LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25127/2018 proposto da:
D.B., elettivamente domiciliato in Roma Via Attilio Regolo, 12/d presso lo studio dell’avvocato Fazi Massimiliano che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1127/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata in data 1 marzo 2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di D.B., cittadino del Senegal, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.
E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le sue dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere stato rapito da un gruppo di ribelli per costringerlo ad arruolarsi, di essere fuggito dal luogo di prigionia e di essere quindi scappato dal paese di provenienza).
Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.
Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.
Ha proposto ricorso per cassazione D.B. affidandolo a sei motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7 e 8 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, artt. 2 e 3 CEDU.
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente valutato l’insussistenza di una grave condizione di pericolo per la sicurezza individuale in Senegal.
2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e art. 19, comma 6.
Espone il ricorrente (benchè abbia indicato erroneamente gli articoli di legge che si riferiscono all’istituto della protezione umanitaria) la sussistenza di un rischio effettivo di subire un danno grave in caso di rientro nel proprio paese.
3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla violazione del principio di non refoulement.
Espone il ricorrente di non poter far ritorno nel paese d’origine atteso che potrebbe subire gravi conseguenze personali e gravi pericoli.
4. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, da esaminare unitariamente, investendo tutti la questione del pericolo di “danno grave” del ricorrente in caso di ritorno nel paese di provenienza, sono inammissibili.
Va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).
Nel caso di specie, la Corte di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Senegal derivante da un conflitto armato ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).
Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.
5. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 1A della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951.
Lamenta il ricorrente di trovarsi nelle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato dopo essere riuscito fortunosamente a fuggire dal gruppo di ribelli da cui era stato rapito.
6. Il motivo è inammissibile.
La doglianza del ricorrente si fonda sul racconto reso dallo stesso alla Commissione territoriale che, tuttavia, non è stato coerentemente ritenuto credibile dai giudici di merito.
Sul punto, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).
Nel caso di specie, il ricorrente ha contestato il giudizio di non credibilità formulato dai giudici di merito senza indicarne le ragioni e, conseguentemente, senza neppure allegare gravi anomalie motivazionali, le uniche denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
Dunque, difettano in capo allo stesso i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.
7. Con quinto motivo è stata dedotta l’illegittimità del provvedimento di rigetto della richiesta di protezione internazionale per la mancata traduzione del provvedimento adottato dalla Commissione territoriale in lingua conosciuta dal ricorrente.
8. Il motivo è infondato.
Va osservato che questa Corte ha più volte statuito, in tema di protezione internazionale, che l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10, commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 11871 del 27/05/2014; n. 420 del 13/01/2012).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha avuto cura di precisare se e in che misura la mancata traduzione del provvedimento di cui sopra in una lingua, a suo dire, sconosciuta abbia determinato una violazione del suo diritto di difesa, tenuto conto che lo stesso si è regolarmente difeso in tutti i gradi del giudizio.
9. Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione del diritto di asilo di cui all’art. 10 Cost., comma 3.
10. Il motivo è infondato.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte che il diritto di asilo ha trovato piena attuazione attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007 e dell’art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, (Cass. n. 16362 del 04/08/2016).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha esaminato in modo approfondito tutte le problematiche relative alle protezioni internazionali ed umanitaria, ritenendo l’insussistenza dei presupposti per la loro applicazione.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero controricorrente che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge, oltre S.P.A.D.
Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019