LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17421/2018 R.G. proposto da:
J.A.O. alias A.O.D., elettivamente domiciliato in Roma Via S. Cansacchi n. 11 presso lo studio dell’avvocato Caporilli Valentina e rappresentato e difeso dall’avvocato Scalco Erica per procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il provvedimento n. 5093/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 04/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 5093/2017 depositata il 4-12-2017, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di O.A.J. alias D.O.A., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione in favore del ricorrente, il quale aveva riferito di aver lasciato il Gambia nel gennaio 2010 per timore di essere nuovamente fermato dai servizi segreti NIA, che in precedenza lo avevano costretto, in quanto fratello di un militare coinvolto nel colpo di stato del 2009 contro il dittatore Y.J., a consegnare documenti relativi a due immobili di proprietà del fratello, nonchè per timore di essere arrestato, torturato e detenuto senza alcuna imputazione, per il solo fatto di essersi reso irreperibile alle Autorità. La Corte d’appello ha rilevato che dal comunicato di Amnesty International del 23-1-2017 risultava che nel gennaio 2017 il potere era stato ceduto al capo di stato eletto A.B. e il dittatore Y.J. era andato in esilio, sicchè la situazione del Gambia era sulla via della stabilizzazione, non ricorrendo conflitto armato generalizzato caratterizzato da violenza indiscriminata. I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo emersi elementi di significativa fragilità o vulnerabilità del richiedente, anche considerando la reale situazione politico sociale dello Stato di provenienza, e che neppure fosse dimostrato il suo inserimento sociale e lavorativo in Italia, poichè l’appellante aveva prodotto documentazione riferita alla frequenza di un corso di italiano ed a un rapporto di lavoro di breve durata del 2016, senza fornire alcun aggiornamento.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – Motivazione omessa/apparente in ordine alla credibilità del richiedente protezione internazionale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Deduce che la motivazione della sentenza impugnata era omessa o apparente in quanto la Corte territoriale si era limitata a riepilogare lo svolgimento del processo di primo grado, senza pronunciarsi sulla credibilità dei fatti narrati dal richiedente.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 per non aver acquisito informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica del Gambia e sul sistema giudiziario e carcerario in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Il Collegio d’appello non ha acquisito d’ufficio informazioni sul sistema giudiziario e carcerario del Gambia, nonostante il ricorrente avesse allegato il rischio di essere arrestato perchè si era sottratto all’Autorità.
3. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
La Corte d’appello afferma che il pericolo derivante dalla vicenda personale narrata dal ricorrente, riconducibile, in buona sostanza, al rischio di condotte persecutorie nei suoi confronti da parte del dittatore Y.J., era superato dall’evolversi della situazione generale del Gambia, in via di progressiva stabilizzazione, anche con riguardo alla tutela dei diritti umani, in base alla fonte di conoscenza citata (comunicato di Amnesty International del 23-1-2017),In particolare, nel gennaio 2017 il dittatore Y.J. aveva accettato di cedere pacificamente il potere al capo di stato eletto A.B. e di andare in esilio.
Non ricorrono, pertanto, il vizio motivazionale e quello di violazione di legge denunciati, avendo la Corte territoriale esplicitato la suddetta ratio decidendi, che rende all’evidenza irrilevanti sia la valutazione di credibilità della vicenda personale, sia l’indagine sul sistema giudiziario e carcerario del Gambia, non essendo più attuale la situazione di rischio personale allegata.
4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione soggettiva e quella oggettiva di vulnerabilità del ricorrente, derivante, la prima, dalle persecuzioni già subite e dal rischio di arresto in caso di rimpatrio e la seconda dalla mancata stabilizzazione del Paese di provenienza e dalla perdurante violazione nel medesimo della violazioni dei diritti umani.
5. Il terzo motivo è inammissibile.
Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019).
Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla situazione generale del Gambia, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto alla sua credibilità e quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito.
Il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte dei giudici di merito, che hanno escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono circa le condizioni soggettive ed oggettive di rilevanza, l’esistenza di fattori particolari di vulnerabilità del ricorrente, valutando le allegazioni dello stesso anche in ordine al percorso di integrazione sociale in Italia. La doglianza, oltre che genericamente formulata, si risolve, inammissibilmente, in una ricostruzione dei fatti difforme da quella accertata dai giudici di merito.
6. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
7. Nulla deve disporsi sulle spese del presente giudizio, atteso che il Ministero non si è costituito.
8. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019