LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27963-2017 proposto da:
C.N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRALATA 320/D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE STILLA;
– ricorrente –
contro
UNICREDIT BANCA SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 919/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 26/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA TRICOMI.
RITENUTO
CHE:
Con atto di citazione C.N.M., che aveva rilasciato) in data 10/5/2000, una fideiussione in favore del marito P.C.D., conveniva Unicredit Banca SPA dinanzi al Tribunale di Foggia per sentire dichiarare, previa verificazione della sottoscrizione di un documento del 19/9/2001, che la fideiussione ivi assunta era inesistente o nulla; in subordine chiedeva dichiarare la nullità delle clausole del contratto di conto corrente n. ***** intestato al marito, riferite alla commissione di massimo scoperto ed alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, e dichiarare che in virtù di tale nullità non sussisteva alcun credito della Banca verso il P. e che essa stessa nulla doveva per qualsiasi titolo.
Unicredit Banca contestava tutto e chiedeva in via riconvenzionale dichiarare che la banca era creditrice nei confronti di P. della somma di Euro 32.365,22=, oltre interessi per saldo creditore del conto corrente e, per l’effetto, condannare C., nella qualità di fideiussore.
In primo grado venivano respinte le domande della C. e veniva accolta la domanda riconvenzionale della banca.
Il gravame, proposto dalla C., veniva parzialmente accolto dalla Corte di appello di Bari che la condannava al pagamento in favore della banca della minor somma di Euro 14.260,01=.
C.N.M. propone ricorso con tre mezzi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bari in epigrafe indicata, corroborato da memoria; Unicredit Banca SPA è rimasta intimata.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1956 c.c..
La ricorrente sostiene che la Corte di appello ha sancito la operatività della garanzia prestata il 10/5/2000 in riferimento ad un credito che la banca aveva concesso al debitore principale in epoca successiva alla prestazione della fideiussione, nonostante fosse a conoscenza della precarietà della situazione economica del garantito e senza munirsi dell’autorizzazione del garante, attuando così una condotta negligente tale da fargli perdere il beneficio della garanzia.
Il motivo è inammissibile, perchè tale domanda non risulta essere stata proposta in primo grado, alla stregua della sentenza impugnata e dello stesso ricorso per cassazione ed il motivo, in evidente carenza di specificità, non illustra quando ed in che termini la questione sia stata tempestivamente proposta.
Inoltre non può nemmeno trovare ingresso il rilievo d’ufficio della asserita nullità, sollecitato con la memoria, perchè ugualmente inammissibile. Vero è che la nullità è rilevabile d’ufficio, di regola, in ogni stato e grado del giudizio, e dunque anche in sede di legittimità; ma, in quest’ultima sede, è rilevabile solo a condizione che i presupposti di fatto della nullità stessa risultino già accertati dai giudici di merito, perchè resta sempre valida la regola secondo la quale nel giudizio di cassazione la nullità è rilevabile solo se siano acquisiti agli atti tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza, perchè in cassazione non si accertano i fatti (Cass. n. 20438 del 29/07/2019). Ebbene, la precarietà della situazione economica del garantito posta a base dell’invocata nullità è un fatto, che è stato inammissibilmente dedotto in giudizio per prima volta in cassazione con il ricorso.
2. Con il secondo motivo si denuncia l’omessa pronuncia in ordine al secondo motivo di appello – con il quale l’appellante aveva chiesto di dichiararsi l’insussistenza di qualsiasi ragione di credito della banca nei propri confronti, in ragione della nullità delle clausole relative alla commissione di massimo scoperto ed alla capitalizzazione degli interessi – con la conseguente nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., per error in procedendo.
Il motivo è inammissibile.
Come già affermato da questa Corte, deve in primo luogo ribadirsi che, con riferimento alla denuncia di specifiche violazioni di norme procedurali la Corte di cassazione è giudice del fatto (inteso in senso processuale) ed ha il potere – dovere di accertarle procedendo all’esame diretto degli atti (Cass., Sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass., 22 gennaio 2006, n. 24856).
Non può omettersi di rilevare, tuttavia, che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza di esso (Cass. n. 18932 del 27/09/2016; Cass. n. 8055 del 31/3/2007).
A tale onere si è sottratta la ricorrente, che ha trascritto solo le conclusioni dell’atto di appello, focalizzando l’attenzione sul secondo paragrafo, sul quale asserisce che la Corte di appello non si sarebbe pronunciata, ma non ha affatto riprodotto in ricorso il secondo motivo del gravame, nemmeno nei suoi passaggi principali, il cui esame sarebbe stato necessario per apprezzare la ricorrenza o meno della violazione denunciata.
Invero la ricorrente avrebbe dovuto ivi specificare le ragioni per le quali chiedeva escludersi ogni credito (prima domanda subordinata), anzichè ridursi la somma dovuta (seconda domanda subordinati, giacchè la sola domanda non basta a far sorgere il dovere del giudice di appello di provvedere nel merito.
In proposito ricorda la Corte che, come è stato già chiarito, “Affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamene impugnato non è sufficiente che nell’atto d’appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico…” (Cass. Sez. U. n. 23299 del 09/11/2011).
3. Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame, nella determinazione del credito della banca nei confronti della garante, del fatto decisivo costituito dalla nullità della fideiussione del 19/9/2001, a dire della ricorrente, accertata giudizialmente con sentenza definitiva del Tribunale n. 1489/2014 del 13/6/2014.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha espressamente tenuto conto di tale circostanza ritenuta non decisiva, giacchè – come rimarcato dal giudice del gravame – “.. anche la sentenza del 13/6/2014 del Tribunale di Foggia, prodotta dall’appellante, ha accertato l’autenticità della firma della C. apposta sul contratto di fideiussione del 10/5/2000, il quale, pertanto, è l’unico contratto di fideiussione stipulato tra le parti” e, di conseguenza, ha affermato che tale contratto “vincola l’appellante a garantire i debiti del debitore principale, il coniuge, nei limiti della garanzia prevista” (fol. 4 della sent. imp.), statuizione, quest’ultima, concernente gli effetti della fideiussione rilasciata il 10/5/2000, che non risulta impugnata.
4. In conclusione il ricorso va rigettato.
Non si provvede sulle spese, stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata.
Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
– Rigetta il ricorso;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019