LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 24078/2018 R.G. proposto da:
N.B., rappresentato e difeso dall’avvocato Santilli Stefania del foro di Milano giusta procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 560/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 02/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2019 dal cons. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 560/2018 depositata il 2-2-2018, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di N.B., cittadino del Senegal, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha affermato di condividere il giudizio espresso dal Tribunale in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione in favore del ricorrente, il quale aveva riferito di essere orfano di padre, di aver lasciato il Senegal all’età di sei anni, insieme alla madre, a causa della guerra tra i ribelli e l’esercito senegalese, di aver sempre vissuto in Gambia fino a quando era partito per l’Italia e di avere timore di rientrare nel Paese di origine a causa dell’attività dei ribelli nella zona del *****.
2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 7, al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, agli artt. 2 e 3 C.E.D.U., nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione subiti ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. “. Deduce che il Tribunale aveva ritenuto credibili le vicende personali e familiari narrate dal richiedente e quindi le persecuzioni subite, pur se si erano verificate anni addietro e attuate anche nei confronti di suo padre e suo fratello, che erano stati uccisi. Lamenta omesso esame della propria vicenda personale, benchè la sua provenienza dalla ***** non fosse stata mai posta in discussione e le persecuzioni, di eccezionale gravità, fossero dettate da motivi di appartenenza etnica e culturale.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 lett. c), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Omesso esame di fatti decisivi; Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14, al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, agli artt. 2 e 3 C. E. D. U.. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UEex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Circa il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria ribadisce il ricorrente che le sue dichiarazioni erano state ritenute credibili e lamenta inoltre il mancato esercizio di cooperazione istruttoria, non avendo il Collegio acquisito d’ufficio informazioni sul contesto socio politico del Senegal.
3.Con il terzo motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 2, e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 32; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5Cost., comma 6 e art. 10 Cost.. Omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione ai presupposti per la protezione umanitaria; mancanza o quantomeno apparenza della motivazione e nullità della sentenza per violazione di varie disposizioni- artt. 112 e 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, e art. 111 Cost., comma 6”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, comprovata anche da un certificato medico che attesta un problema di salute fisico, legato alla circoncisione, e uno di tipo psichico. Su tale aspetto di carattere decisivo il Collegio non si è pronunciato. La vulnerabilità inoltre deriva dallo stato di instabilità ed insicurezza del Senegal e dalla complessiva situazione di detto Stato.
4. Il primo motivo è infondato.
4.1. La Corte territoriale ha affermato che il ricorrente neppure aveva dedotto la sussistenza di timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza ad un determinato gruppo sociale.
Il ricorrente assume di essere fuggito dal Senegal all’età di sei anni, con la madre, a causa dei “terribili conflitti” determinati dai ribelli nella orbdel; ***** e, pur deducendo di aver subito persecuzioni, anche indirette, per l’uccisione del padre e dei fratelli, non precisa quale sia stata la ragione di dette persecuzioni, limitandosi genericamente ad affermare che il motivo sia stato di appartenenza etnica e culturale (pag.n. 6 ricorso), senza altro precisare, e che si sia trattato di persecuzione in ambito domestico (pag.n. 7 ricorso).
Dette allegazioni, peraltro tra loro contraddittorie, non consentono di sussumere la vicenda descritta nell’ambito della tutela prevista per i rifugiati, in base a quanto prescritto dalla Convenzione di Ginevra del 28-7-1951 e dalle norme richiamate dallo stesso ricorrente, sicchè non ricorrono le violazioni di legge denunziate.
5. Il secondo motivo è fondato nei sensi di cui appena di seguito si dirà.
5.1. Questa Corte ha affermato che, ai fini della protezione sussidiaria, se il cittadino straniero abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di eseguire le indagini ufficiose, correlate alle specifiche allegazioni del richiedente, stante l’attenuazione del potere dispositivo, che riguarda la dimostrazione dei suddetti fatti (Cass. ord. n. 17069/2018; Cass. 19716/2018). E’ stato infatti ulteriormente precisato da questa Corte, in tema di protezione sussidiaria, che la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto.
5.2. Nel caso di specie, a fronte di precise allegazioni del richiedente circa il timore di conflitti violenti ad opera dei ribelli nella zona del *****, nonchè circa l’assenza di protezione da parte delle autorità statali, la Corte d’appello non ha dato conto di aver svolto alcuna indagine ufficiosa diretta ad accertare se ed in quali limiti nel Paese di origine dell’istante si registrino i fatti lamentati da quest’ultimo e se possa ricevere adeguata protezione dalle Autorità Statali.
Inoltre la Corte territoriale, investita anche della domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), riguardante la situazione generale del paese di provenienza del richiedente, aveva la possibilità, e dunque il dovere, ai sensi dell’art. 27, comma 1 bis, in relazione al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 5, comma 1, e art. 8, comma 3, di accertare d’ufficio, mediante le informazioni attingibili presso la Commissione nazionale per il diritto di asilo o da altre fonti, se e in quali limiti in Senegal si registrino fenomeni di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi dell’art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 251 del 2007, invocato dal ricorrente.
Nella sentenza impugnata non è richiamata alcuna fonte di conoscenza sulla situazione generale del Senegal, nè alcuna fonte idonea a supportare l’affermata irrilevanza, ai fini riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dei conflitti dei ribelli nella zona del *****.
Le situazioni di rischio lamentate devono valutarsi all’attualità, sicchè non rileva che i fatti narrati fossero risalenti, ove si accerti, in fatto, che la pericolosità denunciata persiste. Inoltre l’indagine va effettuata in relazione al Paese di origine, ossia a quello di eventuale rimpatrio, non rilevando, quindi, il fatto che il richiedente, fuggito all’età di sei anni con la madre in Gambia (pag.n. 7 e 8 della sentenza impugnata), fosse prevalentemente vissuto in detto ultimo Paese.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, è fondata la doglianza secondo cui non è stato adempiuto da parte dei Giudici di merito l’obbligo di acquisire informazioni aggiornate sui conflitti violenti ad opera dei ribelli nella zona del ***** e sulla situazione generale del Senegal, correlate alle allegazioni del ricorrente, e ricorre la violazione delle norme sopra indicate, per avere la Corte territoriale, nel caso di specie, omesso i suddetti accertamenti doverosi.
6. Resta assorbito il terzo motivo, relativo al mancato riconoscimento della protezione “minore”, ossia di quella umanitaria.
7. In conclusione la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto nel senso sopra precisato, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo nei sensi di cui in motivazione, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019