Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29032 del 11/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18271-2018 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 13, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5323/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA PAOLO.

CONSIDERATO

che:

Con atto di precetto notificato il 20 gennaio 2011 l’avvocato Gina T. intimava a Intesa San Paolo s.p.a. il pagamento di un importo stabilito da un’ordinanza di assegnazione depositata il 19 marzo 2003 all’esito di un processo di esecuzione in cui la banca era stata terza pignorata; l’ordinanza di assegnazione era notificata unitamente al precetto;

avverso la procedura esecutiva successivamente incardinata nelle forme del pignoramento presso terzi, l’istituto di credito proponeva opposizione all’esecuzione deducendo, in particolare, di aver pagato l’intera sorte assegnata nell’ordinanza al netto della ritenuta di acconto, inviando, tramite posta, dopo il precetto, un assegno circolare dapprima restituito ex art. 1181 c.c., e poi nuovamente inoltrato alla creditrice che, ciò nondimeno, aveva proceduto alle vie coattive;

disposta la sospensione dell’esecuzione, la causa era riassunta nel merito dalla creditrice;

il Giudice di pace, davanti al quale resisteva la banca, accoglieva l’opposizione;

appellava T.G. deducendo la tardività del pagamento, effettuato oltre i dieci giorni dalla notifica del precetto, e l’insufficienza del saldo in particolare quanto all’eccesso della ritenuta di acconto cui la banca aveva proceduto senza scorporare le somme non assoggettabili alla stessa;

il Tribunale rigettava l’appello;

avverso questa decisione ricorre per cassazione T.G. affidandosi a quattro motivi;

resiste con controricorso Intesa San Paolo che ha altresì depositato memoria;

in calce al ricorso la ricorrente ha formulato domanda di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite in merito alla possibilità di estendere analogicamente il termine dilatorio previsto dall’art. 477 c.p.c. alla fattispecie processuale della notifica al terzo pignorato di un’ordinanza di assegnazione unitamente al precetto, anche quando il provvedimento ex art. 553 c.p.c., non contenga un termine dilatorio in favore del terzo pignorato;

la stessa parte assume che vi sarebbe contrasto nelle sezioni semplici di questa Corte anche in ordine a una seconda questione, ossia quella concernente la sussistenza della giurisdizione tributaria, o comunque il litisconsorzio necessario con l’amministrazione erariale, quanto alla controversia avente ad oggetto la ritenuta di acconto;

RILEVATO

che:

come già chiarito da questa Corte in fattispecie sovrapponibile (Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754) è preliminare, e decisivo, il rilievo per cui la ricorrente non riporta in maniera comprensibile la sequenza dei fatti di causa rilevanti, in quanto il testo del ricorso, nella parte riservata alla esposizione sommaria del fatto, consta della parziale riproduzione scannerizzata di atti, oltre che di una laconica quanto incompleta esposizione di alcune circostanze del giudizio di primo e di secondo grado;

il ricorso non riporta affatto, nè con completezza e neppure nella pur consentita formula riassuntiva, le ragioni della decisione di primo grado, limitandosi subito di seguito ad affermare che il proprio appello è stato respinto per poi passare, direttamente, all’esposizione e illustrazione dei motivi di ricorso per cassazione;

a loro volta, la lettura dei motivi, costruiti anch’essi con riproduzione scannerizzata di atti, non consente la piena comprensione degli stessi, e attraverso di essi delle vicende processuali, senza attingere all’esterno del ricorso, ovvero alla sentenza d’appello o al controricorso;

l’intero ricorso risulta quindi inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il che esime dal dover esaminare, e perfino dal dover in questa sede riportare, o meglio ricostruire, il contenuto dei motivi di ricorso, in quanto a questo scopo si dovrebbe come detto attingere “aliunde”;

il gravame non consente cioè alla Corte, violando l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, l’idonea comprensione della complessiva vicenda processuale (cfr. anche Cass., Sez. U., nn. 16628 del 2009 e 5698 del 2012);

il requisito in parola consiste in un’esposizione che deve garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (v. Cass. n. 21396 del 2018);

in mancanza di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali, della sintetica quanto puntuale esposizione della soluzione accolta dai giudici di merito, nonchè, in questo quadro, di una chiara illustrazione dell’errore pretesamente commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, viene addossato a questa Corte il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi sottoposti al suo esame senza un chiaro ordine logico, quelli ritenuti rilevanti dallo stesso soggetto ricorrente ai fini del decidere;

la valutazione in termini d’inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sè stesso, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno “standard” di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dall’avvocato e come detto presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale e le ragioni dell’assistito, così come le questioni sottoposte all’attenzione della Corte nel ricorso per cassazione cui si sia giunti;

neppure è possibile nel caso di specie, al fine di evitare una pronuncia d’inammissibilità del ricorso, recuperare in maniera sufficientemente chiara la necessaria esposizione dei fatti di causa attraverso la lettura dei motivi: il ricorso odierno, come anticipato, presenta, pure all’interno della trattazione riservata all’esposizione dei motivi, l’inserimento non giustificato di svariate porzioni, scannerizzate e riprodotte, degli atti processuali del giudizio di merito, peraltro spesso non per esteso e privi d’intestazione e riproduzione integrale nonchè di rielaborazione sintetica, da parte della ricorrente, e di una chiara individuazione della rilevanza dei passi riprodotti nell’economia delle tesi esposte, di volta in volta, dalla stessa, il che rende, nella sua integralità, non adeguatamente decifrabile il mezzo processuale;

gli stessi motivi non sono idoneamente comprensibili, e non sarebbero stati neppure astrattamente riassumibili senza l’ausilio fornito dal testo della sentenza, al quale tuttavia non si può attingere per esaminare e decidere il ricorso se quest’ultimo non sia in grado di fornire autonomamente la chiave di comprensione del processo e della motivazione fatta propria dalla sentenza impugnata, per poi muovere alla stessa una critica ragionata ed ancorata ai motivi articolati;

inoltre la descritta modalità di proposizione del ricorso non permette neppure di comprendere se, ovvero in che modo e misura, le varie questioni astrattamente riferibili al coacervo del gravame fossero state idoneamente poste nelle fasi di merito, e quindi non risultino precluse;

il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la descritta inammissibilità manifesta del ricorso esclude ogni opportunità di una pronuncia ex art. 363 c.p.c., pure sollecitata dalla parte ricorrente;

le spese seguono la soccombenza;

sussistono i presupposti “ratione temporis” per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, posto che non si tratta di controversia afferente a crediti di lavoro, bensì a crediti professionali.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.100,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 11 novembre 2019

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