Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28721 del 07/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 727-2019 proposto da:

K.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPE ONORATO, MARIA PAOLA CABITZA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI *****, PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI CAGLIARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 952/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 08/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO VALITUTTI.

RILEVATO

che:

K.E., cittadino del Ghana, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 952/2018, emessa dalla Corte d’appello di Cagliari, depositata l’8 novembre 2018, con la quale è stata rigettata la domanda di protezione internazionale proposta dallo straniero;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso – denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia valutato la situazione socio-politica del Paese di transito, ossia la Libia, nel quale l’istante aveva vissuto per tre anni, e dal quale è dovuto fuggire per la situazione di conflitto armato verificatasi dopo la caduta di Gheddafi.

Ritenuto che:

ai fini della concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), sia indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente;

la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisca, peraltro, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c), costituente un parametro di attendibilità della narrazione (Cass., 05/02/2019, n. 3340;

in mancanza di credibilità dell’istante, debba, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Rilevato che:

nel caso concreto, la Corte d’appello ha – con motivazione ampia e dettagliata – escluso che la versione dei fatti posti a fondamento della domanda fosse credibile, sia in relazione al Paese di origine (il Ghana), con riferimento al preteso omicidio della zia e del fratello minore, in relazione al quale il richiedente aveva reso dichiarazioni confuse e contraddittorie, sia in relazione al Paese di transito, con riferimento ai presunti maltrattamenti subiti in Libia, avendo – a tale ultimo riguardo – il ricorrente dichiarato, in sede amministrativa, di avere abbandonato la Libia perchè non era un Paese sicuro, laddove, solo in sede giurisdizionale, aveva parlato di maltrattamenti e di atti di violenza;

dalla assoluta, riscontrata, non plausibilità della narrazione dei fatti, è correttamente conseguita la esclusione, da parte della Corte d’appello, della possibilità di concedere allo straniero la protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), sia con riferimento al Paese di origine che a quello di transito; va, peraltro, altresì rilevato che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito, nella specie la Libia, si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda di protezione, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass., 06/02/2018, n. 2861);

la censura sul punto in esame è, peraltro, inammissibile, essendo del tutto generica, e non cogliendo la suesposta ratio decidendi dell’impugnata sentenza.

Considerato che:

con il secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente escluso la sussistenza si una situazione di violenza indiscriminata, conseguente ad un conflitto interno o internazionale in atto, nel Paese di origine.

Ritenuto che:

per quanto concerne la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197);

pertanto, soltanto quando il cittadino straniero 1 che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorga il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).

Rilevato che:

nel caso concreto, la Corte d’appello ha accertato la non attinenza dei fatti narrati dall’appellante alla situazione generale, socio-politica, del Ghana – al quale l’istante ha fatto riferimento nel giudizio di appello, al fine di dedurre il mancato accertamento officioso, da parte del primo giudice, delle condizioni nelle quali versa tale Paese – avendo il medesimo fatto riferimento a vicende concernenti esclusivamente la Libia ed avendo allegato esclusivamente la gravità della situazione sussistente in Libia;

il motivo di ricorso sul punto, per un verso, non coglie affatto tale ratio decidendi dell’impugnata sentenza, per altro verso, si concreta, in una generica disamina dei principi giuridici in materia, per cui deve considerarsi inammissibile.

Ritenuto che:

per tutte le ragioni esposte, il ricorso debba essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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