LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17763/2018 proposto da:
K.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Piemonte 32 presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Spada e rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Di Pasquale in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, Commissione Territoriale Prot Int.le Siracusa Sez. di Ragusa;
– intimato –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di CATANIA, depositata il 18/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso del 12/12/2017 D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e 35 bis K.L., cittadino della Guinea, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Catania il provvedimento del 29/6/2017 con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Siracusa ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
Il ricorrente, cittadino della Guinea, nato a *****, aveva raccontato di aver vissuto colà sino all’agosto del 2013 e cioè sino all’assassinio del padre, musulmano e “*****”, ucciso in uno scontro religioso; di essersi trasferito presso lo zio paterno che l’aveva obbligato a interrompere gli studi e a lavorare; di essersi trasferito prima in Algeria poi in Libia, ove era stato incarcerato per cinque mesi, imbarcandosi nell’agosto del 2016 per l’Italia.
Con decreto del 18/4/2018, comunicato il 3/5/2018, il Tribunale di Catania ha rigettato il ricorso, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione.
2. Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione K.L., con atto notificato il 4/6/2018, con il supporto di due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, let. g) e art. 14, lett. c), con riferimento al mancato riconoscimento dello status di rifugiato.
1.1. Il ricorrente osserva che il Tribunale, con stringatissima motivazione, aveva escluso che la vicenda esposta dal ricorrente integrasse gli estremi di una persecuzione personale e diretta nel Paese di origine; non erano stati acquisiti ulteriori elementi probatori e non era stato sentito il richiedente che pur ne aveva fatto richiesta.
La Commissione territoriale non aveva dubitato della credibilità del racconto del richiedente, risultando così acclarata l’uccisione del padre e la necessità di spostarsi in altra zona a causa dei gravissimi scontri tra cristiani e musulmani.
Dal rapporto di Amnesty International risultava la sussistenza di un clima di forte tensione sociale e l’uso eccessivo e indiscriminato della forza da parte dei militari, macchiatisi anche di torture e maltrattamenti.
1.2. Il ricorrente, in questo motivo, come negli altri successivi denuncia violazione di norme di legge processuale, l’art. 115 c.p.c., secondo il quale, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonchè i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita, e l’art. 116 c.p.c., secondo il quale il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti, per segnalare la ricostruzione, a suo parere erronea da parte del Giudice di merito della quaestio facti.
In tal modo, lungi dal censurare la violazione delle regole legali in tema di disponibilità e valutazione delle prove, il ricorrente contesta l’apprezzamento di fatto compiuto dal Giudice del merito, sindacabile nei ristretti limiti del vizio motivazionale consentito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 (risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134) in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).
1.3. In ogni caso la valutazione espressa dal Tribunale catanese è ineccepibile.
I fatti esposti dal ricorrente non configuravano una persecuzione diretta e personale suscettibile di tutela attraverso il riconoscimento dello status di rifugiato, anche a prescindere dal fatto, non censurato, su cui ha fatto leva il Tribunale, ossia che il richiedente dopo essersi trasferito dallo zio, aveva deciso di trasferirsi prima in Algeria e poi in Libia alla ricerca di un lavoro meglio pagato di quello non ben retribuito che pretendeva lo zio.
2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14, lett. c) con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria.
2.1. Secondo il ricorrente, sussisteva alla luce del rapporto di Amnesty International un clima di fortissima tensione politica e le forze di sicurezza avevano commesso crimini sostanzialmente impuniti.
La Guinea versava ancora dopo le elezioni del 4/2/2018 in grave situazione conflittuale come risulta da una serie di articoli pubblicati su vari mezzi di informazione.
2.2. Anche in questo caso il ricorrente deduce in modo improprio il vizio di violazione di legge per sindacare la valutazione dei fatti espressa dal Giudice di merito (cfr p. 1.2.).
2.3. Quale che sia la ragione, dal Giudice di merito ritenuta meramente economica, della migrazione del sig. K., indubbiamente una situazione di conflitto interno armato, tale da determinare l’esposizione dei civili ad atti di violenza indiscriminata D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), assumerebbe comunque rilievo, quand’anche insorte successivamente e del tutto indipendente dalle motivazioni migratorie del richiedente asilo.
Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia. (Sez. 6 – 1, n. 9090 del 02/04/2019, Rv. 653697 – 01).
2.4. Tuttavia il Giudice del merito, nell’esercizio del dovere officioso di cooperazione istruttoria D.Lgs. n. 251 del 2008, ex art. 8, comma 3, assunte informazioni presso fonti internazionali, di cui ha dato conto a pagina 4, ha escluso la sussistenza della predetta situazione di pericolo generalizzato.
Ad esse il ricorrente contrappone uno stralcio di un rapporto di Amnesty International, senza riportarne integralmente il contenuto, con il conseguente difetto di specificità del ricorso e comunque propone un dissenso nel merito della valutazione delle prove non ammissibile in sede di legittimità.
Palesemente inammissibili sono le nuove deduzioni probatorie (fonti varie indicate a pag. 9 del ricorso) relative alla situazione successiva alle elezioni del febbraio 2018 che il ricorrente neppure deduce di aver prodotto in giudizio e sottoposto al dibattito processuale.
3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
3.1. Secondo il ricorrente, la corretta applicazione delle norme codicistiche avrebbe dovuto condurre ad apprezzare negli elementi probatori acquisiti una diversa e corretta ricostruzione della questione di fatto, evitando la mancata sussunzione del caso concreto sotto la fattispecie astratta del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
Sussisteva una condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente alla luce delle condizioni del Paese di origine, in conflitto interno e con situazione di compromissione dei diritti umani fondamentali.
3.2. Vale anche in questo caso la censura circa la formulazione del motivo di cui al p. 1.2.
3.3. In ogni caso le generiche deduzioni del ricorrente circa la gravissima situazione in Guinea si scontrano come il diverso accertamento operato dal Giudice di merito.
3. Il ricorso deve quindi essere rigettato.
Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’intimato.
PQM
LA CORTE rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 25 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019