Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28965 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20410/2018 proposto da:

M.A.R., elettivamente domiciliato in Roma Via Casilina N. 29 presso lo studio dell’avvocato Cardone Marilena che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 247/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 18 gennaio 2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di M.A.R., cittadino del Bangladesh, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non evidenziando il racconto del richiedente – lo stesso sarebbe scappato per le minacce di morte ricevute dalla famiglia, potente, di un suo amico dallo stesso picchiato per un contrasto personale – alcuna forma di persecuzione per motivi di sesso, razza, religione, richiesti per il riconoscimento di tale status.

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno per la sua vita ed incolumità fisica in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale del ricorrente.

Ha proposto ricorso per cassazione M.A.R. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4 ed art. 7.

Lamenta il ricorrente di aver già dedotto al giudice d’appello che il suo eventuale ritorno in patria gli avrebbe causato conseguenze di tipo persecutorio oltre al pericolo per la sua vita, senza poter contare neppure sull’aiuto delle autorità locali, appartenendo i persecutori ad una famiglia “importante” del paese.

2. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello di Milano ha rigettato la domanda del ricorrente per il riconoscimento dello status di rifugiato sul rilievo che la presunta “persecuzione” che avrebbe subito dalla potente famiglia con cui era entrato in contrasto nel suo paese d’origine costituisce una mera vicenda personale, privata non riconducibile alla fattispecie del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7.

Il ricorrente si è limitato genericamente a contestare tale affermazione senza neppure illustrare le ragioni della propria differente prospettazione giuridica, aggiungendo soltanto di non aver potuto contare sull’aiuto delle autorità locali per l’influenza di questa potente famiglia.

Quest’ultima deduzione – di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata, con la conseguenza che, in virtù del principio di autosufficienza, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di averla già rappresentata ai giudici di merito – avrebbe potuto avere una qualche rilevanza solo ove il ricorrente avesse allegato (e, invece, non lo ha neppure fatto) di aver chiesto esplicitamente la protezione alle Autorità del suo paese e di non averla ottenuta.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello è venuta meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non ha considerato la situazione di vulnerabilità legata alla sua vicenda personale, non provvedendo ad una compiuta valutazione della sua vita privata e familiare in Italia comparata alla situazione personale che ha vissuto prima della partenza (totale stato di povertà ed indigenza).

5. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, attinendo entrambi alla protezione umanitaria, sono infondati.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, tuttavia, nel caso di specie, non è necessario sospendere il presente giudizio ed attendere la decisione del Supremo Collegio, atteso che la domanda del ricorrente non possiede i requisiti per un suo accoglimento neppure con i parametri elaborati nella citata sentenza n. 4455/2018.

In primo luogo, non vi è traccia nella sentenza impugnata della deduzione contenuta nel ricorso secondo cui, prima della partenza dal paese d’origine, il ricorrente si sarebbe trovato in una situazione di totale povertà ed indigenza.

In proposito, il ricorrente, allo scopo di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, in ossequio al principio di specificità del motivo, avrebbe dovuto non solo allegare l’avvenuta deduzione della predetta questione innanzi al giudice di merito, ma indicare in quale atto del giudizio lo avesse eventualmente fatto, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della questione (vedi Sez 61, n. 15430 del 13/06/2018 (Rv. 649332).

In realtà, il ricorrente non ha indicato nè il luogo nè il modo di deduzione di tale censura innanzi alla corte d’Appello di Milano, con conseguente violazione del principio di autosufficienza e specificità del ricorso.

Ne consegue che non avendo il ricorrente dimostrato di aver allegato alcunchè ai giudici di merito in ordine alla sua vicenda personale, lo stesso non può certo dolersi del mancato accertamento della asserita situazione di vulnerabilità nonchè dell’omessa comparazione dei due contesti di vita nel paese d’origine e in quello d’accoglienza.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussist nza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrentel dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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