LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22245/2018 proposto da:
A.I., elettivamente domiciliato in Roma Via Fonteiana 142, presso lo studio dell’avvocato Valerini Fabio, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, Commissione Territoriale Per il Riconoscimento della Protezione Internazionale Milano;
– intimato –
avverso la sentenza n. 832/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 16 febbraio 2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di A.I., cittadino del Pakistan, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, della protezione umanitaria.
Con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno per la sua vita ed incolumità fisica in caso di ritorno nel paese d’origine (il ricorrente aveva allegato di essere fuggito dal Pakistan in quanto minacciato dalle autorità religiose del suo villaggio che gli avevano rimproverato di aver svolto attività di lavoro per due scuole cristiane, minaccia che era sfociata nell’incendio del suo furgoncino e nell’aggressione dello stesso e della propria figlia, peraltro deceduta per lo spavento).
Il ricorrente non è stato, altresì, ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione A.I. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, lett. c), artt. 5, 6 e art. 14, lett. a, b, c e all’art. 4 par. 1 direttiva 2004/83.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha omesso ogni doverosa verifica in ordine alle minacce di morte ed alle violenze dallo stesso subite da soggetti non statuali, nonostante avesse espressamente riferito di aver chiesto la protezione all’autorità statuale (polizia), la quale si era rifiutata di concedergliela.
2. Il motivo è fondato.
Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. (Cass. n. 16356 del 03/07/2017; conf. n. 15192 del 20/07/2015).
Nel caso di specie, a fronte dell’affermazione del ricorrente – di cui ha dato atto la stessa sentenza impugnata a pag. 3 – che, a seguito delle minacce di morte e dell’aggressione (in occasione della quale aveva perso la vita la propria bambina), aveva chiesto “protezione alla Polizia, la quale si era rifiutata di collaborare per il timore della reazione del quartiere”, il giudice di secondo grado, in primo luogo, ha omesso ogni valutazione sulla credibilità del racconto del richiedente, così avallandone implicitamente l’attendibilità. In secondo luogo, ha omesso di effettuare qualsiasi verifica sulla effettività della protezione offerta dalle autorità statuali del Paese di provenienza, limitandosi ad osservare apoditticamente e genericamente che “le circostanze dedotte dall’appellante non sono infatti supportate da elementi di oggettiva rilevanza rientranti nella previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14”.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,dir. 2004/83/CE e art. 101 c.p.c., comma 2, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello, nell’escludere il rischio di danno grave alla vita e all’incolumità personale, ha omesso qualsivoglia riferimento a fonti di prova, non confrontandosi con le fonti indicate dal ricorrente sin dal primo grado e richiamate (in ossequio al principio di autosufficienza) da pag. 16 a pag. 19 dell’atto di appello.
Il giudice di secondo grado non ha tenuto conto altresì del rilievo che la valutazione deve essere condotta all’attualità della decisione finale.
4. Il motivo è fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (n. 17075/2018, n. 17069/2018; n. 9427/2018, n. 14998/2015, Rv.636559; Cass. Sez. 6-1, Sentenza n. 7333 del 10/04/2015, n. 16202/2012; S.U. n. 27310/2008).
E’ stato, altresì, recentemente precisato che il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle cd. fonti informative privilegiate, va interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449/2019, n. 13450/2019; n. 13451/2019).
Ne deriva l’insufficienza del riferimento – operato nel provvedimento impugnato – a imprecisate “fonti ufficiali”, in quanto trattasi di indicazione generica, non idonea a specificare quale fonte, in concreto, sia stata utilizzata dal giudice di merito e quindi non sufficiente ad assicurare il controllo sull’attendibilità di essa e soprattutto sulla sua effettiva ricomprensione nel novero di quelle previste dal richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.
5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32.
Lamenta il ricorrente che la corte di merito ha affermato che lo stesso non si trovava in alcuna situazione di fragilità e di vulnerabilità nonostante avesse prodotto anche articoli di giornali che si erano occupati della sua vicenda ed avesse prodotto in giudizio il certificato di morte della sua bambina.
6. Il motivo è assorbito in conseguenza dell’accoglimento dei motivi attinenti alla domanda di protezione internazionale, svolta dal ricorrente in via principale.
Deve quindi cassarsi la sentenza in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie i primi due motivi, assorbito il terzo, e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, per nuovo esame e per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019