Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28905 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18187/2018 R.G. proposto da:

J.A., elettivamente domiciliato in Roma Via S. Cansacchi N. 11 presso lo studio dell’avvocato Caporilli Valentina e rappresentato e difeso dall’avvocato Scalco Erica per procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5161/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 11/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 5161/2017 depositata l’11-12-2017, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di J.A. alias J.A., cittadino del Gambia, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione in favore del ricorrente, il quale aveva riferito di aver lasciato il Gambia perchè temeva di essere arrestato o ucciso per vendetta dai membri del suo villaggio di etnia Malinkè, essendo stato coinvolto in una rissa con detti soggetti in merito al possesso di alcuni terreni e nella rissa alcune persone erano rimaste ferite. La Corte d’appello ha ritenuto che le vicende narrate fossero di natura privata e attinenti a fatti di criminalità organizzata e che la situazione del Gambia, con il nuovo governo instauratosi negli ultimi tempi, fosse sulla via della stabilizzazione, non ricorrendo la situazione di conflitto armato generalizzato caratterizzato da violenza indiscriminata ed essendo maggiormente protetti i diritti umani. I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo emersi elementi di significativa fragilità o vulnerabilità del richiedente, anche considerando la reale situazione politico sociale dello Stato di provenienza, e che neppure fosse dimostrato il suo inserimento sociale e lavorativo in Italia, nonostante l’appellante fosse arrivato in Italia nel 2014.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si costituisce al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 per non aver acquisito informazioni aggiornate sugli scontri etnici in Gambia e sul sistema giudiziario e carcerario in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”. Deduce che la Corte territoriale, pur avendo ritenuto credibile il racconto del richiedente, di etnia minoritaria Peuhl, non aveva svolto alcuna istruttoria ufficiosa circa i conflitti etnici in Gambia e circa la denunciata preponderanza dell’etnia Malinke e le persecuzioni attuate nei confronti della minoranza Peuhl.

2.Con il secondo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 per non aver acquisito informazioni aggiornate sugli scontri etnici in Gambia e sul sistema giudiziario e carcerario in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Il Collegio d’appello non ha acquisito d’ufficio informazioni sul conflitto etnico e sul sistema giudiziario e carcerario del Gambia, nonostante il ricorrente avesse allegato il rischio di subire persecuzioni dall’etnia Malinke e di essere arrestato perchè si era sottratto all’Autorità.

3.Con il terzo motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 per non aver acquisito informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica del Gambia e sul sistema giudiziario e carcerario in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

4.Con il quarto motivo denuncia “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione soggettiva e quella oggettiva di vulnerabilità del ricorrente, derivanti, rispettivamente, la prima dalle persecuzioni già subite e dal rischio di arresto in caso di rimpatrio e la seconda dalla mancata stabilizzazione del Paese di provenienza e dalla perdurante violazione nel medesimo della violazioni dei diritti umani.

5. I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.

5.1. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la situazione socio-politica o normativa del Paese di provenienza è rilevante se correlata alla specifica posizione del richiedente e più specificamente al suo fondato timore di una persecuzione personale e diretta, per l’appartenenza ad un’etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita, e quindi alla sua personale esposizione al rischio di specifiche misure sanzionatorie a carico della sua integrità psico-fisica (Cass. ord. n. 30105/2018) e che, anche ai fini della protezione sussidiaria, se il cittadino straniero abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di eseguire le indagini ufficiose, correlate alle specifiche allegazioni del richiedente, stante l’attenuazione del potere dispositivo, che riguarda la dimostrazione dei suddetti fatti (Cass. ord. n. 17069/2018; Cass. 19716/2018). E’ stato infatti ulteriormente precisato da questa Corte, in tema di protezione sussidiaria, che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto.

5.2. Nel caso di specie, a fronte di precise allegazioni del richiedente circa il timore di persecuzioni in ragione della sua appartenenza all’etnia minoritaria Peuhl, la Corte territoriale non ha espresso valutazioni sulla credibilità soggettiva delle vicende personali, che ha qualificato “di natura eminentemente personale, legate a vicende private e a fatti di criminalità organizzata” (pag.n. 5 sentenza impugnata), e non ha svolto alcuna indagine ufficiosa diretta ad accertare se ed in quali limiti nel Paese di origine dell’istante si registrino i fatti lamentati da quest’ultimo, nonchè sia fondato ed attuale il timore di danno grave dedotto, per quanto rileva anche ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

Inoltre, la Corte d’appello, investita pure della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), riguardante la situazione generale del paese di provenienza del richiedente, aveva la possibilità, e dunque il dovere, ai sensi dell’art. 27, comma 1 bis, in relazione al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 5, comma 1 e art. 8, comma 3, di accertare d’ufficio, mediante le informazioni attingibili presso la Commissione nazionale per il diritto di asilo o da altre fonti, se e in quali limiti in Gambia si registrino fenomeni di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), invocato dal ricorrente. La Corte territoriale si limita a richiamare “alcune accreditate fonti internazionali” (pag. n. 5 sentenza), senza altro precisare, sicchè è fondata la doglianza espressa dal ricorrente secondo cui non è stato adempiuto da parte dei Giudici di merito anche l’obbligo di acquisire informazioni aggiornate sulla situazione generale del Gambia, correlate alle allegazioni della parte. In conclusione, ricorre la violazione delle norme sopra indicate, per avere la Corte territoriale, nel caso di specie, omesso i suddetti accertamenti doverosi.

6. Resta assorbito il quarto motivo, relativo al mancato riconoscimento della protezione “minore”, ossia di quella umanitaria.

7. In conclusione la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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