LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30784/2018 proposto da:
H.M.S., nato in *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Cunfida 16, presso lo studio dell’avvocato Maria Visentin che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2726/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/04/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.
FATTI DI CAUSA
1. – H.M.S., cittadino del *****, chiese il riconoscimento della protezione internazionale.
La Commissione Territoriale di Roma rigettò la domanda, con decisione che venne impugnata dinanzi al locale Tribunale.
Con ordinanza del 26/7/2017, il Tribunale adito confermò la decisione della Commissione territoriale.
2. – Sul gravame proposto dal richiedente, la Corte di Appello di Roma confermò la decisione di primo grado.
3. – Per la cassazione della sentenza di appello ha proposto ricorso H.M.S. sulla base di quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 – Col primo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame e il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello erroneamente valutato le dichiarazioni rese dal richiedente.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che la Corte territoriale ha esaminato e valutato le dichiarazioni rese dal richiedente e le sue allegazioni (p. 6-7), la doglianza si riduce ad una censura di merito con la quale si sollecita una diversa valutazione delle dichiarazioni rese ed un diverso accertamento del fatto.
Non sussiste l’omesso esame di fatto decisivo, mentre il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente più la deduzione del vizio della motivazione.
2. – Col secondo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello ritenuto insussistenti le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, nonostante che – a dire del ricorrente – sussistesse una situazione di pericolo per la sicurezza individuale nel paese di provenienza.
La doglianza non è fondata.
Ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), per “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” si intende il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”.
Il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, stabilisce che “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato (interno o internazionale) deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass., Sez. 6-1, n. 18306 del 08/07/2019).
Nella specie, la Corte di Appello si è attenuta alle norme di diritto come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità.
La Corte territoriale ha accertato che non sussiste in Bangladesh una situazione di violenza indiscriminata per situazioni di conflitto armato, escludendo che il richiedente, se rinviato nel suo Paese, possa correre il rischio di subire una minaccia grave alla sua persona; ed ha sottolineato come risulti che lo straniero ha lasciato il suo Paese di origine per ragioni economiche.
La motivazione della sentenza impugnata sul punto è esente da vizi logici e giuridici e rimane, perciò, insindacabile in sede di legittimità.
3. – Col terzo motivo, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello escluso la sussistenza dei presupposti di legge per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (Cass., Sez. 1, n. 13096 del 15/05/2019; Sez. 6-1, n. 23604 del 09/10/2017). Ha precisato questa Corte che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la “specificità della condizione personale” di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento (Cass., Sez. 1, n. 13088 del 15/05/2019).
Nella specie, non sussiste la dedotta violazione di legge, avendo la Corte territoriale puntualmente valutato la situazione del richiedente ed escluso la condizione di vulnerabilità dello stesso, avuto riguardo alla sua situazione personale e a quella del Paese di provenienza, concludendo che il rimpatrio non pone in pericolo la sua incolumità fisica.
Il ricorrente deduce le precarie condizioni economiche del paese di origine; ma va escluso che simili condizioni configurino di per sè la fattispecie prevista dalla legge, essendo invece necessario una situazione personale e particolare di vulnerabilità, nella specie inesistente.
4. – Col quarto motivo, si deduce infine la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte di Appello violato il divieto di respingimento nel paese di origine di cui all’art. 33 della convenzione di Ginevra e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.
Anche questo motivo è privo di fondamento.
Il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, stabilisce al comma 1, che “In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione. Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui va data continuità, in materia di protezione internazionale dello straniero, l’istituto del divieto di espulsione o di respingimento previsto dal D.Lgs n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, postula che il giudice si pronunci sul concreto pericolo, prospettato dall’opponente, di subire persecuzione o trattamenti inumani e/o degradanti in ipotesi di rimpatrio nel paese di origine (Cass., Sez. 1, n. 9762 del 08/04/2019).
A tale principio si è attenuto la Corte territoriale, che ha escluso con motivazione esente da vizi logici e giuridici – la sussistenza per il richiedente, nel caso di rimpatrio, di pericolo di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza etc..
Non sussiste la dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto.
5. – Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.
6. – Parte ricorrente è tenuta a versare – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013) – un ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione dell’impugnazione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019