LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Presidente di Sez. –
Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente di Sez. –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23181-2018 proposto da:
ENGIE SERVIZI S.P.A., in proprio e nella qualità di mandataria del RTI con Manitalidea s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 39, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO FRACCASTORO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MICHELE GUZZO e GIUSEPPE RUFFINI;
– ricorrente –
contro
CONSIP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
SIRAM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI 32, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO CLARICH, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MAURO PISAPIA e SERGIO MENCHINI;
– controricorrenti –
avverso le sentenze nn. 2530/2018 depositata il 26/04/2018 e n. 4375/2018 depositata il 18/07/2018, entrambe del CONSIGLIO DI STATO.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2019 dal Presidente ROSA MARIA DI VIRGILIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MATERA MARCELLO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi gli avvocati Giorgio Fraccastoro, Michele Guzzo, Giuseppe Ruffini, Marcello Clarich e Davide Di Giorgio per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
Con il bando pubblicato sulla G.U. il 23/5/2012, Consip s.p.a. indiceva la procedura, aperta ai sensi del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, per l’affidamento del servizio integrato energia (c.d. SIE3) per le pubbliche amministrazioni, suddiviso in 12 lotti territoriali, per la durata complessiva di mesi 24, a far data dall’attivazione della Convenzione per ciascun lotto; per il lotto n. 3 (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Veneto), presentavano offerta sei operatori economici, tra i quali Cofely Italia s.p.a., quale mandataria del R.T.I. Manitalidea s.p.a. (RTI Engie) e la Società Siram s.p.a. (Siram);
secondo quanto disposto dal disciplinare di gara, ai concorrenti era chiesto di provare il possesso della qualificazione SOA, nella categoria OG11 con classifica minima VI, possesso che Siram provava producendo la certificazione SOA del 9 novembre 2010; nel corso della gara, il *****, Siram cedeva a Gestione Integrata s.r.l. il ramo d’azienda comprendente il “complesso di beni e servizi organizzati per l’erogazione di servizi di gestione integrata di complessi immobiliari pubblici e privati”, con efficacia dal 1/1/2013 e conseguentemente, il 25/5/2013, veniva inserita nel casellario delle attestazioni SOA dell’allora AVCP un’annotazione a carico di Siram, che veniva inclusa nell’elenco delle “imprese la cui attestazione, per effetto di cessione di ramo d’azienda o di cessione d’azienda, non abilita all’esecuzione di lavori”; il 7/11/2013, scadeva il rinnovo triennale dell’attestazione SOA di Siram, rilasciata da parte di Protos SOA, ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 77; il 12/9/2014, con riferimento al Lotto n. 3, veniva pronunciata l’aggiudicazione definitiva a favore di Siram, classificatasi al primo posto; R.T.I. Cofely, secondo classificato, impugnava avanti al Tar del Lazio, con ricorso articolato in cinque motivi, poi integrati con un unico motivo aggiunto, gli atti della procedura di gara all’esito della quale era stata disposta l’aggiudicazione definitiva in favore di Siram, sostenendo la perdita dei requisiti di partecipazione relativi al possesso ininterrotto dell’attestazione SOA ed al fatturato specifico nel corso della procedura di gara, a seguito della cessione di ramo d’azienda a favore di Gestione Integrata; con sentenza n. 4531 del 24/3/2015, il Tar accoglieva i primi due motivi del ricorso introduttivo ed il motivo aggiunto, assorbiti gli altri, e per l’effetto, annullava gli atti impugnati, dichiarava l’inefficacia della convenzione stipulata tra Consip e Siram, condannava Consip al risarcimento dei danni a favore della ricorrente e regolava le spese; a seguito di detta pronuncia, Consip, con la nota prot. n. 17436/2015 del 30/6/2015, disponeva l’aggiudicazione definitiva della gara in favore del R.T.I. Cofely.
Avverso la sentenza del Tar venivano proposti separati appelli da Consip e da Siram; nell’appello di Siram, in subordine, veniva chiesta la rimessione alla Corte di giustizia della questione pregiudiziale se l’art. 52, commi 3 e 4, art. 44, commi 1 e 2 ed il considerando n. 2 della direttiva 2004/18/CE” debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una norma o interpretazione del diritto interno in virtù della quale, in caso di cessione, anche di un minimo ramo d’azienda, il cedente perda, per ciò solo, automaticamente, i requisiti per la partecipazione ad una gara d’appalto, possa esserne conseguentemente escluso, e ciò anche quando i beni aziendali di cui rimane titolare siano tali da lasciare assolutamente inalterata la consistenza dei requisiti tecnici di partecipazione”; il Consiglio di Stato, sez. IV, con sentenza n. 811 del 29/2/2016, riuniti i due giudizi, respingeva la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, vista la pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 8 del 2015, respingeva l’appello di Siram nonchè il primo motivo dell’appello di Consip, ed accoglieva il motivo relativo al capo di condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno; avverso detta pronuncia, Siram proponeva ricorso per cassazione, ex art. 110 cod.proc.amm., facendo valere l’eccesso di potere giurisdizionale (e nell’ambito di detto giudizio, Consip proponeva ricorso incidentale), nonchè ricorso per revocazione, ex art. 106 cod.proc.amm. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4; le Sezioni unite, con sentenza n. 30302 del 18/12/2017, dichiaravano inammissibile il ricorso di Siram, non ravvisando gli estremi dell’eccesso di potere giurisdizionale ovvero dell’usurpazione della funzione amministrativa.
Quanto al giudizio di revocazione, il Consiglio di Stato, IV sezione, con la sentenza non definitiva n. 2530 del 26/4/2018, resa sul profilo rescindente, ha dichiarato inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo di revocazione, ha accolto il quarto nei limiti e nei sensi indicati, ritenendo l’erronea percezione da parte del Giudice d’appello dell’istanza di Siram, di rimessione alla Corte di giustizia Europea, ed ha pertanto revocato la sentenza impugnata, disponendo il prosieguo del giudizio per la trattazione della fase rescissoria.
Secondo detta pronuncia, nella precedente sentenza 811/2016, il Cons. Stato, nel motivare il mancato accoglimento della richiesta di Siram di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, sarebbe incorso in un vero e proprio errore nella percezione fattuale della questione, cadente su un punto essenziale e non controverso, tendente a “conoscere il punto di vista Europeo sugli effetti (perdita automatica o non automatica dei requisiti di qualificazione)”della cessione del ramo d’azienda e non già sulla incontestata “necessità o meno di mantenere il requisito per tutta la durata della gara e individuazione dell’esatto momento in cui ritenere perfezionato il possesso del medesimo in capo al soggetto partecipante”.
Con la successiva sentenza definitiva del 18/7/2018, n. 4375, il Cons. Stato si è pronunciato nel rescissorio, rinnovando integralmente l’esame dei motivi d’appello rigettati con la pronuncia revocata, n. 811 del 2016, accogliendo gli stessi, alla stregua dell’esegesi normativa accolta dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 3 del 3/7/2017; ha quindi rigettato il ricorso introduttivo e, per l’effetto, ha dichiarato “l’inefficacia dell’aggiudicazione disposta in favore di Cofely (oggi Engie Servizi) ed il diritto di Siram a subentrare nella convenzione e nei contratti a valle eventualmente intervenuti con Consip”.
Quanto ai motivi terzo, quarto e quinto del ricorso proposto da Cofely (ora, Engie) per contestare l’aggiudicazione conseguita da Siram anche sotto il profilo della incongruità dell’offerta economica e tecnica, il Cons. Stato, pur rilevando l’espressa riproposizione di detti motivi in appello e nella memoria di replica nel giudizio di revocazione, ha ritenuto che gli stessi non potessero essere riesaminati nel giudizio rescissorio, in quanto privi del nesso di dipendenza col vizio revocatorio e non tempestivamente riproposti da Engie nel giudizio di revocazione.
Avverso ambedue le pronunce, rescindente e rescissoria, Engie Servizi s.p.a. (già Cofely Italia s.p.a.), in proprio e quale mandataria del R.T.I. con Manitalidea s.p.a., ha proposto ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, ed art. 106 cod.proc.amm. e art. 362 c.p.c., comma 1, facendo valere un motivo di ricorso nei confronti della sentenza rescindente, e due motivi nei confronti della pronuncia rescissoria.
Si difendono con separati controricorsi Siram s.p.a. e Consip s.p.a. Engie Servizi e Siram hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c. in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Col primo motivo, la ricorrente, in relazione alla sentenza non definitiva del Cons. Stato, sez. IV, 2530/2018, denuncia “eccesso di potere giurisdizionale e violazione dell’art. 106 c.p.a. in combinato disposto con l’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, ed in relazione all’art. 111 Cost., comma 8”.
Engie Servizi evidenzia che l’istanza di rinvio pregiudiziale è stata sollevata in via subordinata, per l’ipotesi denegata “in cui si dovesse ritenere che l’art. 76, comma 11 (D.P.R. n. 207 del 2010), in caso di cessione di un qualsiasi ramo d’azienda, non consenta all’impresa cedente di partecipare alla gara sino al rilascio di una nuova attestazione SOA”; che con la rimessione era stato richiesto se la normativa Europea ostasse “ad una norma o interpretazione del diritto interno in virtù della quale, in caso di cessione anche di un minimo ramo di azienda, il cedente perda, per ciò solo, automaticamente, i requisiti per la partecipazione ad una gara di appalto e possa esserne conseguentemente escluso, e ciò anche quando i beni aziendali di cui rimane titolare siano tali da lasciare assolutamente inalterata la consistenza dei requisiti tecnici di partecipazione”; che la sentenza rescindente assume che l’istanza di rimessione sarebbe stata liquidata dalla pronuncia d’appello sulla scorta della scarna ed inconferente argomentazione che “la recentissima decisione n. 8/2015 dell’Adunanza Plenaria ha reputato del tutto compatibile con il Diritto dell’Unione Europea l’onere di mantenere il richiesto requisito di qualificazione per tutta la durata della procedura di gara” (pag.20, punto 9.3 della sentenza rescindente…)”; che, invece, esattamente al contrario di quanto argomentato dal Giudice della revocazione, le questioni oggetto dell’istanza di rimessione avevano costituito un punto controverso tra le parti (pagine 23-26 punto 4 della memoria di costituzione di Cofely Italia in appello, memoria della stessa del 2/10/2015, pag. 9, memoria difensiva in pari data di Siram, pag.13, punto 4), erano state specificatamente esaminate con ampia motivazione (pagine 910, 29-30 della sentenza d’appello), e in ogni caso, qualora vi fosse stata la svista percettiva circa l’effettiva proposizione dell’istanza, la stessa sarebbe stata non decisiva, considerato il concorrente potere di rilevazione e sollevazione ex officio della questione.
Ne consegue, in tesi, che il Consiglio di Stato adito per la revocazione ha reso un esercizio del tutto abnorme del proprio potere decisorio, revocando una sentenza in palese difetto dei presupposti, dando corso ad una nuova pronuncia di merito su una vicenda ormai definita, violando il principio del ne bis in idem e scardinando i limiti della propria funzione giurisdizionale, finendo per attribuirsi un potere giurisdizionale già esaurito, per potere affermare una nuova soluzione della questione sul piano sostanziale.
Ed inoltre, la sentenza rescindente si pone in aperto contrasto con la pronuncia delle Sezioni unite del 18/12/2017, n. 30302, che, pur resa in tema di valutazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa, deve ritenersi vincolante per il Consiglio di Stato in sede di revocazione “precludendo a quest’ultimo di ritenere sussistente un’erronea percezione della questione pregiudiziale da rimettere alla CGUE e, per l’effetto, un errore di fatto revocatorio, poichè ove tale distorta interpretazione della sentenza di appello fosse risultata realmente fondata, codesta Suprema Corte avrebbe certamente accolto il ricorso di Siram, sotto tale specifico profilo comunitario, per diniego di accesso alla giustizia amministrativa”.
2. Col secondo motivo, in relazione alla sentenza Cons. Stato 4375/2018, la ricorrente denuncia il vizio di “eccesso di potere giurisdizionale e violazione dell’art. 106 c.p.a. in combinato disposto con l’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 nonchè in relazione all’art. 111 Cost., comma 8, Illegittimità derivata”; sostiene che la pronuncia impugnata, contraddittoriamente, ha esteso il proprio sindacato di merito anche ai motivi già decisi dalla pronuncia d’appello, non dipendenti dalla pronuncia revocata, ed oggetto dei tre motivi di revocazione, rigettati per ritenuta inammissibilità, vertenti su questione di diritto, ovvero l’interpretazione del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 76, comma 11, sulla quale si era verificato un radicale mutamento di indirizzo, per effetto della sentenza, Ad.plenaria del 3/7/2017, n. 3.
3.Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia “eccesso di potere giurisdizionale sotto forma di diniego di giustizia per il radicale stravolgimento delle regole processuali, violazione dell’art. 106 c.p.a. in combinato disposto con gli artt. 402 e 112 c.p.c. e falsa applicazione dell’art. 101, comma 2, c.p.a., in relazione all’art. 111 Cost., comma 8, per non essere stati esaminati, nella fase rescissoria, i motivi di impugnazione proposti dall’allora ricorrente dinanzi al Tar Lazio ed espressamente riproposti in grado d’appello, rimasti assorbiti sia in primo che in secondo grado e riproposti anche nel giudizio di revocazione”.
Sostiene Engie che i tre motivi di impugnazione, rimasti assorbiti in primo grado, riproposti in grado d’appello e ritenuti assorbiti in conseguenza del rigetto dei gravami proposti da Siram e Consip, sono stati espressamente riproposti nel giudizio di revocazione con la memoria di replica del 1/6/2018, dopo che nel controricorso la parte aveva già fatto espresso rinvio agli atti ed ai documenti del giudizio d’appello, da ritenersi integralmente richiamati e trascritti; che in tal modo, pur in mancanza di norma analoga a quella prevista dall’art. 101, comma 2, cod.proc.amm., è stata introdotta nel giudizio di revocazione la presunzione di rinuncia tacita alle domande ed alle eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate, in contrasto col principio secondo cui nella fase rescissoria del giudizio di revocazione le parti conservano la medesima posizione processuale che le stesse avevano nel procedimento concluso con la sentenza revocata, nonchè col principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ed il diritto alla tutela giurisdizionale.
4. I tre motivi di ricorso devono ritenersi inammissibili Come tra le ultime ribadito nella pronuncia Sez. U. 20/3/2019, n. 7926, il ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, e dell’art. 362 c.p.c. e art. 110cod. proc. amm., è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione ed è quindi esperibile solo nel caso in cui la sentenza del Consiglio di Stato abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale, esercitando la stessa nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, oppure, al contrario, negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non possa formare oggetto in modo assoluto di funzione giurisdizionale, ovvero qualora abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale o negandola o compiendo un sindacato di merito, pur trattandosi di materia attribuita alla propria giurisdizione limitatamente al solo controllo di legittimità degli atti amministrativi, e invadendo arbitrariamente il campo dell’attività riservato alla P.A. (v., ex plurimis, Cass. Sez.U. 23 luglio 2015, n. 15476; Cass. Sez. U., 29 dicembre 2017, n. 31226; Cass. Sez. U., 30/03/2018, n. 8047).
Ora, si è posta la questione relativa alla possibilità di configurare un concetto più ampio di giurisdizione, che consentirebbe di sindacare non solo le norme sulla giurisdizione che individuano “i presupposti dell’attribuzione del potere giurisdizionale”, ma anche quelle che stabiliscono “le forme di tutela” attraverso cui la giurisdizione si estrinseca, nei casi nei quali la violazione delle stesse comporta un diniego di giustizìa, evocandosi, in sostanza, il concetto di giurisdizione c.d. “dinamico” (o “funzionale” o “evolutivo”), secondo cui, in sintesi, risulterebbe sindacabile anche la violazione di legge (sostanziale e/o processuale) in relazione alla giurisdizione, qualora sia conseguenza di un’interpretazione “abnorme o anomala” (Cass., Sez. U. 20/05/2016, n. 10501), ovvero di uno “stravolgimento” (Cass., Sez. U., 17/01/2017, n. 956) delle “norme di riferimento” (di rito o di merito, Cass. Sez. U., 17/01/2017, n. 964; Cass. Sez. U., 11/05/2017, n. 11520), in particolare nel caso di violazione di norme sovranazionali (Cass. Sez. U., 17/01/2017, nn. 956 e 953). Al richiamato concetto di giurisdizione si è fatto ricorso evocando: a) la primazia del diritto comunitario; b) il giusto processo; c) il principio di effettività della tutela; d) il principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina, tenuto conto dell’ampliarsi delle fattispecie di giurisdizione esclusiva (Cass. Sez. U., 23/12/2008, n. 30254; v. anche, in motivazione, le seguenti pronunce: Cass. Sez. U., 6/02/2015, n. 2242; Cass. Sez. U., 13/05/2013, n. 11345; Cass. Sez. U., 29/12/2017, n. 31226).
Tale ampliamento interpretativo è stato ritenuto inammissibile dalla Corte Cost. con la pronuncia 18/1/2018, n. 6, premettendosi che la questione “rientra…nella competenza naturale di questa Corte, quale interprete ultimo delle norme costituzionali e – nella specie – di quelle che regolano i confini e l’assetto complessivo dei plessi giurisdizionali”, da cui il carattere vincolante della decisione, che pur si è conclusa con la declaratoria di inammissibilità della questione posta (sul carattere vincolante, conforme la pronuncia 7926/2019 sopra citata).
Il giudice delle leggi ha a riguardo affermato che “l'”eccesso di potere giudiziario”, denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, come è sempre stato inteso, sia prima che dopo l’avvento della Costituzione, va riferito, dunque, alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici “, e che ” Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato nei termini puntuali che ad esso sono propri, non ammette soluzioni intermedie, come quella pure proposta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi in cui si sia in presenza di sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero di uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”.
Attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”.
Ciò posto, ed applicando detti principi al caso di specie(nel quale, peraltro, non v’è l’intreccio della questione dei limiti esterni della giurisdizione con il diritto unionale, su cui si veda, tra le più recenti, la pronuncia Sez. U. 10/5/2019, n. 12586), deve ritenersi inammissibile il primo motivo, che, nel suo nucleo essenziale, è inteso a far valere l’eccesso di potere giurisdizionale per avere il Consiglio di Stato revocato una sentenza in totale carenza dei presupposti, per essere l’errore caduto su di un punto controverso, specificatamente esaminato dalla sentenza d’appello poi revocata e da ritenersi non decisivo, stante il potere di rimessione d’ufficio della questione corretta alla Corte di giustizia.
All’evidenza, la ricorrente addebita alla pronuncia del Consiglio di Stato di avere effettuato la valutazione che ha determinato l’accoglimento del mezzo di impugnazione commettendo le violazioni denunciate, e quindi di essere incorso negli errori di giudizio prospettati: in tal modo, nella stessa tesi della ricorrente, si è del tutto al di fuori dal perimetro della violazione dei limiti esterni della giurisdizione, versandosi nella deduzione di meri errori di diritto.
Quanto al rilievo secondo cui la sentenza in oggetto avrebbe violato il principio del ne bis in idem, scardinando i limiti della propria funzione giurisdizionale, ed attribuendosi un potere giurisdizionale già esaurito, è agevole rilevare che la ricorrente, in sostanza, attribuisce al Consiglio di Stato un error in procedendo, che non può configurare violazione dei limiti esterni della giurisdizione, come già ritenuto, nel caso di attribuzione di vizio di ultrapetizione e di violazione del supposto giudicato interno ad opera del Giudice della revocazione nella recente pronuncia Sez. U. 9/8/2018, n. 20686, che ha richiamato altresì le pronunce Sez. U. del 21/11/2008, n. 27618 e del 22/4/2013, n. 9687.
In particolare nella memoria illustrativa, la difesa della ricorrente ha evidenziato come la stessa abbia fatto valere non già il cattivo esercizio da parte del Giudice amministrativo della propria giurisdizione, ma bensì l’esercizio del potere giurisdizionale allo stesso precluso; ha sostenuto che l’interpretazione della pronuncia Corte Cost. 6/2018 che riferisse l’eccesso di potere giudiziario alla sola violazione dei confini delle diverse giurisdizioni finirebbe con l’equiparare la locuzione “motivi inerenti alla giurisdizione” di cui all’art. 111 Cost., comma 8, alle “questioni di giurisdizione” di cui all’art. 37 c.p.c., e si porrebbe in contrasto con la nozione costituzionale di giurisdizione, che si estende sino a ricomprendere il controllo sull’osservanza dei principi del giusto processo, tra i quali il principio del ne bis in idem, a nulla rilevando che i vizi derivanti dalla violazione di detti principi integrino degli errores in procedendo.
A detta tesi della ricorrente, ampiamente argomentata, non può prestarsi adesione.
Ed infatti, la ricorrente tralascia di valutare che l’impugnazione per revocazione, prevista nella giustizia amministrativa dall’art. 106 cod.proc.amm. con il richiamo ai casi ed ai modi previsti dagli artt. 395 e 396 cod. proc. civ., costituisce di per sè un mezzo di impugnazione straordinario, che consente di superare il giudicato, attribuendo al Giudice della revocazione, nella ricorrenza dei presupposti di legge, il potere giurisdizionale in concreto, di talchè prospettare l’esercizio di detto potere al di fuori dei casi consentiti dall’ordinamento altro non è che dolersi dell’esercizio in tesi errato di detto potere, come tale rientrante nei limiti propri della giurisdizione del Giudice amministrativo.
Nel resto, vale il richiamo alla pronuncia 6/2018 del Giudice delle leggi, che, in relazione alla prospettata lesione del principio del giusto processo, ha riassuntivamente rilevato come spetti garantire l’osservanza di detto principio agli organi giurisdizionali a ciò deputati dalla Costituzione e non in sede di controllo sulla giurisdizione.
Resta infine da rilevare che non possono configurare violazione dei limiti esterni della giurisdizione i due motivi di ricorso fatti valere nei confronti della sentenza rescissoria, avendo la ricorrente addebitato alla pronuncia impugnata dei chiari errores in procedendo, col sostenere che sono state esaminate questioni precluse, anche non dipendenti dalla pronuncia revocata, e che non sono stati valutati i motivi di impugnazione proposti dalla ricorrente davanti al Tar Lazio, ritenendoli non dipendenti dalla causa di revocazione e non riproposti espressamente e tempestivamente nel giudizio di revocazione.
E, come ribadito nella recente pronuncia di queste Sezioni unite, 30/8/2019, n. 21869, la violazione di norma procedurali, per quanto abnorme, non può comportare il superamento dei limiti esterni della giurisdizione.
5. Conclusivamente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso; le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Nella memoria ex art. 378 c.p.c., Siram ha chiesto la condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c., comma 1, sostenendo che Engie ha agito senza la normale prudenza, con colpa grave, proponendo il ricorso pur conoscendo, o comunque dovendo conoscere la pronuncia della Corte Cost. 18/1/2018, n. 6, e che la condotta processuale avversaria ha cagionato alla parte un grave pregiudizio, determinando il grave ritardo nel legittimo subentro nella convenzione stipulata con Consip e nei contratti a valle con le singole amministrazioni aderenti.
Tale richiesta non può essere accolta; ed infatti, premesso che la mera infondatezza della tesi prospettata dalla parte ricorrente non integra la colpa grave, intendendosi con tale formula la violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’inammissibilità o l’infondatezza della domanda (in tal senso, la pronuncia Sez. U. 20/4/2018, n. 9912), va rilevato che nella specie la ricorrente ha cercato di far valere la propria tesi, anche tentando di scardinare i confini dettati dalla pronuncia del Giudice delle Leggi, come si è dato conto nell’esaminare i motivi di ricorso.
La carenza della colpa grave, quale vero e proprio abuso della potestas agendi (in tal senso, Sez. U. 13/9/2018, n. 22405), dà ragione anche della mancata condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, richiesta esplicitamente dalla Siram.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni processuali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto (con tale formula seguendosi quanto affermato nella pronuncia Sez. U. 20/9/2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate a favore di ciascuna delle controricorrenti, in Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019
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