Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28969 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25097/2018 proposto da:

T.I., elettivamente domiciliato in Roma Viale R Margherita 239, presso lo studio dell’avvocato Valeri Valentina, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cainarca Giacomo;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2383/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 14 maggio 2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di T.I., cittadino del *****, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria, o, in ulteriore subordine, il diritto d’asilo.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato in relazione alla non credibilità del racconto del richiedente (lo stesso sarebbe scappato per il timore di essere arrestato per un episodio in cui lo stesso non aveva alcuna responsabilità, ovvero il decesso di un suo compagno di lavoro dovuto ad un incendio scoppiato nella panetteria in cui entrambi lavoravano).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno per la sua vita ed incolumità fisica in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione T.I. affidandolo a due motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 10 Cost., comma 3 e al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Espone il ricorrente che la tutela dei diritti fondamentali della persona umana è riconosciuta allo straniero dall’art. 10 Cost., nonchè dalla protezione umanitaria, che copre situazioni non tutelate dalla protezione internazionale, nelle quali la minaccia ai beni primari non provenga da guerre o persecuzioni, ma da conflitti etnici o anche solo endo-familiari in relazione ai quali non venga apprestata tutela dalle autorità cui è richiesta la protezione.

Lamenta quindi il ricorrente che la Corte d’Appello ha omesso di valutare la situazione di vulnerabilità in cui versava legata al grave sacrificio dei diritti umani, quali la salute, l’integrità psico-fisica, la dignità umana, l’alimentazione, il diritto ad un livello di vita adeguato per sè e per la propria famiglia.

2. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, nel caso di specie, non è necessario sospendere il presente giudizio ed attendere la decisione del Supremo Collegio, atteso che la domanda del ricorrente non possiede i requisiti per un suo accoglimento neppure con i parametri elaborati nella citata sentenza n. 4455/2018.

In primo luogo, non vi è traccia nella sentenza impugnata che il ricorrente avesse specificamente lamentato nei gradi precedenti una situazione di vulnerabilità riconducibile alla violazione diritti umani, quali la salute, l’integrità psico-fisica, la dignità umana, l’alimentazione, il diritto ad un livello di vita adeguato per sè e per la propria famiglia.

In proposito, il ricorrente, allo scopo di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, in ossequio al principio di specificità del motivo, avrebbe dovuto non solo allegare l’avvenuta deduzione della predetta questione innanzi al giudice di merito, ma indicare in quale atto del giudizio lo avesse eventualmente fatto, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della questione (vedi Sez. 6-1, n. 15430 del 13/06/2018 (Rv. 649332).

In realtà, il ricorrente non ha indicato nè il luogo nè il modo di deduzione di tali censure innanzi alla corte d’Appello di Milano, con conseguente violazione del principio di autosufficienza e specificità del ricorso.

Peraltro, il giudice d’appello ha evidenziato che il Ghana è il paese africano più avanzato per quanto riguarda la libertà di stampa e di espressione e tra i più permissivi dal punto di vista delle libertà politiche, evidenziando altresì una crescente qualità della vita ed uno sviluppo economico sostenuto (seppure rallentato nel triennio 2014-2016).

Tale valutazione di merito non è sindacabile in sede di legittimità.

In ogni caso, va osservato che questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere comunque necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Orbene, nel caso di specie, il T. ha dedotto nel ricorso per cassazione una situazione di vulnerabilità legata alle generali condizioni socio economiche nel Paese d’origine, senza indicare alcuna circostanza fattuale attinente alla sua una condizione personale, salvo il racconto che i giudici di merito hanno coerentemente ritenuto non credibile ed inattendibile.

Quanto al diritto d’asilo, va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui il diritto di asilo non ha una propria connotazione autonoma, avendo trovato piena attuazione attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 e del D.Lgs.n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (Cass. n. 16362 del 04/08/2016).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Lamenta il ricorrente che la Corte di Appello non ha correttamente valutato il clima di violenza indiscriminata e diffusa esistente in Ghana.

4. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata e diffusa in Ghana derivante da conflitto armato ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. del 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente – che, peraltro, evidenziano solo un alto tasso di corruzione del sistema di sicurezza e abusi di potere delle forze di polizie (pur sfocianti in esecuzioni extra-giudiziali ed ingiuste detenzioni) – sul punto, si configurino come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, oltre SPAD.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento se dovuto da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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