LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18163/2014 R.G. proposto da:
Rheavendors Services s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alessandra Benedini e Mauro Mezzetti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in Roma, via Germanico, 197;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 135/14, depositata il 14 gennaio 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre 2019 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo.
RILEVATO
CHE:
– la Rheavendors Services s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 14 gennaio 2014, che ha parzialmente accolto l’appello dell’Ufficio e il suo appello incidentale avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto parzialmente il suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione resa per l’anno 2006;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo le era stato contestato, tra le altre violazioni, l’indebita deduzione di costi, l’omessa applicazione dell’1.v.a. ad operazioni erroneamente ritenute non imponibili e l’omessa autofatturazione di acquisti di beni;
– il giudice di appello ha dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso con esclusione della ripresa relativa alla violazione i.v.a. per l’emissione di fatture per operazioni erroneamente ritenute non imponibili;
– quindi, in parziale accoglimento dei gravami interposti, ha riformato la sentenza di primo grado sia nella parte in cui aveva riconosciuto la deduzione dei costi tra spese di rappresentanza e di abbuoni, contestata dall’Ufficio, sia nella parte in cui aveva riconosciuto la menzionata violazione della disciplina i.v.a. anche con riferimento all’emissione delle fatture nn. *****, *****, ***** e *****;
– il ricorso è affidato ad un unico motivo;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
– il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
CHE:
– con l’unico motivo di ricorso proposto la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del Testo unico 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 83 e 109, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 4 e 5, e artt. 1322,1362 e 1363 c.c., per aver la sentenza impugnata escluso la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei premi riconosciuti ai clienti Sevita AG e Cafè+Co International Holding, per l’importo complessivo di Euro 149.948,00;
– il motivo è fondato;
– per una migliore comprensione della vicenda deve rilevarsi la società contribuente operava – al pari di altre società facente parte del medesimo gruppo societario REHA – nel settore della produzione e commercializzazione di distributori automatici di bevande calde e fredde e di alimenti e che, nell’esercizio della sua attività d’impresa, aveva intrattenuto rapporti con diversi clienti, tra cui società del gruppo Selecta/Sevita e la Cafè+Co International Holding;
– i relativi accordi commerciali prevedevano la corresponsione in favore di tali clienti di bonus crescenti in funzione del raggiungimento di determinati livelli di vendita;
– in esecuzione di tali accordi la contribuente ha corrisposto alle clienti, per il periodo in considerazione, bonus calcolati in relazione all’importo complessivo delle vendite effettuate per il tramite dei distributori automatici forniti da tutte le società del gruppo REHA, riaddebitando, poi, proporzionalmente, l’onere sulle altre società del gruppo e deducendo, quale costo dell’attività di impresa, (solo) la spesa dalla stessa sostenuta all’esito di tale operazione di riaddebito;
– afferma il giudice di appello che le clausole contrattuali che regolavano il rapporto commerciale dovevano interpretarsi nel senso che le stesse vincolavano solo la società ricorrente e non coinvolgevano anche le altre società del gruppo, per cui la deduzione del costo poteva essere riconosciuta nel minor importo risultante dall’applicazione del valore – inferiore – del bonus individuato con riferimento al volume delle vendite operate tramite i distributori automatici forniti dalla sola ricorrente;
– a sostegno del motivo di ricorso la contribuente si duole della errata applicazione dei principi di interpretazione dei contratti, evidenziando, tra le altre circostanze, che la lettura del contratto e dei documenti allegati consentiva di rilevare l’estensione dell’accordo a tutte le società del gruppo REHA, anche in considerazione del fatto che unico era il legale rappresentante delle società e comune il marchio d’impresa, che una condivisa e uniforme applicazione del contratto nel senso da lei prospettato per oltre un trentennio costituiva elemento determinante ai fini della individuazione della comune intenzione delle parti e che anche per il periodo successivo a quello in esame le parti avevano ribadito il contenuto degli accordi precedenti e la prassi intercorrente tra i due gruppi;
– orbene, deve rammentarsi che, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, costituisce principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte quello secondo cui l’invocato sindacato di legittimità non possa avere ad oggetto la ricostruzione della volontà delle parti, ma può avere ad oggetto l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (cfr. Cass. 14 luglio 2016, n. 14355; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465);
– ciò posto, l’elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici, primariamente, quelli di natura soggettiva dell’interpretazione funzionale, globale, sistematica e presuntiva, nonchè dell’interpretazione secondo buona fede (cfr. Cass. 6 luglio 2018, n. 17718; Cass. 19 marzo 2018, n. 6675);
– la necessità di estendere l’indagine oltre l’elemento letterale ai criteri logici, teleologici e sistematici si palesa in tutta la sua evidenza nei casi in cui testo del contratto non sia chiaro o, pur essendo apparentemente chiaro, sia incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti (cfr. Cass. 28 giugno 2017, n. 16181; Cass. 9 dicembre 2014, 25480);
– infatti, il dato letterale, pur di fondamentale rilievo, non è, da solo, decisivo, atteso che il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito esclusivamente al termine del processo interpretativo che deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sè non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un’espressione prima facie chiara può non apparire più tale se collegata alle altre contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (cfr. Cass. 1 dicembre 2016, n. 24560; Cass. 10 maggio 2016, n. 9380);
– orbene, la Commissione regionale, dopo aver dato atto dell’insufficienza degli elementi desumibili dall’analisi del testo contrattuale e della necessità di “integrare” il criterio interpretativo letterale con la valutazione del “comportamento di fatto tenuto dai contraenti nell’esecuzione dello stesso”, ha ritenuto che l’accordo contrattuale in oggetto non prendesse in considerazione, ai fini della quantificazione del bonus, le vendite operate tramite i distributori automatici forniti ai clienti da tutte le società del gruppo REHA, valorizzando, a tal fine, i “dati economici relativi alla società” contribuente, facendo sostanzialmente riferimento, con tale espressione, alla non convenienza per la società medesima dell’opposta tesi ermeneutica dalla stessa propugnata;
– così operando, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto in tema di interpretazione dei contratti, poichè, da un lato, ha attribuito rilevanza determinante ad un criterio interpretativo normativamente non previsto, dall’altro, ha ignorato di prendere in considerazione i criteri di interpretazione soggettiva, tra cui il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, emergenti dalle risultanze probatorie;
– la sentenza impugnata va, dunque, cassata e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 settembre 2019.
Depositato in cancelleria il 12 novembre 2019