LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30462/2018 proposto da:
S.E., nato in *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Angelico 38, presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Pitorri Jacopo Maria;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2393/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 13/04/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.
FATTI DI CAUSA
1. – S.E., cittadino del *****, chiese il riconoscimento della protezione internazionale.
La Commissione Territoriale di Roma rigettò la domanda, con decisione che venne impugnata dinanzi al locale Tribunale.
Con ordinanza del 28/7/2016, il Tribunale adito confermò la decisione della Commissione territoriale.
2. – Sul gravame proposto dal richiedente, la Corte di Appello di Roma confermò la decisione di primo grado.
3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso S.E. sulla base di quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3) e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello negato la protezione sussidiaria omettendo di considerare la situazione di pericolosità e di violenza generalizzata esistente in Gambia.
Col secondo motivo, si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’accertamento della condizione personale del ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.
Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione delle condizioni socio-politiche del Gambia.
I tre motivi, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione, sono infondati.
Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), per “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” si intende il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.
Il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 25, art. 14, stabilisce che “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato (interno o internazionale) deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., Sez. 6-1, n. 18306 del 08/07/2019).
Questa Suprema Corte ha ancora statuito che, in tema di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass., Sez. 1, n. 14283 del 24/05/2019); e che, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente (Cass., Sez. 6-1, n. 11312 del 26/04/2019).
Nella specie, la Corte territoriale si è attenuta ai richiamati principi di diritto. Pur avendo ritenuto inattendibili e contraddittorie le dichiarazioni rese dal richiedente prima davanti alla Commissione e poi dinanzi al Tribunale, la Corte di Appello ha preso in esame i report degli organismi internazionali (Amnesty International) e, sulla base di essi, ha motivatamente escluso che le violenze verificatisi in Gambia (riferibili a ragioni politiche o ideologiche) siano rilevanti ai fini della posizione specifica del richiedente.
In definitiva, La Corte territoriale ha accertato che non sussiste alcuna delle ipotesi previste dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, che consentono il riconoscimento della protezione sussidiaria.
Le doglianze mosse dal ricorrente, che sollecita una lettura alternativa delle acquisizioni istruttorie, si riducono in realtà a censure di merito inammissibili in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esente da vizi logici e giuridici.
2. – Col quarto motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Anche questo motivo è privo di fondamento.
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019; Sez. 6-1, n. 23604 del 09/10/2017).
Nella specie, non sussiste la dedotta violazione di legge, avendo la Corte territoriale puntualmente valutato la situazione del richiedente ed escluso la condizione di vulnerabilità dello stesso avuto riguardo alla sua situazione personale e a quella del Paese di provenienza.
La motivazione della Corte territoriale sul punto è esente da vizi logici e giuridici, risultando così insindacabile in sede di legittimità; e d’altra parte, la censura formulata col motivo in esame non supera la soglia dell’assoluta genericità.
3. – Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
4. – Parte ricorrente è tenuta a versare – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione dell’impugnazione.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019