Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28914 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23039/2017 proposto da:

A.I., nato in *****, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Giuliano Bonizzato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1822/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 04/08/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.

FATTI DI CAUSA

1. – A.I., cittadino del *****, chiese il riconoscimento della protezione internazionale.

La Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna rigettò la domanda, con decisione che venne impugnata dinanzi al locale Tribunale.

Con ordinanza del 19/1/2016, il Tribunale adito riconobbe allo straniero il permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. – Sul gravame proposto dal Ministero dell’Interno, la Corte di Appello di Bologna, rigettò l’impugnazione proposta dal richiedente avverso la decisione della Commissione territoriale, che confermò.

3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso A.I. sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce (ex art. 360 c.p.c., n. 4) la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in relazione alle eccezioni processuali proposte dal richiedente in appello, sia con riferimento alla genericità dell’atto di gravame proposto dal Ministero dell’Interno sia con riferimento alla mancata considerazione dei fatti dedotti dal ricorrente nel giudizio di primo grado e non contestati.

Il motivo è inammissibile.

Va innanzitutto ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia (il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito), ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass., Sez. 6-2, n. 321 del 12/01/2016; Sez. 2, n. 1876 del 25/01/2018).

Non sussiste, pertanto, la pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c., (nella specie, peraltro, la Corte territoriale ha implicitamente rigettato le eccezioni mosse dall’appellato); tantomeno sussiste la pretesa genericità dell’atto di appello, le cui censure sufficientemente specifiche – sono state bene intese dal giudice del gravame.

Infine, quanto alla mancata considerazione di pretesi fatti non contestati, la censura è inammissibile, non superando la soglia della assoluta genericità e rivelandosi del tutto apodittica (non è indicato alcuno dei fatti asseritamente non contestati).

2. – Col secondo motivo, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello omesso di esaminare il certificato medico, le dichiarazione del teste escusso e quelle rese dalla parte al giudice di primo grado.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità sotto il profilo dell’autosufficienza.

Invero, il ricorrente non trascrive alcuno dei documenti e delle dichiarazioni di cui lamenta l’omesso esame, non consentendo così a questa Corte di svolgere il proprio sindacato con particolare riferimento alla valutazione della decisività di quanto asseritamente non valutato dai giudici di appello.

3. – Col terzo motivo, si deduce infine il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello omesso di giustificare le ragioni della sua decisione.

Premesso che, in forza del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012 (convertito nella L. n. 134 del 2012) e applicabile ratione temporis (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, prevede, infatti, l’applicazione del nuovo testo relativamente alle sentenze pubblicate – come nella specie – dopo il giorno 11 settembre 2012), il c.d. vizio della motivazione non costituisce più un motivo per cui è ammesso il ricorso per cassazione, anche a volere intendere la censura come denuncia di motivazione apparente, essa risulta infondata.

Invero, la Corte territoriale ha spiegato le ragioni della propria decisione, sia richiamando le ragioni già esposte nel provvedimento della Commissione territoriale, cui ha aderito, sia svolgendo propri ulteriori argomenti (pagine penultima e ultima della sentenza impugnata).

Gli argomenti svolti (che escludono la verosimiglianza del racconto del richiedente) consentono di comprendere le ragioni della decisione, risultando così l’infondatezza della censura.

4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sempre che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione

dichiara rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che, pur essendo stato il ricorso rigettato, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, stante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non risulti revocata dal giudice competente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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