LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21883-2018 proposto da:
L.G., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SARA MORANDI;
– ricorrente –
contro
C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE G. MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA BATTAGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURO ANETRINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 918/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 15/05/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
L.G. evocava in giudizio C.R. esponendo che:
– era stata sottoposta a procedimento penale nel corso del quale le era stato contestato di aver concorso a cagionare, nell’esercizio della professione medica, il decesso di B.M.;
– la convenuta, quale consulente del Pubblico ministero, aveva individuato la causa del decesso in una sepsi da ulcere per decubito, determinante uno shock settico, qualificando inadeguato e decisivo il trattamento sanitario posto in essere in relazione alle correlate lesioni da pressione;
– nel successivo incidente probatorio i periti avevano invece indicato la causa della morte in una rilevata sepsi da candida, e sulla base di tali verifiche il giudice penale aveva pronunciato sentenza di non luogo a procedere.
Ciò posto, l’attrice chiedeva il risarcimento dei danni subiti per aver subito ingiustamente il procedimento penale.
Il Tribunale, scrutinando la pretesa risarcitoria, l’accoglieva rilevando, in particolare, che la consulente aveva indotto la richiesta di rinvio a giudizio senza esaminare i referti di due emoculture che si sarebbero rivelate al contrario determinanti per i successivi accertamenti.
La Corte di appello, delibando il gravame della L., lo accoglieva, osservando che le cause della morte erano plurime e come tali tutte eziologicamente rilevanti, in un quadro di opinabilità scientifica che non permetteva di constatare una condotta colposa della C.. Al contempo il giudice di secondo grado evidenziava che la richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico ministero, basata non solo sulla consulenza della C. ma sull’intero materiale probatorio, successivamente accolta, aveva interrotto il nesso causale ipotizzato.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione L.G. articolando quattro motivi e depositando memoria.
Resiste con controricorso C.R..
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 210,213 e 96 disp. att. c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato omettendo di acquisire i decisivi fascicoli del Pubblico ministero e del Giudice dell’udienza preliminare di cui aveva a sua volta disposto l’acquisizione il giudice civile di prime cure, su sollecitazione della controparte, non essendo ipotizzabile la necessità di reiterare tale altrui richiesta ad opera della deducente, come invece affermato dalla Corte territoriale, fermo restando che si trattava di documentazione non oggetto di produzione di parte bensì annessa al fascicolo d’ufficio per ordine del giudice e di cui, pertanto, comunque avrebbe dovuto restare nello stesso almeno una copia.
Con il secondo motivo si prospetta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Corte di appello, nell’individuare erroneamente una pluralità di cause del decesso, come descritto in parte narrativa, avrebbe omesso di esaminare l’integrale elaborato dei periti giudiziali in sede penale e il verbale del loro esame davanti al giudice dell’udienza preliminare, da cui emergeva la sicura focalizzazione dell’eziologia della morte nella sepsi da candida e non da piaghe per decubito inadeguatamente trattate.
Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 64 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato affermando l’interruzione del nesso causale per la richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico ministero, dato che quella richiesta era stata determinata dalle conclusioni colposamente erronee del proprio consulente.
Con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 64 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato omettendo di constatare che la deducente era stata iscritta nel registro degli indagati solo dopo il deposito della relazione della C., che non formulava alcuna considerazione in ordine alla sepsi da candida proprio per il mancato esame degli esami colturali che la segnalavano, e mancando, altresì, di considerare che nel capo d’imputazione formulato dal Pubblico ministero emergeva il ruolo determinante avuto dalla consulenza in discussione.
2. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati.
Deve ribadirsi che il potere del giudice d’appello di ordinare alla parte di produrre la copia di determinati documenti – già prodotti ovvero acquisiti su istanza in prime cure – oltre che di acquisire il fascicolo d’ufficio di primo grado, è da ritenere limitato, ex art. 123 bis disp. att. c.p.c., all’ipotesi dell’impugnazione contro sentenze non definitive, e non è esercitabile nel giudizio di appello avverso sentenze definitive, nel quale la mancata produzione dei documenti è dunque implicitamente riconducibile alla conclusiva volontà della parte di non ritenere necessario avvalersene, onde correttamente il giudice decide sul gravame in base agli atti legittimamente a sua disposizione (cfr., da ultimo, Cass., 12/12/2017, n. 29716, pag. 5, conf. Cass., n. 2078 del 1998).
Il fatto che la parte abbia chiesto l’acquisizione dei documenti in parola in sede di precisazione delle conclusioni in appello, non toglie che la stessa aveva l’onere di produrre, anche in copia, come possibile, davanti al secondo giudice, tutto il materiale propriamente probatorio ritualmente già acquisito in primo grado e ritenuto essenziale allo scrutinio del gravame di merito.
Al contempo, la parte non sorregge idoneamente la propria affermazione d’indispensabilità dei documenti non acquisiti. E, quindi, non supporta l’ammissibilità in termini di rilevanza delle proprie censure. Il tutto come desumibile da quanto si sta per dire in ordine agli altri due motivi.
Il terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono, infatti, in parte logicamente assorbiti, in parte comunque inammissibili.
E’ vero che il consulente – del giudice ma non l’ausiliario del pubblico ministero, come si fa notare nella requisitoria scritta – secondo la disciplina del codice di rito civile (art. 64 c.p.c.), è responsabile in ipotesi di colpa grave, ma è altrettanto vero che, in tesi, nel caso, avrebbe dovuto pur sempre provarsi il nesso causale con i danni pretesi.
La Corte territoriale ha osservato, sul punto, come dovesse ritenersi che il Pubblico ministero aveva naturalmente fondato la sua decisione non solo sulla consulenza della C. ma sull’intero incarto processuale, comprensivo della consulenza di parte della L. che indicava l’eziologia della sepsi da candida, sicchè doveva concludersi per una soluzione di continuità nella potenziale serie causale.
Quest’affermazione è stata censurata richiamandosi alla formulazione del capo d’imputazione. Questo atto è però proprio del Pubblico ministero, sebbene poggiato anche sulle condotte evidenziate dalla consulenza della C..
Tale capo d’imputazione, al contempo, non risulta trascritto e neppure diversamente sintetizzato, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, con conseguente inammissibilità della censura.
Il tutto rimarcandosi che, in questa cornice, nulla per logica proverebbe l’affermata iscrizione nel registro degli indagati dopo il deposito della relazione della C..
Non essendo stata inidoneamente censurata la “ratio decidendi” relativa al difetto di nesso causale, come sopra anticipato non può neppure ritenersi idoneamente sorretta l’affermazione d’indispensabilità dei documenti (dei fascicoli penali) non acquisiti.
Complessivamente il ricorso è dunque da rigettare.
Non può ritenersi sussistente l’elemento soggettivo necessario alla condanna per lite temeraria sollecitata dalla parte controricorrente.
Spese secondo soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in Euro 7.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019