LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4179-2018 proposto da:
F.V. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAMBATTISTA VICO 22, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FRUSCIONE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO TURCI, RAFFAELLA VIANELLO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1757/6/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di GENOVA, depositata il 21/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 11/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE La CTR Liguria, con la sentenza indicata in epigrafe, decidendo l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e l’appello incidentale proposto dalla F.V. s.p.a., riformava parzialmente la sentenza di primo grado che aveva dichiarato dovuta la sanzione per l’indebito utilizzo del deposito IVA da parte dell’importatore mediante l’inserimento virtuale della merce in base al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9, ritenendo applicabile il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, nella forma ridotta in caso di ritardato versamento, ritenendo tale misura compatibile con i principi espressi dalla sentenza *****.
La F.V. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, al quale ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso.
Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di rispondenza fra chiesto e pronunziato. La CTR avrebbe riconosciuto la sanzionabilità della condotta di ritardo nel pagamento del tributo, a fronte di una contestazione che afferiva all’omesso versamento del tributo stesso.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza in relazione alla mancata pronunzia sulla eccezione di decadenza dell’amministrazione dal diritto a sanzionare condotte diverse dall’omesso versamento dell’imposta.
Le censure, che meritano un esame congiunto, sono infondate.
Ed invero, a fronte dell’originaria contestazione operata dall’Ufficio, che atteneva al mancato pagamento del tributo IVA in relazione all’utilizzo indebito del sistema di esenzione temporaneo del tributo dovuto all’introduzione della merce in deposito, la CTR ha ritenuto di ravvisare gli estremi della violazione contestata in relazione al mero ritardo nel versamento del tributo stesso, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia e di questa stessa Corte che ha riconosciuto al meccanismo dell’inversione contabile al momento dell’estrazione della merce dal deposito l’idoneità ad assolvere il tributo IVA originariamente dovuto in caso di inserimento meramente virtuale della merce in deposito.
Nel far ciò la CTR non è tuttavia incorsa in alcuna violazione del principio fra il chiesto ed il pronunziato, avendo qualificato l’originaria condotta, come originariamente contestata, in termini di mero ritardo e non di mancato pagamento, con ciò nemmeno quindi dando luogo ad un’omessa pronunzia sulla censura esposta nell’appello incidentale dalla F.V.. Del resto, il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, prevede la sanzione a carico di colui che “non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici…” in tal modo pienamente equiparando, ai fini della sanzionabilità del contegno del soggetto tenuto al pagamento dell’IVA, le condotte di omesso versamento e di parziale versamento, con ciò dovendosi quindi del tutto escludersi la condivisibilità della prospettazione difensiva espressa dalla ricorrente.
La CTR, nel decidere nel senso sopra indicato, si è peraltro pienamente uniformata all’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in casi analoghi a quello per cui è processo – cfr. Cass. n. 14248/2017, Cass. n. 16109/2015, Cass. n. 18171/2015 -.
Proprio sul tema specifico delle sanzioni applicabili e della misura in concreto irrogabile dal giudice di merito, la già ricordata Cass. n. 16109/2015 ha affermato che “la sanzione applicabile all’importatore che si avvale del sistema di sospensione del versamento dell’Imposta sul valore aggiunto all’importazione senza immettere materialmente nel deposito IVA la merce extra UE va individuata nel paradigma normativo di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13 a nulla rilevando il contenuto precettivo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70. Proprio in relazione alla giurisprudenza della Corte di Giustizia e di questa Corte deve infatti ritenersi che l’IVA all’importazione costituisca un tributo interno. E’ sufficiente, sul punto, evidenziare che proprio la sentenza ***** ha ritenuto che l’IVA all’importazione, richiesta dallo Stato italiano, ha natura di tributo interno. Indirizzo, quest’ultimo confermato di recente da Cass. n. 19749/2014. Pertanto, legittimamente l’Amministrazione ha fatto riferimento, rispetto alla sanzione applicata, al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13. Ed invero, detta disposizione, inserita all’intero della legge organica di settore concernente le sanzioni amministrative in materia tributaria – art. 1 – è applicabile, salvo diversa espressa previsione, ai procedimenti di irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali – ai sensi del D.Lgs. ult. cit., art. 26, comma 3.”
In modo ancora più specifico, con riferimento alla disciplina applicabile in tema di sanzioni, Cass. n. 18171/2015, ha ritenuto “corretta la sussunzione della condotta contestata alla parte contribuente nello stigma del ricordato art. 13, in questa direzione orientando in conclusione tanto il riconoscimento dell’IVA all’importazione quale tributo interno che, per altro verso, la portata generale della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e la sua applicabilità all’omesso o ritardato versamento di qualunque tributo” aggiungendo che “Non può pertanto ritenersi di essere in presenza di una violazione meramente formale per la quale l’esclusione della punibilità – D.Lgs. n. 472 del 1996, art. 6, comma 5 bis (v. Cass. n. 5897/2013) – è prevista per le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio dell’attività di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo. Ipotesi non ricorrente nel caso di specie. Ad escludere tale possibilità è la stessa Corte Europea, laddove afferma che “…un siffatto obbligo, nonostante il suo carattere formale, è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonchè evitare l’evasione di tale imposta”- p. 29 sent. *****.”
Ciò che dimostra, diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, la piena conformità della pronunzia della CTR con i detti principi.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della dir. CE n. 77/388/CEE, artt. 2 e 10 e della dir. CE n. 2006/112/, art. 2, nonchè del Reg. CE n. 1553/1989, art. 2, nonchè dei principi espressi dalla sentenza ***** della Corte di Giustizia. La CTR non avrebbe considerato che con l’inversione contabile utilizzata al momento dell’estrazione della merce dal deposito IVA sarebbe stato regolarmente assolto il tributo IVA e non adempiuto il pagamento di un diverso tributo come ritenuto dalla CTR.
La censura è palesemente infondata.
Ed invero, la CTR si è scrupolosamente adeguata ai principi espressi da questa stessa sezione e dalla sezione quinta in materia, alla cui stregua l’assolvimento dell’IVA all’importazione (da effettuarsi al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana) con le modalità previste per l’IVA intracomunitaria e, cioè, al momento dall’estrazione dal deposito fiscale e col metodo dell’inversione contabile, pur costituendo una violazione della disciplina e legittimando l’applicazione delle sanzioni, non consente al fisco di chiedere nuovamente il pagamento del tributo, in ragione del generale divieto di duplicazione, trattandosi della stessa imposta, pur se assoggettata a termini e a modalità diverse di riscossione – cfr. Cass. n. 15988/2015 e sentenze già sopra ricordate -.
Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per avere omesso di pronunziarsi sul motivo di appello concernente il difetto di motivazione degli atti impugnati, concernenti le sanzioni applicate in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.
La censura, in astratto fondata poichè effettivamente la CTR non ha esaminato il motivo contenuto nell’appello incidentale, è tuttavia infondata nel merito, ove si consideri che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’irrogazione della sanzione amministrativa (nella specie ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 8, comma 3 – bis), non è assoggettata al termine dilatorio di sessanta giorni, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per gli atti di natura impositiva trovando, invece, applicazione la disciplina speciale di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16, ove sono indicate le peculiari modalità con le quali viene garantito il principio del contraddittorio rafforzato – cfr. Cass. n. 11391/2017 -. Non poteva, dunque, la società ricorrente dolersi del mancato esame delle osservazioni da parte dell’ufficio.
Con il quinto motivo si deduce la violazione del principio di proporzionalità affermato dalla sentenza ***** all’atto della determinazione della sanzione applicabile che la CTR avrebbe violato negando l’applicazione degli interessi di mora per il ritardo.
La censura è infondata, avendo la CTR fatto buon governo dei principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia *****, già ricordata, ritenendo che in relazione alla specificità della vicenda fosse applicabile la misura ridotta della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.
In sostanza, la CTR di fronte all’alternativa fra applicazione di sanzioni in misura ridotta o di interessi- sulla quale si è espressa anche questa Corte – cfr. Cass. n. 12236/2017, ha optato per la riduzione delle sanzioni in caso di regolarizzazione successiva- rispetto alla misura del 30% prevista dallo stesso art. 13 – in tal modo dimostrando di pienamente uniformarsi ai principi espressi dalla Corte di giustizia in punto di proporzionalità della sanzione.
Anche tale motivo va quindi disatteso.
Le spese seguono la soccombenza, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 – bis e 1 quater.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore dell’Agenzia delle dogane in Euro 1500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 – bis e 1 quater.
Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019