LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19786-2014 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ELISABETTA LANZETTA, FRANCESCA FERRAllOLI, GIUSEPPINA GIANNICO, SEBASTIANO CARUSO, CHERUBINA CIRIELLO;
– ricorrente –
contro
C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato FRANCO BOUCHE’, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 202/2013 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 22/07/2013 r.g.n. 257/2011.
RILEVATO
che con sentenza depositata in data 22 luglio 2013 la Corte d’appello di Caltanissetta – in sede di rinvio da Cass. 27 luglio 2010, n. 17538 – conferma la sentenza n. 183/2005 del Tribunale di Trapani nella parte in cui ha dichiarato che C.F. ha svolto le mansioni proprie del dirigente dall’1 febbraio 2002 al 28 novembre 2003, condannando l’INPS alla corresponsione della differenza di trattamento economico, con interessi legali decorrenti dalla maturazione dei singoli crediti, liquidando le spese processuali dell’intero giudizio;
che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) in base alla sentenza rescindente è necessario stabilire se nel periodo 1 febbraio 2002-28 novembre 2003 (data di proposizione del ricorso introduttivo del giudizio) il C. per effetto del nuovo organigramma aziendale abbia svolto funzioni dirigenziali presso la sede provinciale INPS;
b) la questione va risolta in senso affermativo in quanto, alla luce delle pertinenti delibere dell’INPS, è indubitabile che le funzioni svolte non siano da considerare di “mera collaborazione”, ma siano dirigenziali;
c) i rilievi dell’INPS non riguardano la configurabilità delle mansioni alle funzioni dirigenziali, ma il fatto che la direzione poteva essere affidata anche ad un Ispettore generale e che il livello dirigenziale era previsto solo per le sedi di maggiore importanza;
d) neppure è da accogliere la censura con la quale l’INPS sostiene che al C. potrebbe, tutt’al più riconoscersi un compenso aggiuntivo rispetto a quello proprio della qualifica di appartenenza, ma non le differenze retributive spettanti al dirigente;
d) anche sul punto va condivisa la sentenza del Tribunale di Trapani, visto che pure secondo la giurisprudenza di legittimità per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, anche dirigenziali, è da riconoscere il diritto al compenso nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5;
che avverso tale sentenza l’INPS propone ricorso affidato a due motivi, al quale oppone difese il Dott. C.F., con controricorso, illustrato da memoria.
CONSIDERATO
che il ricorso è articolato in due motivi;
che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. – in relazione a CCNI INPS del 2001 e alla circolari INPS n. 131 del 2001 e n. 17 del 1999 – nonchè della L. n. 88 del 1989, dell’art. 15, comma 1, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3, 2,17 e 27; dell’art. 52 cit. decreto; del D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 16 e 17; del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 17;
che si sostiene che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della riorganizzazione INPS attuata con gli atti dell’Istituto richiamati, dai quali si ricaverebbe che nel nuovo modello organizzativo la funzione dirigenziale per l’attività ispettiva è stata assegnata soltanto all’Area di vigilanza regionale e non anche al livello provinciale e sub-provinciale ove non è prevista l’istituzione di una corrispondente Area di natura dirigenziale che si aggiunge che l’Area vigilanza che può essere costituita a livello provinciale o sub-provinciale, in un ventaglio di opzioni alternative, ben può essere affidata ad un funzionario apicale anche con qualifica di Ispettore generale, come attività di realizzazione del Piano operativo assegnato dalla Direzione regionale;
che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deducendosi che le argomentazioni a sostegno dell’affermato riconoscimento dell’effettivo svolgimento di mansioni dirigenziali sarebbero viziate dal punto di vista motivazionale;
che il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte; che, com’è noto, in base a costanti e condivisi indirizzi di questa Corte:
a) il giudizio di rinvio non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, ma costituisce la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione, sicchè in quella fase non possono formare oggetto di discussione tutte le questioni che costituiscono presupposti, esplicitamente o implicitamente, decisi nella pronuncia della Corte di cassazione (vedi, per tutte: Cass. SU 2 dicembre 2008, n. 28544);
b) in caso di cassazione con rinvio per vizio di motivazione (da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge), il giudice del rinvio non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento impugnato ritenuti illogici ed eliminando, a seconda dei casi, le contraddizioni ed i difetti argomentativi riscontrati (Cass. 29 maggio 2014, n. 12102);
c) in tale operazione il giudice di rinvio, pure se questo viene pronunciato per vizio di motivazione, è vincolato al rispetto non solo di quanto affermato nella sentenza rescindente, ma anche dei presupposti di fatto – se, nella sentenza rescindente, possano essere stati considerati già accertati definitivamente in sede di merito – e logico-giuridici indispensabili, quali risultanti dalla sentenza di cassazione con rinvio (Cass. civ. 26 maggio 2014, n. 11716; Cass. 16 agosto 2001, n. 11144; Cass. 1 dicembre 2004, n. 22523; Cass. 13 luglio 2006, n. 15952);
d) il ricorso per cassazione avverso la sentenza rescindente deve essere configurato come denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del “decisum” della sentenza di cassazione e, quindi, concreta la denuncia di “error in procedendo” (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la cui interpretazione deve essere assimilata, per l’intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche (Cass. 25 marzo 2005, n. 6461);
e) i suddetti limiti rilevano anche ai fini del sindacato che la Corte di cassazione è chiamata ad esercitare in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio che deve essere fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento (vedi, per tutte: Cass. 14 giugno 2006, n. 13719; Cass. 3 febbraio 2009, n. 2606; Cass. 25 settembre 2018, n. 22716);
che, nella specie, con la sentenza rescindente 27 luglio 2010, n. 17538, questa Corte ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Palermo depositata il 27 dicembre 2007, ivi impugnata, nella parte in cui aveva immotivatamente escluso la fondatezza della censura del C. con la quale si rilevava che l’incarico di direzione dell’Area vigilanza della sede di Trapani, svolto pacificamente nell’ambito della nuova organizzazione dell’Istituto nel periodo dall’1 febbraio 2002 al 28 novembre 2003, si riferiva a funzioni superiori rispetto alla qualifica posseduta e ricorrevano le condizioni stabilite dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 3;
che si sottolineava che la Corte di Palermo si era limitata a trascrivere il testo della disposizione contrattuale rilevante (contratto collettivo integrativo del 2001), senza fornire alcun apprezzamento critico della norma e senza, al tempo stesso, offrire alcuna esplicitazione dei presupposti di fatto a tal fine influenti, con riferimento, fra l’altro, alla struttura dell’Area di vigilanza presso la specifica Direzione provinciale e alla posizione in tal contesto assunta dal ricorrente, anche in relazione ai compiti dei dirigenti presenti in organico;
che si aggiungeva che a tal fine non poteva risultare pertinente quanto argomentato nella parte conclusiva della motivazione – laddove si ribadiva che le funzione riservate, prima della privatizzazione, ai primi dirigenti, con i nuovi criteri della funzione dirigenziale hanno perso tale connotazione, restando affidate non più ad un dirigente, ma ad un funzionario apicale – trattando tali argomentazioni circostanze e problematiche non riferibili ai compiti in questione, che sono stati espletati in un arco temporale (dall’1 febbraio 2002 al 28 novembre 2003) pienamente rientrante nel periodo in cui, secondo lo stesso dipendente, ha avuto concreta attuazione presso la sede di ***** il nuovo organigramma aziendale;
che, pertanto, quel che si chiedeva al giudice del rinvio era di stabilire se, in concreto, fossero state o meno svolte le mansioni superiori rivendicate, specificandosi che non era rilevante al riguardo l’argomento secondo cui con la nuova organizzazione della funzione dirigenziale tali funzioni restavano affidate non più ad un dirigente, ma ad un funzionario apicale, visto che era pacifico lo l’avvenuto svolgimento dei compiti in questione quando aveva già avuto concreta attuazione presso la sede di ***** il nuovo organigramma aziendale;
che, a fronte di questa situazione, nel primo motivo del presente ricorso l’INPS, pur affermando formalmente di contestare l’operato della Corte territoriale per la deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, nella sostanza ribadisce le censure già formulate dinanzi alla stessa Corte d’appello di Caltanissetta e da questa, correttamente, considerate fuori thema decidendum, sull’assunto secondo cui esse no riguardavano – e non riguardano – la ascrivibilità delle mansioni svolte alle funzioni dirigenziali, ma il fatto che la direzione poteva essere affidata anche ad un Ispettore generale e che il livello dirigenziale era previsto solo per le sedi di maggiore importanza;
che pertanto, come si evince sia anche dal richiamo dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e non del n. 4 sia dalle argomentazioni svolte, nei fatti l’Istituto – inammissibilmente – finisce con l’esprimere un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse, senza tenere conto dei limiti – dianzi delineati dell’impugnativa della sentenza pronunciata in sede rescindente e senza neppure impugnare la suddetta ratio decidendi autonomamente idonea a sorreggere la statuizione di irrilevanza delle argomentazioni dell’Istituto;
che anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto le censure ivi formulate, oltre a non tenere conto dei suindicati limiti di impugnazione della sentenza pronunciata in sede rescindente, sono anche formulate senza il dovuto rispetto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis – secondo cui la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano;
che, in sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;
che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Istituto ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019
Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1363 - Interpretazione complessiva delle clausole | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2019 - Effetti dell'ammortamento | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile