Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28718 del 07/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30540-2018 proposto da:

I.O.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TORINO 7, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUCA VITALE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI *****, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 613/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO VALITUTTI.

RILEVATO

che:

I.O.S., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati con memoria, avverso la sentenza n. 613/2018, emessa dalla Corte d’appello di Venezia, depositata il 13 marzo 2018, con la quale è stata confermata l’ordinanza del Tribunale di Venezia che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dallo straniero;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia ritenuto di concedere al medesimo la protezione sussidiaria, sebbene sussistessero i relativi presupposti di legge, e senza effettuare alcun accertamento ufficioso in ordine alla situazione socio-politica del Paese d’origine.

Ritenuto che:

ai fini della concessione della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), sia indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente;

la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisca, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c), costituente un parametro di attendibilità della narrazione;

il vizio di violazione di legge consista, invece, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, e come tale è inammissibile in subiecta materia (Cass. 3340/2019);

in mancanza di credibilità dell’istante, debba, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.

Rilevato che:

nel caso concreto, la Corte d’appello – condividendo la valutazione del Tribunale e della Commissione territoriale – ha ritenuto, con adeguata e logica motivazione, non attendibili le dichiarazioni del ricorrente, circa le ragioni per le quali avrebbe abbandonato la Nigeria;

la Corte ha, invero, rilevato che il richiedente ha, per un verso, prospettato una situazione strettamente personale, rappresentata dal conflitto con uno zio per questioni ereditarie, con il “conseguente intento del parente di liberarsi dal nipote tramite un processo penale pilotato”, il che, tuttavia, collide con il fatto che i beni, oggetto di contesa, sono stati già alienati, per il che è certamente venuta meno la materia del contendere, per altro verso, ha prospettato, sul piano del pericolo di subire una detenzione ingiusta, l'”eventualità che un processo penale venga influenzato dalle interferenze di un parente che non ha più, di fatto, interesse alla eliminazione dell’antagonista”; per di più, nessun elemento sarebbe stato fornito dall’istante circa la pretesa impossibilità di subire un ingiusto processo in patria, al di là della generica, e non comprovata, asserzione della corruttibilità dei giudici nigeriani;

dalla assoluta, riscontrata, non plausibilità della narrazione dei fatti, è correttamente conseguita la esclusione, da parte della Corte d’appello, della possibilità di concedere allo straniero la protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

la censura sul punto in esame è stata, per contro, inammissibilmente dedotta sub specie del vizio di violazione di legge, e si concreta in una generica disamina dei principi giuridici in materia.

Ritenuto che:

per quanto concerne la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197);

pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorga il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).

Rilevato che:

nel caso concreto, la Corte territoriale ha accertato la non attinenza dei fatti narrati dall’appellante alla situazione generale, socio-politica, della Nigeria, avendo il medesimo fatto riferimento esclusivamente a vicende strettamente private, per di più prive di attendibilità, mentre “nessuna sua allegazione o censura specifica” ripropone in termini attendibili ed apprezzabili la questione della ricorrenza di una minaccia grave alla vita o alla persona, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); ne discende che – per le considerazioni suesposte – a fronte di un evidente difetto di allegazione, nessun accertamento istruttorio officioso doveva essere disposto dalla Corte d’appello;

il motivo di ricorso si concreta, per contro, in una generica disamina dei principi giuridici in materia, senza alcuna contestazione specifica del decisum dell’impugnata sentenza.

Considerato che:

con il secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente censura l’impugnata sentenza, nella parte in cui non ha ritenuto di concedere al medesimo neppure il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Ritenuto che:

che la attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolga un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Rilevato che:

nella specie – come dianzi detto – il ricorrente è stato ritenuto del tutto inattendibile dalla Corte d’appello, mentre il mezzo si risolve nella mera, generica, esposizione dei principi giuridici in materia, senza l’indicazione di alcuna ragione di vulnerabilità prospettata al giudice di appello, che possa dare luogo all’applicazione della misura di protezione in esame.

Ritenuto che:

per tutte le ragioni esposte, il ricorso debba essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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