Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza Interlocutoria n.29067 del 11/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 19682/2018 R.G. proposto da:

I.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Santilli Stefania del foro di Milano per procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 672/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 08/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 672/2018 depositata l’8-2-2018, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di I.A., cittadino della *****, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile, perchè generico e lacunoso, il racconto del richiedente, il quale aveva riferito di aver lasciato la Nigeria a causa dei problemi insorti con lo zio per questioni ereditarie e per il timore di essere ucciso come suo padre ed un parente che lo aveva aiutato. La Corte d’appello ha affermato di condividere il giudizio espresso dal Tribunale in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha escluso la sussistenza di rischio di danno grave, in relazione alla vicenda personale narrata, di carattere privato. Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte d’appello ha evidenziato che il richiedente proveniva da una zona della *****, nella quale non vi erano allarmanti situazioni di conflitto armato interno, violenza indiscriminata ed instabilità politica, in base alle fonti di conoscenza richiamate (Amnesty International e European Asylum Support Office). I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non avendo il richiedente allegato un proprio coinvolgimento specifico in situazioni di rischio, a causa di elementi peculiari della sua situazione personale, inattendibile ed in ogni caso riconducibile a dissidi familiari, nè elementi di significativa fragilità o vulnerabilità, anche considerando la reale situazione politico sociale dello Stato di provenienza, e che neppure fosse dimostrato il suo inserimento sociale e lavorativo in Italia.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 C.E.D.U., nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione subiti ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Deduce che le vicende personali e familiari del richiedente costituiscono fattispecie potenziale di persecuzione, attuata in ambito domestico. Lamenta omessa valutazione da parte della Corte d’appello del fenomeno familiare nel contesto ereditario, senza tener conto del fatto che il ricorrente aveva riferito di aver subito violenze, come da documentazione prodotta (doc. n. 2 fascicolo di primo grado), attestante cicatrici non recenti e perdita di almeno due denti, compatibili con quanto riferito circa i violenti pestaggi subiti. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale ha violato le indicazioni fornite dall’UNHCR circa i parametri di valutazione della credibilità e l’obbligo di cooperazione istruttoria e non ha esaminato i documenti prodotti sulla situazione dello Stato di provenienza, anche con riferimento alla mancata protezione da parte della Polizia.

2. Con il secondo motivo denuncia “Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 lett. c), in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Omesso esame di fatti decisivi; Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e 27, artt. 2 e 3 C.E.D.U.. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva 2013/32/UEex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Circa il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria deduce il ricorrente che le sue dichiarazioni, seppur generiche, non erano contraddittorie e la genericità del racconto trova giustificazione nella non scolarizzazione e giovane età dello stesso. Rileva che dallo stesso rapporto di Amnesty International citato dalla Corte d’appello risulta la situazione di grave violazione dei diritti umani esistente in Nigeria, mentre nella sentenza impugnata si faceva riferimento solo alla situazione di mancanza di violenza indiscriminata nell’Edo State, zona di provenienza del richiedente. Lamenta inoltre il mancato esercizio di cooperazione istruttoria sul contesto di grave violazione di diritti umani.

3. Con il terzo motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4, 7,14,16,17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 32; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 10 Cost.. Omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione ai presupposti per la protezione umanitaria; mancanza o quantomeno apparenza della motivazione e nullità della sentenza per violazione di varie disposizioni – artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato che la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, in ragione delle violenze e persecuzioni dallo stesso subite, e su tale aspetto di carattere decisivo non ha svolto accertamenti. La vulnerabilità inoltre deriva dallo stato di instabilità ed insicurezza della Nigeria e dalla complessiva situazione di detto Stato, con riguardo alle considerevoli criticità che emergono dal sito “viaggiare sicuri”, le cui informazioni il ricorrente trascrive nel ricorso.

4. Con le ordinanze interlocutorie nn. 11749, 11750, 11751 del 2019, depositate il 3 maggio 2019, la Prima Sezione di questa Corte ha rimesso al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, le seguenti questioni:

a) se la disciplina contenuta nel D.L. n. 113 del 2018, nella parte in cui abolisce le norme che consentivano il rilascio di un permesso per motivi umanitari (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, vecchio testo, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3) e le sostituisce con ipotesi tipizzate di permessi di soggiorno in “casi speciali”, sia applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.I., relativi a fattispecie in cui, alla stessa data, la commissione territoriale non avesse ravvisato le ragioni umanitarie e avverso tale decisione fosse stata proposta azione davanti all’autorità giudiziaria;

b) se, risolta la prima questione nel senso di ritenere tuttora applicabili ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, i previgenti parametri normativi, debba essere confermato il principio affermato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, secondo cui il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, può essere riconosciuto anche al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, sulla base di una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Ne consegue che – in ragione del contenuto delle doglianze sollevate dal ricorrente in riferimento al diniego della domanda di protezione umanitaria – si impone il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle SS.UU..

P.Q.M.

Rinvia a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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