Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.28815 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21212-2017 proposto da:

BIMO SRL (già BIMO DI M.M. & C. S.a.s.) in persona del suo legale rappresentante M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO DENINA 50, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO IANNI FICORILLI, rappresentata e difesa dall’avvocato ELISABETTA SEVERI;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA PISTOIA in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore Dott. R.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato PAOLA PEZZALI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 923/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 24/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/07/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 in subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASSIMO IANNI FICORELLI per delega;

udito l’Avvocato PAOLA PEZZALI.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 273/2016 il Tribunale di Pistoia dichiarava risolti per inadempimento della conduttrice BIMO s.a.s. tre contratti di locazione commerciale stipulati da quest’ultima con la Provincia di Pistoia, condannando la conduttrice al pagamento dei canoni e al rilascio dell’immobile alla locatrice.

Avendo proposto appello BIMO s.a.s., ed essendosi costituita resistendo controparte, la Corte d’appello di Firenze lo rigettava con sentenza del 24 maggio 2017 2. Ha presentato ricorso BIMO S.r.l. sulla base di due motivi.

2.1 Il primo motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nel ricorso d’appello, l’attuale ricorrente avrebbe lamentato che il Tribunale avrebbe affermato che l’abituale tolleranza della parte locatrice a ricevere il canone oltre il termine avrebbe potuto rilevare per escludere la morosità qualora la parte conduttrice avesse pagato con un ritardo abitualmente tollerato; invece nel caso in esame non sarebbe stato pagato nessun canone dal 2011 (lo sfratto per morosità che avviò il presente giudizio risale al 1 ottobre 2015). Vi sarebbe stato pertanto un grave inadempimento di oltre cinque anni.

L’appellante, attuale ricorrente, avrebbe lamentato che il Tribunale non avrebbe correttamente esaminato la sua difesa: in questa avrebbe infatti addotto che la Provincia avrebbe tollerato “i ritardi e gli inadempimenti” anche per gli “ingenti investimenti” che sarebbero rimasti acquisiti, manifestando tramite un suo funzionario, tale dottor Mo., la volontà di una nuova complessiva rateizzazione assistita da fideiussione, “una volta terminati i lavori”. Avrebbe altresì addotto di avere contattato la Provincia, finiti i lavori, per offrire la definizione della questione dei canoni, dietro indicazione specifica della locatrice in ordine ad una rateizzazione in quarantotto o settantadue pagamenti; e nonostante ciò la locatrice avrebbe inviato una lettera, peraltro mai ricevuta, in cui avrebbe dichiarato di non accettare la rateizzazione, procedendo poi all’intimazione dello sfratto, e in tal modo agendo contro i canoni di trasparenza, buon andamento, correttezza e buona fede.

Su “tale eccezione” il Tribunale non si sarebbe pronunciato e la Corte d’appello, che al riguardo avrebbe travisato la difesa della società, avrebbe taciuto sul fatto del suo invio alla conduttrice di una “mail” (sic) prospettante il rientro in quarantotto o settantadue mesi dal debito, cui sarebbe seguita l’adesione della conduttrice con comunicazione scritta alla locatrice. Sul punto la corte territoriale avrebbe esaminato il terzo motivo d’appello (viene trascritto il relativo stralcio della sentenza impugnata) con esiti erronei. Entrambi i giudici di merito non avrebbero esaminato correttamente i documenti su cui si sarebbe fondata la difesa dell’attuale ricorrente, i quali li avrebbero invece portati ad ammettere le istanze istruttorie che avrebbero rafforzato “quanto già in parte documentalmente provato dalle mails provenienti dalla Provincia con i piani di rateizzazione e dalla missiva con cui la BIMO aderiva a uno dei due piani”.

3.2 Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e alla direttiva 2002/91/CE, art. 7: la sentenza della Corte di Giustizia UE del 13 giugno 2013, C-345/2012, cui fa riferimento la sentenza impugnata, avrebbe sanzionato lo Stato italiano “proprio per aver dato attuazione alle direttive Europee (self executive)” sull’efficienza energetica degli edifici soltanto con il D.L. n. 63 del 2013, confermando che la consegna dell’Ape come condizione valida del contratto locatizio sarebbe stata stabilita dalla normativa sovranazionale. Pertanto il giudice d’appello avrebbe dovuto “confermare la nullità dei contratti stipulati nel 2014” per violazione della direttiva 2002/91 nel suo art. 7, da ciò derivando la fondatezza delle domande dell’attuale ricorrente.

2.3 Si è difesa con controricorso la Provincia di Pistoia.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è palesemente inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

3.1 Questa norma impone, come uno dei requisiti del ricorso a pena appunto di inammissibilità, “l’esposizione sommaria dei fatti della causa” (su tale requisito del ricorso, che ne comporta una esposizione dei fatti concisa – ed è quindi del tutto differente dall’ulteriore requisito della c.d. autosufficienza, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – cfr. da ultimo Cass. sez. 3, ord. 9 marzo 2018 n. 5640, Cass. sez. 6-3, ord. 28 settembre 2016 n. 19060 e Cass. sez.6-3, ord. 26 marzo 2015 n. 6140).

L’atto in esame, che conta 59 pagine di testo, espone i motivi soltanto nelle ultime sei (da pagina 53, nella seconda metà, a pagina 59), dedicando tutte le pagine precedenti alla esposizione della vicenda processuale, che già di per sè – a prescindere, quindi, dalle modalità di esposizione – è evidentemente antipodale rispetto ad una esposizione che, in quanto “sommaria”, logicamente non può non essere anche alquanto concisa.

3.2 Ma vi è di più. La descrizione della vicenda processuale viene effettuata utilizzando il metodo del cosiddetto assemblaggio, ovvero l’integrale trascrizione di vari atti processuali.

Precisamente: da pagina 5 a pagina 12 viene trascritta la memoria integrativa depositata dalla Provincia quando venne mutato il rito a seguito dell’ordinanza di rilascio dell’immobile; da pagina 13 a pagina 18 viene trascritta la memoria integrativa dell’attuale ricorrente; da pagina 18 a pagina 24 viene trascritta la sentenza di primo grado; da pagina 24 (due righe e mezzo dopo la fine della trascrizione precedente) a pagina 48 viene trascritto il ricorso in appello dell’attuale ricorrente; da pagina 48 (tre righe e mezzo dopo la fine della trascrizione dell’appello) fino alla pagina 53 viene trascritta la sentenza di secondo grado.

In ordine a questo sistema di redigere il ricorso, che chiaramente lo sfigura rendendolo in sostanza un elenco degli atti precedenti che integralmente riporta, e che è, appunto, usualmente definito assemblaggio, si sono pronunciate le Sezioni Unite con la sentenza 11 aprile 2012 n. 5698, affermando che per il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 “la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso”.

Su questa linea si è poi consolidata la giurisprudenza delle sezioni semplici nel senso della inammissibilità quale conseguenza dell’assemblaggio, inteso questo come plurime trascrizioni di atti interi nel ricorso, che così non adempie al proprio onere espositivo in modo corretto, sciorinando invece atti precedenti al giudice di legittimità come se questi fosse tenuto a leggerli tutti completamente (v. Cass. sez. L, 9 ottobre 2012 n. 17168; Cass. sez. 6-3, ord. 11 gennaio 2013 n. 593; Cass. sez. 6-5, ord. 2 maggio 2013 n. 10244; Cass. sez. 6-5, ord. 9 luglio 2013 n. 17002; Cass. sez. 6-5, ord. 22 novembre 2013 n. 26277; Cass. sez. 6-3, 22 febbraio 2016 n. 3385).

4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, ciò impedendo di procedere al vaglio del contenuto dei motivi. Alla inammissibilità consegue la condanna della ricorrente a rifondere alla controparte le spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, stesso art..

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 7000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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