già Meta spa) esercente un servizio pubblico locale ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22 nel settore della distribuzione di energia elettrica, gas metano, servizio idrico e raccolta rifiuti, era ammessa a beneficiare per la durata di tre anni del medesimo regime di esenzione dal pagamento di Irpeg ed Ilor previsto dalla normativa tributaria in favore dell’ente comunale D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, ex art. 74.
La Commissione Europea con decisione 2003/193/CE del 5.6.2002 qualificava tale esenzione fiscale quale aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune. Conseguentemente l’Agenzia delle Entrate emetteva due avvisi di accertamento per gli anni di imposta 1998 e 1999, seguiti da due avvisi di accertamento integrativi, con i quali recuperava gli aiuti di Stato illegittimamente fruiti ed applicava gli interessi composti sulle somme che dovevano essere restituite.
La società Hera spa proponeva distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Bologna che, previa riunione, con sentenza n. 117 del 2013 li accoglieva “limitatamente al calcolo degli interessi”, che doveva essere effettuato con cadenza annuale anzichè ad intervalli quinquennali, dovendo trovare applicazione l’art. 11 paragrafo 3 del Regolamento n. 794/2004 nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 1 del Regolamento n. 271 del 2008, e non nel testo previgente applicato dall’Ufficio.
L’Agenzia delle Entrate appellava la sentenza della Commissione tributaria provinciale nella parte in cui aveva disposto il ricalcolo degli interessi, e la società si costituiva proponendo appello incidentale. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con sentenza n. 2279 del 17 luglio 2017, rigettava l’appello principale dell’Ufficio e ed accoglieva l’appello incidentale della società limitatamente alle modalità di calcolo degli interessi composti secondo cadenza annuale.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, con unico motivo, deducendo:”Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 24 convertito nella L. n. 2 del 2009 in relazione all’art. 1 del Regolamento CE n. 271 del 2008 che ha modificato gli artt. 9 e 11 del Regolamento CE n. 794 del 2004, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. “, nella parte in cui non ha confermato la pretesa erariale negli importi richiesti dall’Ufficio atteso che, applicando il Regolamento n. 794/2004 come risultante dalle modifiche introdotte dal Regolamento n. 271/2008, il calcolo degli interessi a carico della contribuente risulterebbe più gravoso.
Hera spa resiste con controricorso chiedendo di dichiarare inammissibile o infondato il ricorso della Agenzia delle Entrate; a propria volta propone ricorso incidentale con sette motivi (numerazione decorrente dal motivo indicato come terzo).Deposita memoria con cui reitera la richiesta di dichiarare inammissibile il ricorso della Agenzia delle Entrate per carenza di interesse.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse ad agire (art. 100 c.p.c.). Dal verbale di udienza del 12.7.2017 svoltasi davanti alla C.T.R., citato dalla controricorrente, risulta che l’Ufficio appellante ha espresso l’opinione che la capitalizzazione degli interessi su base annua o quinquennale non conducesse a risultanti difformi, ma non risulta alcuna rinuncia alla richiesta contenuta nell’atto di appello, con cui l’Agenzia delle Entrate chiedeva di confermare la pretesa impositiva negli importi quantificati negli atti impugnati. Ne consegue l’infondatezza della eccezione di carenza di interesse della Agenzia delle Entrate alla impugnazione della sentenza della C.T.R. che ha rigettato il proprio appello.
A),II ricorso principale, ammissibile, è fondato nei termini di seguito indicati.
In via di principio occorre ribadire, quanto affermato da questa Corte in tema di recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili dalla decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, e con riguardo al computo degli interessi, secondo cui il rinvio operato dal D.L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 4, convertito dalla L. n. 2 del 2009, al capo V del Regolamento CE della Commissione Europea n. 794 del 2004, va inteso come formale, ovvero mobile, e non sostanziale e fisso, e, quindi, riferito all’art. 11, pt. 3, di detto regolamento, come successivamente modificato, sicchè, ove sia trascorso più di un anno tra la data in cui l’aiuto illegittimo è stato messo per la prima volta a disposizione del beneficiario e quella di recupero dell’aiuto, il tasso di interesse va ricalcolato ad intervalli di un anno sulla base del tasso in vigore al momento in cui si effettua il ricalcolo. (Sez. 5 -, Sentenza n. 23800 del 23/11/2016: Sez. 5 n. 3163 del 2018). Peraltro, la qualificazione del rinvio quale formale o “mobile, anzichè sostanziale o “fisso”, è rilevante ai fini del recepimento della normativa richiamata (Regolamento CE n. 791/2004) nel testo risultante da eventuali modifiche sopravvenute all’entrata in vigore della norma richiamante (D.L. n. 185 del 2008, art. 24). Nel caso in esame va osservato che il D.L. 29 novembre 2008 n. 185 è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (29.11.2008), e pertanto il rinvio, contenuto nel citato D.L. n. 185 del 2008, art. 24, comma 4, al capo V del Regolamento n. 794/2004 della Commissione, già inglobava le modifiche, sulle modalità di calcolo degli interessi, apportate dal successivo Regolamento n. 271/2008 entrato in vigore venti giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, avvenuta il 25.3.2008.
Ciò premesso, risulta fondato il rilievo dell’Ufficio secondo cui, al fine di verificare se le modifiche sul calcolo degli interessi per il recupero degli aiuti di Stato illegittimi, introdotte dal Regolamento n. 271/2008, siano più favorevoli al contribuente rispetto agli interessi applicati dall’ente impositore, occorre avere riguardo all’intero capo V del Regolamento 794/2004 risultante dalle modifiche apportate dal Regolamento n. 271/ 2008, considerando quindi anche il nuovo testo dell’art. 9, comma 2 (come modificato dall’art. 1 parag.3 Regolamento n. 271/2008) secondo cui “il tasso di interesse è calcolato aggiungendo cento punti base al tasso del mercato monetario a un anno”. Qualora la metodologia di calcolo complessivamente prevista dal capo V del Regolamento modificato risulti più favorevole, di essa si dovrà fare applicazione, con le conseguenti determinazioni di merito. Qualora invece il nuovo sistema di calcolo fosse più svantaggioso per il contribuente, l’atto impositivo dovrà essere confermato nella entità pretesa dalla Agenzia delle Entrate, non essendo consentito al giudice tributario (come al giudice civile) determinare la pretesa impositiva in misura maggiore di quella richiesta dalla Amministrazione finanziaria, ostandovi il divieto di ultrapetizione (art. 112 c.p.c.).
B) Il ricorso incidentale (con numerazione decorrente da n. 3) è infondato.
3.11 terzo motivo deduce:”Illegittimità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18,24 e 57 nella parte in cui considera inammissibili in quanto tardivi i motivi di ricorso relativi al corretto calcolo degli interessi con riferimento agli avvisi di accertamento impugnati con le cause riunite r.g.r. n. 1162/2009 e n. 16663/2009 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4".
La censura è infondata. Dai passi del ricorso trascritto (pag.20 controricorso e ricorso incidentale) non risulta che la specifica questione, relativa alla cadenza annuale o quinquennale del calcolo degli interessi, sia stata posta sin dalla proposizione dell’originario ricorso introduttivo, essendo stata formulata tardivamente con la memoria illustrativa, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata.
4.11 quarto motivo deduce “In via gradata rispetto al punto 3 che precede: illegittimità della sentenza nella parte in cui considera inammissibili in quanto tardivi i motivi di ricorso relativi al corretto calcolo degli interessi con riferimento agli avvisi di accertamento impugnati con le cause riunite r.g.r. n. 1162/2009 e n. 1663/2009, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Il motivo è inammissibile. Il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo, di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, può riguardare solo una quaestio facti. Esso si determina quando nella sentenza viene omesso l’esame non di una questione giuridica, ma di un fatto, decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti. Quindi deve trattarsi, in primo luogo, di un fatto, cioè di “un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico”. L’omesso esame che viene in considerazione, contrariamente a quanto poteva accadere in passato allorquando il legislatore utilizzava la ben più ampia nozione di “punto decisivo della controversia”, non può riguardare questioni di diritto, non può avere ad oggetto il mancato esame di una questione giuridica, ma esclusivamente di un “fatto cioè di “un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico” (Sez. U. n. 5745 del 23/3/2015).
5. Il quinto motivo deduce: “Illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 200, n. 212, art. 7, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, comma 2 e D.L. 185 del 2008, art. 24 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.” nella parte in cui la C.T.R. non ha ritenuto necessario che la motivazione degli avvisi di accertamento dovesse estendersi alla indicazione della ragioni per le quali la fruizione della agevolazione fiscale in oggetto si sarebbe tradotta in un indebito aiuto di Stato a favore della società ricorrente.
Il motivo è infondato. Come correttamente osservato dal giudice di appello, una volta che l’Agenzia delle Entrate ha motivato l’accertamento mediante allegazione del fatto che la contribuente è una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990 e che ha beneficiato della esenzione fiscale prevista dal del D.L. 331 del 1993, art. 66, comma 14, esenzione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario dalla decisione 2003/193/CE della Commissione del 5 giugno 2002 (circostanze non controverse), nessun altra motivazione era richiesta a sostegno dell’atto di recupero delle somme corrispondenti all’illegittima esenzione, atto che doveva necessariamente essere adottato in forza della natura vincolante delle decisioni della Commissione Europea e secondo le modalità di attuazione stabilite dalla legge nazionale.
6.11 sesto motivo deduce: “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, illegittimità della sentenza per violazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 24 in relazione alla rilevanza del regime di monopolio legale nel settore dei servizi in cui operava la società: non incidenza dell’aiuto sul corretto funzionamento del mercato.”
Il motivo è infondato. Il D.L. n. 185 del 2008, art. 24 intitolato “Attuazione della decisione 2003/193/CE in materia di recupero di aiuti illegittimi”, non consente di operare alcuna valutazione difforme, circa l’incompatibilità con il divieto di aiuti di Stato della esenzione fiscale prevista dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, rispetto a quanto autoritativamente stabilito dalla decisione della Commissione Europea.
7. Il settimo motivo deduce: “Illegittimità della sentenza per violazione del D.L. 185 del 2008, art. 24 in relazione all’errore nella individuazione dei parametri legali di quantificazione dell’aiuto di Stato effettivamente fruito con riferimento alla parte di reddito distribuita sotto forma di dividendi negli avvisi di accertamento impugnati nella cause R.g.r. 2334 e 2338 del 2009 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 “, nella parte in cui ha ritenuto legittima la ripresa a tassazione anche della parte di reddito distribuita sotto forma di dividendi ai soci enti pubblici.
Il motivo è infondato. Questa Corte ha già precisato che il recupero degli aiuti di Stato dichiarati illegittimi è obbligatorio in relazione a tutti gli importi che la contribuente avrebbe dovuto versare a titolo di pagamento delle imposte sul reddito in assenza della norma di esenzione dichiarata illegittima con la decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE. A tale obbligo di recupero fanno eccezione esclusivamente gli aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola “de minimis”, e gli aiuti giudicati eccezionalmente compatibili dalla Commissione in determinati specifici settori stabiliti da norme comunitarie (da ultimo Sez.5 n. 3163 del 2018).
8.11 motivo ottavo deduce: “Illegittimità della sentenza per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 71,73,74 e 75 con riferimento alla erronea individuazione dei parametri legali di quantificazione dell’importo dovuto, in relazione agli avvisi di accertamento impugnati nei procedimenti R.g.r. n. 1662 e 1663 del 2009 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, nella parte in cui la C.T.R. ha negato la deducibilità dei costi accantonati per il ripristino delle discariche; inoltre la ricorrente censura l’Ufficio nella parte in cui ha negato la deducibilità del fondo svalutazione crediti eccedente lo 0,5% del totale dei crediti ed ha disconosciuto le spese di rappresentanza relative all’anno di imposta 1999.
Il motivo è infondato con riguardo alla deducibilità dei costi accantonati per il ripristino delle discariche. Il giudice di appello ha negato la deducibilità di detti costi riferiti agli anni di imposta 1998 e 1999 sul rilievo che “la società non ha esibito ai verificatori, nè prodotto in udienza successivamente, alcun documento dal quale possa ricavarsi la metodologia adottata per computare detti costi futuri il cui ammontare è sommariamente stimato senza alcuna indicazione della natura degli interventi da effettuare e degli esborsi ad essi correlati”. La motivazione non implica alcuna delle violazioni di legge denunciate ed è insindacabile quanto alle valutazioni di merito circa l’insussistenza di elementi di prova certi sul costo effettivamente sostenuto negli anni di competenza.
Il motivo è inammissibile con riferimento alla deducibilità delle eccedenze del fondo svalutazione crediti e delle spese di rappresentanza, sia perchè censura direttamente gli atti impositivi anzichè la sentenza impugnata, sia per violazione del principio di autosufficienza, non contenendo alcuna indicazione in ordine alla circostanza che tali questioni siano state effettivamente dedotte con il ricorso introduttivo e riprese con l’appello incidentale, di modo che esse appaiono introdotte per la prima volta con il ricorso per cassazione.
9. Il nono motivo deduce: “Illegittimità della sentenza per violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 (cosiddetto condono tombale) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3” nella parte in cui la C.T.R. non ha valutato la rilevanza della adesione da parte della società al condono tombale previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 9.
La censura è infondate. Il giudice di appello ha correttamente osservato che il D.L. 185 del 2008, art. 24, comma 1 stabilisce testualmente che “per il recupero dell’aiuto di Stato non assume rilevanza l’intervenuta definizione in base agli istituti di cui alla L. 27 dicembre 2002 n. 289”.
In accoglimento del ricorso principale la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione, alla quale è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso indicato a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2019.
Depositato in cancelleria il 6 novembre 2019