Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza Interlocutoria n.29068 del 11/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso n. 23582/2018 R.G. proposto da:

S.K., rappresentato e difeso dall’avvocato Corace Giacinto del foro di Milano giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2102/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza n. 2102/2018 depositata il 30-4-2018, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di S.K., cittadino del *****, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale, valutata la situazione generale del Paese di origine dell’appellante, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione in favore del richiedente, il quale riferiva di essere fuggito dal proprio Paese a causa delle minacce di morte subite dai parenti del suo defunto padre, che rivendicavano la proprietà di terreni a lui lasciati in eredità e che avevano ucciso suo fratello.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 C.E.D.U., nonchè omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Ad avviso del ricorrente erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto non rilevanti, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, le allegazioni fornite circa le sue vicende personali e familiari, descritte in dettaglio nell’atto di appello (pag.n. 3-5). I fatti addotti costituiscono fattispecie potenziale di persecuzione in ambito familiare.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non avendo compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente e la situazione personale del ricorrente nelle aree da esso indicate da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale”. Deduce il ricorrente che le sue dichiarazioni, seppur generiche, non erano contraddittorie e il Giudice ha l’obbligo di cooperazione istruttoria per integrare il quadro probatorio, con riferimento alla pericolosità dovuta al sistema di vendette private. Inoltre la Corte territoriale ha dato atto che nel Paese ancora si registrano violazioni dei diritti con riguardo alle minoranze e un uso eccessivo della forza da parte della polizia.

3. Con il terzo motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, in ragione delle violenze e persecuzioni dallo stesso subite, e su tale aspetto di carattere decisivo non ha svolto accertamenti. La vulnerabilità inoltre deriva dallo stato di instabilità ed insicurezza dello Stato di provenienza e dalla complessiva situazione di detto Stato, con riguardo alle considerevoli criticità che emergono dai rapporti informativi, le cui informazioni il ricorrente trascrive nel ricorso, deducendone l’omesso esame da parte della Corte territoriale. Allega di aver documentato il proprio percorso di integrazione, avendo frequentato corsi di italiano e svolto attività lavorativa.

4. Con le ordinanze interlocutorie nn. 11749, 11750, 11751 del 2019, depositate il 3 maggio 2019, la Prima Sezione di questa Corte ha rimesso al Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, le seguenti questioni:

a) se la disciplina contenuta nel D.L. n. 113 del 2018, nella parte in cui abolisce le norme che consentivano il rilascio di un permesso per motivi umanitari (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, vecchio testo, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3) e le sostituisce con ipotesi tipizzate di permessi di soggiorno in “casi speciali”, sia applicabile anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.I., relativi a fattispecie in cui, alla stessa data, la commissione territoriale non avesse ravvisato le ragioni umanitarie e avverso tale decisione fosse stata proposta azione davanti all’autorità giudiziaria;

b) se, risolta la prima questione nel senso di ritenere tuttora applicabili ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, i previgenti parametri normativi, debba essere confermato il principio affermato da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, secondo cui il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, può essere riconosciuto anche al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, sulla base di una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Ne consegue che – in ragione del contenuto delle doglianze sollevate dal ricorrente in riferimento al diniego della domanda di protezione umanitaria – si impone il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle SS.UU..

PQM

Rinvia a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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