Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.29179 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17433-2014 – proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** in persona Curatore pro tempore, domiciliato in ROMA VIA DI VILLA PATRIZI 13, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREA GEMMA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

contro

***** SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 73 del 2013 della COMM. TRIB. REG. di TORINO, depositata il 03/06/2013;

udita la relazione della causa svolte pubblica udienza del 19/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PISANA che ha chiesto l’accoglimento per motivi di ricorso, rigetto eccezionalmente inammissibilità;

udito il controricorrente l’Avvocato VETERE per delega dell’Avvocato GEMMA che si riporta e chiede il rigetto.

FATTI DI CAUSA

l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 73/12/13, depositata il 3.06.2013 dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte. Il contenzioso traeva origine da una verifica fiscale, all’esito della quale erano notificati alla ***** s.r.l. gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2005 e 2006, con rettifica del reddito d’impresa ai fini Ires e Irap. In particolare non erano stati riconosciuti costi dichiarati nell’anno 2005, con riduzione delle perdite da Euro 1.720.046,00 ad Euro 95.828,00. Conseguentemente le suddette perdite portate a compensazione nell’anno 2006 erano state ridotte del medesimo importo.

L’Ufficio non aveva riconosciuto i costi sostenuti per la risoluzione di un contratto relativo a prodotti finanziari derivati, di interest rate swap, stipulato nel 2003 con la Banca Popolare di Novara, che secondo la prospettazione della società aveva generato perdite per Euro 2.856.000,00, definite e pagate poi con un accordo transattivo nella misura di Euro 1.620.000,00. Non erano stati inoltre riconosciuti costi per importi minori, con conseguente ripresa a tassazione, per spese sostenute per “omaggi a dipendenti”, “spese di viaggio dei dipendenti”, spese per “accoglienza clienti e fornitori”.

La società, che insisteva per l’inerenza dei costi all’attività economica esercitata, perchè il prodotto finanziario derivato era stato acquistato a copertura dei rischi sulle oscillazioni dei tassi d’interesse su contratti di leasing e sui prezzi delle materie prime, aveva proposto ricorso avverso gli atti impositivi, accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli con sentenza n. 50/02/2010. L’appello della Agenzia era stato respinto dalla Commissione Regionale piemontese con la sentenza ora impugnata, accogliendo anche l’appello incidentale della contribuente.

L’Ufficio ha censurato la sentenza, limitatamente al rigetto dell’appello principale, con cinque motivi:

con il primo per nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere omesso di riportare le ragioni addotte dalla società a supporto della funzione di copertura dai rischi d’impresa cui era finalizzato il contratto di interest rate swap e le relative contestazioni formulate dall’Ufficio avverso le difese di controparte;

con il secondo per nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 36, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla denunciata inammissibilità delle ragioni addotte dalla società a giustificazione del contratto finanziario stipulato con la banca, allegate dalla contribuente solo in sede giurisdizionale e non nella fase endoprocedimentale, con conseguente loro inutilizzabilità;

con il terzo per nullità della sentenza per inosservanza e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulle questioni sollevate dalla Agenzia in ordine alla mancanza di prova dei fatti e delle ragioni -copertura dal rischio di oscillazione dei tassi di interesse relativi ai contratti di leasing- posti dalla società a fondamento dello strumento finanziario acquistato;

con il quarto per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, del quale le parti avevano discusso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto della struttura del contratto stipulato, descritto nell’atto impositivo e nelle difese dell’Ufficio, che evidenziava la sua inadeguatezza a garantire dal rischio di oscillazione dei prezzi delle materie prime;

con il quinto per nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla denunciata assenza di prova del pagamento eseguito dalla società a copertura delle perdite derivanti dal contratto di interest rate swap.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione.

Si è costituita la contribuente, che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e nel merito la sua infondatezza.

Alla pubblica udienza del 19 settembre 2019, il P.G. e le parti hanno discusso la causa e precisato le conclusioni. La causa è stata dunque riservata per la decisione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Esaminando in via pregiudiziale la denunciata inammissibilità del ricorso perchè confezionato con la tecnica dell’assemblaggio, l’eccezione non trova fondamento. In ordine all’utilizzo di tale tecnica di redazione dell’atto impugnativo, ritenuta generalmente motivo di inammissibilità del ricorso per mancato rispetto del contenuto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, la giurisprudenza ha puntualizzato che l’integrale riproduzione di una serie di documenti si traduce in un mascheramento dei dati effettivamente rilevanti, così risolvendosi in un difetto di autosufficienza sanzionabile con l’inammissibilità. Ciò rende infatti incomprensibile il mezzo processuale, perchè privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonchè dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo al giudice di legittimità il compito, ad esso non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere (cfr. Cass., Sez. 6-1, ord. n. 22185/2015; Sez. 6-3, sent. n. 3385/2016). Perchè il difetto di autosufficienza possa ritenersi superato è necessario che il coacervo dei documenti integralmente riprodotti, se facilmente individuabile ed isolabile, possa essere separato ed espunto dall’atto processuale, la cui autosufficienza pertanto, una volta resi conformi al principio di sinteticità il contenuto e le dimensioni globali, dovrà essere valutata in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (Cass., Sez. 5, sent. n. 18363 del 2015; ord. n. 12641 del 2017).

Nel caso di specie il ricorso, seppur caratterizzato da lunghe digressioni argomentative, non è la risultante di un coacervo di atti riprodotti, e soprattutto è redatto assicurando un filo logico che consente la facile comprensione di ogni singolo motivo di censura del provvedimento impugnato.

Nel merito i motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè, criticando la decisione che ha riconosciuto la deducibilità, per inerenza, dei costi sostenuti dalla società per la risoluzione del contratto su derivati finanziari di interest rate swap, ha censurato in concreto la sentenza per l’apparenza della motivazione. Essi sono fondati.

La pronuncia del giudice regionale, dopo essersi diffusa (per tre pagine) nella ricostruzione della vicenda processuale, motiva la decisione nell’ultima pagina, affermando che “il sospetto dell’Ufficio di operazione speculativa contenuta a pag. 5 dell’accertamento per il 2005, focalizzato all’oscillazione dei cambi per acquisto di materie prime, in sè appariva plausibile. Però, le spiegazioni e dimostrazioni fornite dalla contribuente nei due gradi processuali e nel dibattito odierno, unitamente a quanto già contenuto nella Nota Integrativa al bilancio 2005 (pag. 17), spingono a ritenere, come del resto fece il Giudice di 1 grado, che il contratto di copertura con B.P.N. fosse giustificato da ragioni prudenziali di copertura di tassi variabili sia sui contratti di leasing (il cui valore in beni presi in noleggio da ***** era pari a 1.668.160,42 Euro, corrispondente al valore dei beni finanziato con un basso valore di riscatto) sia sugli acquisti di materie prime, approvvigionate in valuta all’epoca fluttuante (/Euro) e, pertanto, non è rinvenibile in tale operazione un’azione finanziaria meramente speculativa, ma legata al core business dell'*****.”

Questa la motivazione della decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale, con essa si confermano le conclusioni cui era già pervenuto il giudice di primo grado, ma con una motivazione solo apparente, che non tiene in alcun conto delle pur numerose contestazioni e argomentazioni addotte dall’Ufficio con l’atto di appello.

In tema di motivazione apparente questa Corte ha affermato che la sentenza è nulla per mancanza, sotto il profilo sia formale che sostanziale, del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, quando la motivazione si limiti a dichiarare sufficienti tanto i motivi esposti nell’atto che ha veicolato la domanda accolta, quanto non meglio individuati documenti ed atti, senza neppure riprodurre le parti idonee a giustificare la valutazione espressa, nè indicare la ragione giuridica o fattuale che il giudice abbia ritenuto di condividere. Anche la mera acritica adesione ad un atto, sia esso quello d’impugnazione, sia la stessa sentenza appellata condivisa, senza indicazione della tesi in esso sostenuta, e soprattutto delle ragioni di condivisione a fronte delle critiche mosse dalla controparte -a maggior ragione dall’appellante-, è affetta da nullità processuale (Cass., sent. n. 7402/2017; Cass., sent. n. 20648/2015).

Sussiste infatti l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonchè quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento (con riferimento all’ipotesi della conferma della sentenza impugnata, cfr. Cass., sent. 14786/2016).

Nel caso di specie nella sentenza sono riportati i motivi d’appello (cfr. p. 3, dal 13 rigo in poi), e tuttavia essa oblitera le ragioni d’impugnazione in ordine alle critiche sollevate dall’Agenzia sulle argomentazioni utilizzate dal giudice di primo grado, sulle omissioni motivazionali, sulle preclusioni di nuove ragioni addotte dalla società solo in sede giurisdizionale, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, penultimo comma, sulla carenza di prova del versamento alla Banca dell’importo concordato, sulla inerenza dei costi all’attività economica della società, in riferimento all’inquadramento economico dei costi medesimi, che l’Agenzia, quanto ai rischi di cambio /Euro, riporta prevalentemente ai rapporti commerciali per forniture di materie prime presso aziende nazionali o comunitarie, e solo marginalmente a prezzi riconducibili a valuta statunitense (che avrebbe potuto giustificare il ricorso a strumenti finanziari di copertura dal rischio di oscillazione dei valori di cambio). Nulla si spiega peraltro sulla utilità del contratto di interest rate swap proprio in riferimento al concreto funzionamento dello strumento finanziario concordato tra le parti (per il quale, secondo la prospettazione difensiva della Agenzia, la società avrebbe sopportato esborsi a favore della banca solo nell’ipotesi di cambio superiore a 1,180 /Euro, ossia quando il deprezzamento del dollaro verso la moneta Europea avvantaggiava la società italiana e non all’inverso).

Alla luce di tali principi nel caso di specie balza con evidenza l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata. Essa si compone di frasi del tutto generiche, con affermazioni che solo formalmente esprimono consapevolezza delle ragioni della contribuente e della documentazione su cui l’accertamento sarebbe fondato, senza alcun concreto riferimento alle une come alle altre, sicchè risulta del tutto impossibile a questo collegio un controllo sul percorso logico e sulla correttezza del ragionamento seguito dal giudice regionale.

Le carenze motivazionali sono tanto più evidenti quando si tenga conto che la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato, con riferimento al reddito di impresa, che l’onere della prova della esistenza e della inerenza dei costi (nel significato peculiare che all’inerenza va dato nel caso di specie, per quanto appresso chiarito) incombe sul contribuente (tra le tante e recenti, cfr. Cass., Sez. 5, sent. n. 9818 del 2016). Ai fini che qui interessano anzi, si è di recente affermato che in tema di deducibilità dei costi ai fini fiscali, vanno esclusi dai componenti negativi del reddito d’impresa gli accantonamenti per la copertura del rischio inerente il contratto denominato “interest rate swap”, quando la società non operi nel settore creditizio o finanziario, perchè manca il requisito della inerenza del costo alla attività d’impresa, richiesto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, all’epoca vigente, ora medesimo D.P.R., art. 109 (Cass., Sez. 5, sent. n. 5160 del 2017).

Questo orientamento va valorizzato atteso che non si pone in discussione che la deducibilità di costi per contratti su interessi possa riguardare anche operazioni fuori bilancio, e non è neppure in discussione che tutta la disciplina prevista dall’art. 103 bis, compreso il comma 3 della norma ratione temporis vigente (ora art. 112, commi 5 e 6 del TUIR) sia stata estesa a soggetti diversi dagli enti creditizi e finanziari; quello che resta vincolante sotto il profilo della interpretazione delle regole di computo dei costi e dei ricavi è che nel caso che ci occupa doveva rigorosamente valutarsi la sussistenza delle condizioni di deducibilità dei costi di cui all’art. 75, proprio per la carenza del preliminare requisito della inerenza, intesa come compatibilità, coerenza e correlazione del costo alla attività di impresa svolta dalla società. Posto infatti che la ***** pacificamente era società produttrice di beni (nel campo dei metalli) e certamente non operava nel settore dei servizi creditizi o finanziari, occorreva spiegare quale correlazione fosse concretamente ravvisabile tra la perdita derivante dalla stipulazione di un contratto di “interest rate swap” ed i ricavi o componenti positivi derivanti dalla attività di impresa svolta da una società il cui oggetto sociale è costituito dalla produzione di metalli e tubi. Nè può affermarsi che l’inerenza, qualunque valore ad essa voglia attribuirsi (cfr. da ultimo Cass., ord. n. 450 del 2018), sussista ogni qual volta i costi siano riferibili a qualsiasi operazione idonea a produrre reddito, poichè la riferibilità si relaziona non ai ricavi in sè, ma all’oggetto dell’impresa (costante in tal senso la giurisprudenza, Sez. 5, sent. n. 10269/2017; sent. n. 3746/2015; sent. n. 21184/2014; sent. n. 7701/2013).

Pur tenendo conto della prospettazione difensiva della contribuente, secondo cui il contratti di interest rate swap sottoscritto tra la società e la banca fosse a copertura di rischi inerenti all’attività di impresa, il giudice regionale non poteva limitarsi ad un riconoscimento senza specifiche argomentazioni che evidenziassero l’inconsistenza delle contrapposte ragioni espresse con l’atto d’appello dalla Agenzia.

A margine, perchè possa riconoscersi la finalità di copertura del prodotto derivato – in assenza di una specifica definizione-, è utile fare riferimento alla Circolare n. 166 del 1992 della Banca d’Italia, che nel p. 5.9 definisce operazioni di copertura quelle effettuate a scopo di protezione – dal rischio di variazioni negative dei tassi di interesse, dei tassi di cambio o dei prezzi di mercato- del valore di singole attività o passività in bilancio o fuori bilancio o di insiemi di attività o di passività, a tal fine richiedendosi il concorso delle seguenti condizioni: a) l’intento dell’ente di porre in essere la copertura; b) l’elevata correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie (scadenza, tasso d’interesse, ecc.) delle attività/passività coperte e quelle del contratto di copertura; c) la documentazione, risultante da evidenze interne, della sussistenza delle prime due condizioni. Tali condizioni sono peraltro richiamate dalle determinazioni Consob 26 febbraio 1999, necessarie per rilevare una stretta correlazione tra l’operazione di “copertura” e il rischio da coprire (cfr. Cass., Sez. 1, sent. n. 19013/2017 nella diversa ma per certi aspetti accomunabile questione della necessaria correlazione tra l’operazione di copertura e il rischio da coprire al fine della valutazione di meritevolezza degli interessi perseguiti con i contratti cd. “derivati”).

In conclusione la sentenza è nulla perchè viziata da motivazione apparente e va dunque cassata.

Il giudizio va pertanto rinviato alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che in diversa composizione, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, provvederà a riesaminare la controversia tenendo conto dei motivi d’appello addotti anche dalla Agenzia delle Entrate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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