LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Mario – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27189-2017 proposto da:
L.P.P.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ORAZIO SPALLETTA;
– ricorrente –
contro
L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato MARIO DI BERNARDO, rappresentato e difeso dall’avvocato FEBO FRANCESCO MASSIMO BATTAGLIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1520/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 02/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSErn.
FATTI DI CAUSA
1. In data che non viene indicata da alcuna delle parti, L.G. convenne dinanzi al Tribunale di Siracusa L.P.P.M.A., chiedendone la condanna al risarcimento del danno patito in conseguenza di un incendio, sprigionatosi dal fondo del convenutone propagatosi al fondo dell’attore.
2. Con sentenza n. 2687 del 2014 il Tribunale accolse la domanda e condannò il convenuto al risarcimento in favore dell’attore del danno, stimato in Euro 20.000.
La sentenza venne appellata dal soccombente; la Corte d’appello di Catania, con sentenza 2 agosto 2017 n. 1520, rigettò il gravame.
3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da L.P.P.P.M.A., con ricorso fondato su tre motivi (il secondo motivo in sostanza e ripetuto due volte, con le lettere “B” e “D”).
L.G. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2051 c.c.; assume che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto sussistente il nesso di causa tra il fondo del convenuto e il danno patito dall’attore; assume che i due fondi erano divisi da una strada vicinale, e ciò di per sè impediva di ritenere sussistente il suddetto nesso.
1.2. 11 motivo è manifestamente inammissibile; oltre a censurare un tipico apprezzamento di fatto, prescinde del tutto dalla motivazione della sentenza impugnata, nella quale si legge (pagina 3) che “i testi escussi hanno confermato che il terreno del L.P. era confinante con quello dell’appellato”. E tanto a prescindere che neppure si predica l’elisione del nesso in dipendenza della circostanza dedotta.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 101 c.p.c., affermando che sia il Tribunale che la Corte d’appello avrebbero dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario della strada che divideva i due fondi, nonchè degli altri proprietari limitrofi.
2.2. Il motivo è manifestamente infondato; nel caso di specie infatti non ricorre alcuna ipotesi sostanziale o processuale di litisconsorzio necessario, trattandosi di pluralità di potenziali corresponsabili, ne avendo il convenuto formulato domande nei loro confronti.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
Deduce che la Corte d’appello ha ritenuto erroneamente provato il quantum debeatur, anche in assenza di prova, e sulla base soltanto di una consulenza di parte depositata dall’attore.
3.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.
La Corte d’appello infatti ha ritenuto che l’ammontare dei danni, analiticamente indicati dall’attore nell’atto di citazione, non era stato altrettanto analiticamente contestato dal convenuto, e che quindi dovesse ritenersi come ammesso.
Questa ratio decidendi, giusta o sbagliata che fosse, non viene minimamente censurata nel ricorso.
3.2. Il quarto motivo di ricorso, come già detto, riproduce il secondo.
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
P.Q.M.
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna L.P.P.M.A. alla rifusione in favore di L.G. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di L.P.P.M.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 13 giugno 2019.
Depositato in cancelleria il 11 novembre 2019