Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29060 del 11/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30730/2018 proposto da:

E.T., elettivamente domiciliato in Roma P.za Apollodoro 26 presso lo studio dell’avvocato Filardi Antonio che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Zotti Antonella;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2019 da Dott. RUSSO RITA.

RILEVATO

CHE:

1.- E.T. ha chiesto il riconoscimento della protezione internazionale narrando di esser originario del Ghana e di essere fuggito per timore di un arresto poichè il suo datore di lavoro aveva posto in essere una truffa ai danni di alcuni risparmiatori.

La Commissione territoriale ha respinto la domanda, e così anche il giudice di primo grado. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 20 dicembre 2017, ha respinto l’appello, osservando che il paventato arresto per un reato comune non è un atto persecutorio, che non era data notizia di procedimenti penali a carico del richiedente asilo, ed inoltre che appariva assai improbabile che, dopo dieci anni, la vicenda potesse ancora dirsi caratterizzata dal crisma dell’attualità; ha inoltre ricostruito la situazione del Ghana sulla base dei rapporti di ***** del 2016/2017 e ha concluso che non sussiste il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Ha infine escluso la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria non risultando allegati nè l’inserimento lavorativo, nè relazioni familiari che leghino il richiedente al territorio italiano.

3.-Propone ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi. Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

RITENUTO

CHE:

La parte denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e l’invalidità della sentenza ai sensi dell’art. 132 e 156 c.p.c. per manifesta illogicità della motivazione in relazione ad un fatto decisivo, ovvero apparenza della motivazione; la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,132,156 e 111 c.p.c.; la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 13 e 27 nonchè dell’art. 16 della Direttiva UE 2013/32 e la violazione di legge con riferimento agli artt. 6 e 13 CEDU, all’art. 47 della Carta di Nizza e all’art. 46 della Direttiva UE 2013/32.

La parte deduce che la motivazione resa dalla Corte di merito sul difetto di credibilità del richiedente non è convincente e non pare suffragata da solide motivazioni; inoltre osserva che essa avrebbe dovuto basarsi sul contenuto delle dichiarazioni, atteso che il giudizio deve esser reso basandosi sulle effettivo contenuto delle dichiarazioni rese. Si evidenzia che non è condivisibile argomentare la non credibilità sulla base dell’incapacità del ricorrente di fornire una sua spiegazione del perchè i risparmiatori truffati avrebbero voluto ucciderlo, pur non essendo il diretto responsabile della truffa.

I motivi sono inammissibili.

Il ricorso segue, ratione temporis, le regole dettate dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nella sua attuale formulazione, sicchè non può denunciarsi la illogicità o contraddittorietà della motivazione (salva l’ipotesi, impredicabile nella specie, di sua mera apparenza), ma solo l’omesso esame di un fatto decisivo.

Si deve quindi rilevare che la parte introduce un argomento che non si rinviene nella motivazione della Corte. Il giudice d’appello esamina il racconto del richiedente sotto il profilo del paventato rischio di un arresto per la truffa perpetrata dal suo datore di lavoro e non – come espone la parte in ricorso – del timore di essere ucciso dai risparmiatori truffati. La parte non specifica, però, se nell’atto di appello essa abbia evidenziato, e dove, che doveva essere tenuto in considerazione questo aspetto della vicenda, nè in quale parte delle dichiarazioni il richiedente asilo abbia parlato del rischio di ritorsione privata. Sotto questo profilo quindi il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non consentendo alla Corte alcun controllo sulla (eventuale) omissione da parte del giudice di merito dell’esame di un fatto decisivo (cfr. Cass. 118/2019).

Quanto alle restanti doglianze, si tratta di generiche enunciazioni ed astratte illustrazioni dei principi elaborati della giurisprudenza in tema di cooperazione istruttoria, onere della prova, presupposti per la protezione sussidiaria. Altrettanto generica deve ritenersi la censura sulla omessa acquisizione di informazioni sulle condizioni del paese di origine – circostanza peraltro non veritiera- perchè la sentenza impugnata cita espressamente i più recenti (rispetto alla data della sentenza) Report di *****, mentre la ricostruzione operata dal ricorrente sulle condizioni del Ghana sono prive di qualsivoglia riferimento a fonti di informazione sul paese di origine attendibile e verificabili (non senza ricordare come, in questa sede, non possano essere censurati i giudizi in fatto motivatamente espressi dalla Corte di merito). Generiche sono anche le censure sul mancato riconoscimento della protezione umanitaria e sulla applicabilità del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

Infine, apodittica ed altrettanto generica è l’affermazione che la sentenza sarebbe in palese contrasto con altre sentenze del Tribunale e della Corte napoletana in tema di protezione umanitaria, pronunciate in casi del tutto simili – sentenze di cui peraltro non si riportano neppure gli estremi. In ogni caso, la parte non tiene conto che i ricorsi si esaminano su base individuale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3) il che giustifica il diverso trattamento in casi diversi, anche se, in ipotesi, connotati da alcuni elementi comuni.

Il ricorso è da dichiarare inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione della controparte.

Il richiedente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato e pertanto non è tenuto è tenuto al versamento del contributo unificato, stante la prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 11 e 131 e, di conseguenza, neppure dell’ulteriore importo di cui all’art. 13, comma 1- quater Decreto citato (cfr. Cass. 7368/2017; n. 32319 del 2018), se ed in quanto l’ammissione non risulti revocata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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