Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28722 del 07/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGLIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1356-2019 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDINE PACITTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ***** SEZIONE DI *****, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 03/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO VALITUTTI.

RILEVATO

che:

D.A., cittadino del Burkina Faso, ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, avverso il decreto n. 18526/2018, emesso dal Tribunale di Roma, depositato il 3 dicembre 2019, con il quale è stata rigettata la domanda di protezione internazionale proposta dallo straniero;

l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso – denunciando l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – il ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia ritenuto di concedere al medesimo la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. a), b) e c), nè la protezione umanitaria, sebbene sussistessero i relativi presupposti di legge.

Ritenuto che:

il diritto alla protezione sussidiaria non possa essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, ma solo qualora – alla stregua delle specifiche allegazioni, cui il ricorrente è comunque tenuto – nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice – in siffatta ipotesi – di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Cass., 20/07/2015, n. 15192; Cass., 03/07/2017, n. 16356; Cass., 09/10/2017, n. 23604).

Rilevato che:

nel caso concreto, il Tribunale ha rilevato che la vicenda narrata dallo straniero è di natura strettamente privata e familiare, che ben avrebbe potuto essere tutelata nel Paese di origine dell’istante, non risultando che “in Burkina Faso la famiglia o i connazionali possano costituire un agente di persecuzione non controllabile dallo Stato”, e sul punto il richiedente non ha neppure allegato di essersi rivolto alle autorità di polizia e di non avere ricevuto protezione;

la censura in esame è, peraltro, inammissibile, essendo del tutto generica, avendo il richiedente dedotto, come fatto decisivo per il giudizio, la sola non completa padronanza della lingua italiana da parte sua, e risolvendosi il mezzo, sul punto, in una astratta disamina dei principi giuridici in materia.

Ritenuto che:

per quanto concerne la protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28/09/2015, n. 19197);

pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorga il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (Cass., 28/06/2018, n. 17069; Cass., 31/01/2019, n. 3016).

Rilevato che:

nel caso concreto, il Tribunale ha accertato la non attinenza dei fatti narrati dall’appellante alla situazione generale, socio-politica, del Burkina Faso, avendo il medesimo fatto riferimento esclusivamente a vicende strettamente private, per di più prive di attendibilità; ad ogni buon conto, il giudice di merito ha accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate, citate nel provvedimento che la zona di provenienza del ricorrente non presenta una situazione di pericolo tale, derivante da situazioni di conflitto interne o internazionali, da porre in pericolo la vita o l’incolumità dei civili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), anche grazie al nuovo regime democratico introdotto dal nuovo presidente; il motivo di ricorso sul punto si concreta, per contro, per un verso, in una generica disamina dei principi giuridici in materia, per altro verso, nell’allegazione di questioni di merito, inammissibili in questa sede.

Ritenuto che:

per quanto concerne la protezione umanitaria, la attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolga un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Rilevato che:

nella specie – come dianzi detto – il ricorrente è stato ritenuto del tutto inattendibile dal Tribunale, che ha altresì accertato che nel suo Paese di origine non sussiste una situazione di grave violazioni dei diritti umani, mentre in Italia il richiedente non ha alcun inserimento significativo nel tessuto sociale nazionale;

che il mezzo si risolve, per contro, nella mera, generica, esposizione dei principi giuridici in materia, senza l’indicazione di alcuna ragione di vulnerabilità prospettata al giudice di appello, che possa dare luogo all’applicazione della misura di protezione in esame.

Ritenuto che:

per tutte le ragioni esposte, il ricorso debba essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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