LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30109/2018 proposto da:
I.M., nato a *****, elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonino Ciafardini;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 791/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 03/05/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.
FATTI DI CAUSA
1. – I.M., cittadino pakistano, chiese il riconoscimento della protezione internazionale.
La Commissione Territoriale competente rigettò la domanda, con decisione che venne impugnata dinanzi al locale Tribunale.
Con ordinanza del 9/7/2017, il Tribunale adito confermò la decisione della Commissione territoriale.
2. – Sul gravame proposto dallo straniero, la Corte di Appello di L’Aquila confermò la decisione di primo grado.
3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso I.M. sulla base di tre motivi.
Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello negato al richiedente la protezione sussidiaria e quella umanitaria, omettendo di applicare il principio dell’onere della prova attenuato e valutando non credibile le dichiarazioni del richiedente in contrasto con i parametri di legge. Si deduce, in particolare, che i giudici non avrebbero esercitato i poteri istruttori d’ufficio per verificare se il richiedente era stato assolto dall’accusa di omicidio della moglie (per il quale era stato arrestato prima e scarcerato poi).
Il motivo non è fondato.
La Corte territoriale ha motivatamente ritenuto inattendibili le dichiarazioni del richiedente circa la necessità di allontanarsi dal suo Paese a seguito del processo penale cui era stato sottoposto, spiegando come, dal suo racconto, si evince che il richiedente ha lasciato il suo paese solo per ragioni economiche, in cerca di lavoro.
Una volta esclusa che la causa dell’allontanamento sia stato il processo penale cui il richiedente è stato sottoposto (che si è risolto positivamente per lui) e una volta accertato che l’emigrazione ha trovato causa in ragioni meramente economiche, esattamente la Corte territoriale ha ritenuto che la vicenda processuale narrata non era sufficiente per concedere la protezione sussidiaria e quella umanitaria.
2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la Corte di Appello riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del richiedente derivante dalla situazione di violenza indiscriminata in Pakistan. Il motivo non può trovare accoglimento.
La Corte territoriale ha valutato la situazione del Paese sulla base dei report degli organismi internazionali (p. 15 ss. della sentenza impugnata) ed ha concluso che nella zona nord-orientale del Pakistan – dalla quale il richiedente proviene – non vi è alcuna situazione di instabilità e di violenza.
Inammissibilmente il ricorrente sollecita una rivalutazione nel merito, da parte di questa Corte, della situazione del paese di provenienza del richiedente, alternativa a quella compiuta dal giudice di merito, al quale solo compete l’accertamento di fatto in questione, che rimane insindacabile in sede di legittimità quando – come nel caso di specie – è sostenuto da motivazione esente da vizi logici e giuridici.
3. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per non avere la Corte di Appello riconosciuto la sussistenza di motivi umanitari.
Anche questa censura è infondata.
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019; Sez. 6-1, n. 23604 del 09/10/2017).
Nella specie, non sussiste la dedotta violazione di legge, avendo la Corte territoriale puntualmente valutato la situazione del richiedente ed escluso la condizione di vulnerabilità dello stesso/avuto riguardo alla sua situazione personale e a quella del Paese di provenienza.
Nè è sufficiente, per ottenere la protezione umanitaria, lo svolgimento di attività lavorativa in Italia.
Come statuito da questa Corte, l’integrazione sociale del ricorrente in ragione della buona conoscenza della lingua italiana, lo svolgimento di attività lavorativa in Italia e l’assenza di condanne penali non rilevano come presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che consegue, al contrario, alla sussistenza di “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6), (Cass., Sez. 6-1, n. 25075 del 2017, non massimata).
4. – Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sempre che l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato non risulti revocata dal giudice competente.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto che, pur essendo stato il ricorso rigettato, non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, stante l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sempre che tale ammissione non risulti revocata dal giudice competente.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019