LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20111 del ruolo generale dell’anno 2018 proposto da:
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– ricorrente
contro
Compagnia Valdostana delle Acque Trading s.r.l., società
incorporante Idroenergia S.c.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del contoricorso, dagli Avv.ti Nicola Lucariello e Alberto Mula, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio, n. 43, presso lo studio dei medesimi difensori;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria di secondo grado di Trento, n. 8/02/2018, depositata in data 4 gennaio 2018;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa Tassone Kate, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito per l’Agenzia delle dogane l’Avvocato dello Stato Anna Collabolletta e per la società l’Avv. Alberto Mula.
FATTI DI CAUSA
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato a Idroenergia S.c.r.l. un avviso di pagamento con il quale aveva contestato il mancato pagamento delle accise conseguenti all’erogazione di energia elettrica in favore delle proprie consorziate negli anni 2009-2013; avverso il suddetto atto impositivo Idroenergia S.c.r.l. aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria di primo grado, avendo ritenuta sussistente la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 2; avverso la decisione del giudice di primo grado l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello principale e la società appello incidentale sui punti della decisione non accolti dal giudice di primo grado relativi alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 e ed alla sussistenza dei presupposti normativi per riconoscere alla società il beneficio dell’esenzione.
La Commissione tributaria di secondo grado di Trento ha rigettato l’appello principale, assorbito quello incidentale.
In particolare, il giudice del gravame ha ritenuto che sussisteva, nella fattispecie, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, in quanto sia la risposta dell’Agenzia delle dogane del 17 aprile 2009 alla istanza del 23 febbraio 2009, sia la nota di risposta della Direzione Regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta all’interpello formulato nell’anno 2005, costituivano precise, concrete e personali prese di posizione delle amministrazioni interpellate in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’esenzione dal pagamento delle accise.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato ad un unico motivo di censura, cui ha resistito la Compagnia Valdostana delle Acque Trading s.r.l., quale società incorporante la Idroenergia S.c.r.I., depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, in combinato disposto con l’art. 1363 c.c..
In particolare, si censura la sentenza per avere dato rilevanza al legittimo affidamento ingenerato dalla amministrazione doganale con la risposta all’atto di interpello, presentato dalla società, emessa in data 21 giugno 2005 dalla Direzione regionale per il Piemonte e la Valle D’Aosta, nell’ambito di una procedura di interpello attivata dalla contribuente, nonchè con la risposta dell’Agenzia delle dogane del 17 aprile 2009 alla istanza del 23 febbraio 2009, mentre ai suddetti atti, correttamente interpretati, non poteva essere attribuita la suddetta valenza.
Va preliminarmente disattesa l’eccezione di parte controricorrente di inammissibilità del presente motivo in quanto fondato su censure fattuali che imporrebbero un accertamento di merito, cioè sul contenuto delle risposte ad essa rese dall’Agenzia delle dogane.
In realtà, la ricorrente non ha contestato la ricostruzione in fatto operata in sentenza, ma l’identificazione della corretta portata precettiva della previsione della L. n. 212 del 2000, art. 11.
Invero, l’inquadramento dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema legale corrispondente si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può, di conseguenza, formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità, sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. civ., 5 dicembre 2017, n. 29111).
Ciò precisato, va osservato che la L. n. 212 del 2000, art. 11, nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva che: 1. Ciascun contribuente può inoltrare per iscritto all’amministrazione finanziaria, che risponde entro centoventi giorni, circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse. La presentazione dell’istanza non ha effetto sulle scadenze previste dalla disciplina tributaria. 2. La risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente.
Il Decreto 26 aprile 2001, n. 209 – Min. Finanze (recante “Regolamento concernente la determinazione degli organi, delle procedure e delle modalità di esercizio dell’interpello e dell’obbligo di risposta da parte dell’Amministrazione finanziaria, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 5”) autorizzato dalla L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 5, dispone espressamente: all’art. 1, comma 2 che “il contribuente dovrà presentare l’istanza di cui al comma 1, prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto di interpello”; all’art. 3, comma 3 – prescrivendo i requisiti di ammissibilità della istanza di interpello – che “L’istanza deve, altresì, contenere l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, del comportamento e della soluzione interpretativa sul piano giuridico che si intendono adottare”; ed all’art. 5, comma 1 che “La risposta dell’ufficio finanziario ha efficacia esclusivamente nei confronti del contribuente istante, limitatamente al caso concreto e personale prospettato nell’istanza di interpello”.
Il peculiare effetto della vincolatività della risposta data dall’amministrazione finanziaria alla richiesta presentata dal contribuente, pertanto, era legato a particolari e rigorosi requisiti, in particolare all’osservanza delle regolare procedurali e alla chiara esposizione della questione sulla quale è stata formulata l’istanza di interpello, senza alcuna equivocità del contenuto della richiesta, dovendosi la risposta dell’amministrazione porre in stretta correlazione con il quesito formulato.
Preme precisare, inoltre, che, con specifico riferimento alla questione del necessario rispetto dell’onere di forma dell’istanza, quel che rileva è che la stessa sia proposta secondo una regolare procedura e abbia, in particolare, i requisiti idonei a consentire di ritenere che, con quella istanza, il contribuente ha prospettato, in modo circostanziato e univoco, una questione interpretativa su previsioni normative che risultino non chiare, nel senso che la stessa si palesa, anche in assenza di arredo formale, secondo le caratteristiche proprie dell’atto di interpello.
Con riferimento alla fattispecie, tenuto conto dell’oggetto della presente controversia, la questione che avrebbe dovuto essere contenuta nelle istanze proposte dalla contribuente avrebbe dovuto riguardare, in modo chiaro e senza profili di equivocità, il profilo se, relativamente all’energia elettrica autoprodotta da fonti rinnovabili e successivamente ceduta ai propri i consorziati, potesse applicarsi il regime normativo di cui all’art. 52 TUA, comma 3, lett. B), potendosi porre astrattamente in dubbio che i consorziati siano soggetti terzi, quindi non riconducibili nell’ambito del concetto di autoproduttore.
Il giudice del gravame, in realtà, ha fatto specifico riferimento alla circostanza che la contribuente aveva formulato in data 23 febbraio 2009 una richiesta di autorizzazione a non presentare la cauzione stante la propria qualità di soggetto autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili ad uso dei propri consorziati e, quindi, alla risposta dell’Agenzia delle dogane, che ha preso atto della circostanza che l’energia elettrica immessa in consumo ai consorziati era stata interamente autoprodotta, sicchè non era dovuta la cauzione.
Tuttavia, nel dare rilevanza agli atti sopra indicati, ha valorizzato profili non riconducibili nell’ambito della fattispecie legale tipica dell’atto di interpello nè riferibili alla questione oggetto della presente controversia.
L’istanza, in realtà, rappresenta unicamente la circostanza che la società immetteva al consumo ai propri consorziati l’energia elettrica interamente autoprodotta (differentemente che negli anni precedenti), sicchè richiedeva l’autorizzazione a non versare la cauzione: è solo questo il contenuto specifico dell’istanza proposta, sicchè, correlativamente, la risposta dell’Agenzia delle dogane, preso atto del fatto che l’energia elettrica era stata autoprodotta, ha autorizzato la contribuente a non versare la relativa cauzione.
Per quanto riguarda, poi, l’istanza di interpello del 2005, il giudice del gravame dà atto del fatto che la stessa era volta a conoscere quali fossero le modalità di versamento delle addizionali di cui al D.L. 28 novembre 1988, n. 511, essendo stato evidenziato che la stessa aveva assunto la posizione di autoproduttore nonchè del fatto che, in risposta all’interpello, l’Agenzia delle dogane lo aveva dichiarato inammissibile, in quanto non vi era condizioni obiettive di incertezza, essendo pacifico che tra i soggetti che non esercitavano l’attività di distribuzione erano compresi gli autoproduttori.
Anche in questo caso, l’atto di interpello e la conseguente risposta dell’Agenzia delle dogane non hanno la valenza vincolante, voluta dalla contribuente.
Invero, il suddetto atto di interpello del 21 giugno 2005 è stato ritenuto inammissibile dall’Amministrazione doganale, sicchè ogni valutazione compiuta nella risposta comunque fornita non può in alcun modo vincolare i successivi atti posti in essere dall’Amministrazione medesima.
Peraltro, come detto, l’atto di interpello in esame riguardava unicamente l’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica e non specificamente le accise, ed atteneva, inoltre, alla questione se la contribuente, nella sua qualità di autoproduttore, era tenuta o meno al versamento delle addizionali esclusivamente sul capitolo 1411, art. 2 e, proprio in considerazione della qualità di autoproduttore, l’Agenzia delle dogane ha, conseguentemente, ritenuto che non vi fosse incertezza normativa (dichiarando inammissibile l’istanza), sicchè la contribuente, proprio in ragione della sua qualità di autoproduttore, aveva l’obbligo di corrispondere quanto dovuto, quale addizionale provinciale di energia elettrica, interamente sul conto dell’erario sul capitolo sopra citato.
Il giudice del gravame, quindi, si è limitato a prendere atto del contenuto degli atti sopra indicati, senza valutare se il contenuto specifico degli stessi avesse avuto a specifico oggetto, in modo chiaro e non equivoco, la questione di fondo sottesa alla presente controversia che non attiene, preme precisare, alla qualità di autoproduttore della contribuente, ma alla diversa problematica se l’esenzione dal pagamento dell’accisa sussista anche nel caso in cui la società vende l’energia elettrica autoprodotta nei confronti dei propri consorziati e, quindi, se questi debbano o no essere qualificati come terzi rispetto all’attività di autoproduzione.
Il motivo pertanto è fondato, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 12 novembre 2019