LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 26061/2015 R.G. proposto da:
P.T., c.f. *****, L.F., c.f. *****, elettivamente domiciliate in Roma, alla via Tacito, n. 23, presso lo studio dell’avvocato Cinzia De Micheli che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Piero Olmo le rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
O.G., c.f. *****, elettivamente domiciliata, con indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, in Torino, al corso Duca degli Abruzzi, n. 55, presso lo studio dell’avvocato Giuseppino Bosso e dell’avvocato Carlo Bosso che disgiuntamente e congiuntamente la rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
e B.A. e F.D..
– intimati –
avverso la sentenza n. 886 dei 21.4/8.5.2015 della corte d’appello di Torino;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 9 maggio 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato in data 13.6.2009 O.G. citava a comparire dinanzi al tribunale di Vercelli B.A. e F.D..
Esponeva che era proprietaria, per acquisto fattone da D.P.M.G. con scrittura autenticata del 19.12.2005, di un terreno agricolo in *****, di mq. 1.140 (in catasto al fol. *****, mapp. *****); che il fondo era senza titolo detenuto dai coniugi convenuti.
Ne chiedeva la condanna al rilascio del cespite ed al risarcimento dei danni. Si costituivano B.A. e F.D..
Deducevano di aver ricevuto in affitto il terreno – parte di un più ampio appezzamento – da D.M., P.T. e L.F..
Instavano per il rigetto dell’avversa domanda.
I convenuti – autorizzati – attendevano alla chiamata in causa dei locatori.
Si costituivano P.T. e L.F..
Deducevano di essere proprietarie del terreno rivendicato dall’attrice, per averlo, in ogni caso, usucapito unitamente al deceduto D.M.. Instavano per il rigetto delle domande tutte ex adverso esperite; in via riconvenzionale chiedevano che l’adito giudice dichiarasse l’intervenuto acquisto da parte loro per contratto o per usucapione della proprietà del fondo; in via riconvenzionale subordinata chiedevano, attesa l’interclusione del terreno conteso, che O.G. fosse condannata al pagamento dell’indennità di cui all’art. 1053 c.c..
Con sentenza dei 7/12.2.2013 l’adito tribunale – tra l’altro – rigettava le domande esperite dall’attrice nei confronti dei coniugi convenuti, dichiarava inammissibili le domande esperite dalle terze chiamate nei confronti dell’attrice, respingeva l’istanza di chiamata in causa di D.P.M.G. formulata dall’attrice.
Proponeva appello O.G..
Resistevano P.T. e L.F..
Resistevano B.A. e F.D..
Con sentenza n. 886 dei 21.4/8.5.2015 la corte d’appello di Torino – tra l’altro – in parziale riforma della gravata sentenza, dichiarava O.G. proprietaria del terreno agricolo in *****; condannava P.T. e L.F. nonchè B.A. e F.D. a rilasciare il fondo all’appellante libero da persone e cose, con ripristino dell’accesso; condannava in solido gli appellati tutti a pagare all’appellante la somma di Euro 570,00, oltre interessi e rivalutazione; dichiarava P.T. e L.F. obbligate a tener indenni B.A. e F.D. dalle somme tutte da costoro dovute all’appellante; regolava le spese del doppio grado.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso P.T. e L.F.; ne hanno chiesto sulla scorta di nove motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.
O.G. ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale condizionato articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed, in ipotesi di accoglimento del sesto motivo del ricorso principale, accogliersi il formulato motivo di ricorso incidentale; in ogni caso con il favore delle spese.
P.T. e L.F. hanno depositato controricorso onde resistere all’avverso ricorso incidentale.
B.A. e F.D. non hanno svolto difese.
La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e quindi la nullità dell’impugnata sentenza.
Deducono che O.G., allorchè ha rivendicato la proprietà del terreno, ha addotto a fondamento dell’azionata pretesa un titolo derivativo, ossia la scrittura di acquisto da D.P.M.G.; che nondimeno la corte distrettuale ha provveduto a dichiararla proprietaria per intervenuta usucapione, ossia in virtù di un titolo originario di acquisto.
Deducono che dunque la corte di merito ha pronunciato ultra petita.
Il primo motivo va respinto.
E’ sufficiente il riferimento all’insegnamento di questa Corte secondo cui i diritti reali, in quanto diritti assoluti, appartengono alla categoria dei diritti cosiddetti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte; pertanto, da un lato, l’attore può mutare il titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della causa petendi, dall’altro il giudice può accogliere il petitum in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass. 24.11.2010, n. 23851; Cass. 20.7.2005, n. 15248).
Con il secondo motivo le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1142 e 2728 c.c..
Deducono che non vi è prova che i danti causa di D.P.M.G., dante causa a sua volta di O.G., abbiano usucapito in tempi diversi le quote di 1/2 del terreno agricolo in *****, in catasto al foglio *****, mappale *****.
Deducono segnatamente che risulta in via documentale che B.A. e F.D. detenevano, in qualità di affittuari, il terreno in nome e per conto dei danti causa di esse principali ricorrenti sin dal 1981.
Il secondo motivo del pari va respinto.
Evidentemente col mezzo in esame le ricorrenti principali censurano il giudizio di “fatto” cui la corte territoriale ha atteso ai fini della declaratoria di proprietà esclusiva del terreno controverso in capo a O.G..
Ebbene, nel solco della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (alla cui stregua il motivo in esame, a rigore, si qualifica) ed alla luce dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, l’iter motivazionale che sorregge, pur in parte qua (cfr. sentenza d’appello, pagg. 29 – 32), il dictum del secondo giudice, risulta in toto ineccepibile ed assolutamente congruo e esaustivo.
Cosicchè, da un lato, è da escludere che forme di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite, possano scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di Torino ha, in parte qua, ancorato il suo dictum.
Cosicchè, dall’altro, è da ritenere che la corte di Torino ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante la res litigiosa, ossia la spettanza (o meno) della proprietà all’originaria attrice.
D’altronde le ricorrenti principali censurano il “mancato od errato esame dei documenti e delle prove dedotte” (così ricorso principale, pag. 9).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).
Si tenga conto che l’operatività della presunzione di possesso intermedio ex art. 1142 c.c., si correla, nella prospettazione delle principali ricorrenti, alla supposta erronea valutazione delle risultanze di causa.
Con il terzo motivo le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 948 c.c. e dei principi che ne discendono.
Deducono che ha errato la corte piemontese a condannare B.A. e F.D. al rilascio del terreno; che invero i coniugi B. – F., sin dall’11.11.2012, di scadenza del contratto di affitto, non sono più nella detenzione del terreno conteso.
Il terzo motivo parimenti va respinto.
Evidentemente le ricorrenti principali non sono legittimate a far valere quale motivo di impugnazione l’asserita erronea condanna di B.A. e F.D. al rilascio del terreno (nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge: cfr. Cass. sez. lav. 8.8.2012, n. 14243).
Con il quarto motivo le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c..
Deducono che la corte d’appello ha indebitamente fatto leva sulla inammissibilità della domanda riconvenzionale da esse proposta in veste di terze chiamate, onde riscontrare la proprietà del terreno in capo alla dante causa di O.G. e quindi in capo a costei.
Il quarto motivo va rigettato.
Analogamente col mezzo in disamina le ricorrenti principali censurano il giudizio di “fatto” cui la corte di merito ha provveduto ai fini della dichiarazione di proprietà del terreno in capo a O.G..
Analogamente dunque (ed al di là delle puntualizzazioni che si opereranno in sede di disamina del settimo motivo del ricorso principale), pur in rapporto alla ragione di censura de qua agitur, il dictum della corte distrettuale, nel solco – propriamente – della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed alla luce dell’insegnamento n. 8053/2014 delle sezioni unite di questa Corte, risulta in toto ineccepibile, assolutamente congruo e esaustivo (cfr. sentenza d’appello, pag. 32).
Con il quinto motivo le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e quindi la nullità dell’impugnata sentenza.
Deducono che O.G. non ha nei loro confronti proposto tempestivamente alcuna domanda.
Deducono ulteriormente che non vi era margine perchè la domanda dell’attrice potesse automaticamente estendersi ad esse terze chiamate; che invero erano state chiamate in causa dagli originari convenuti unicamente affinchè provvedessero a tenerli indenni ed a manlevarli da quanto dagli stessi convenuti eventualmente dovuto a titolo di risarcimento danni alla O..
Il quinto motivo del pari va rigettato.
Va in proposito appieno condiviso il rilievo della controricorrente, ovvero il rilievo secondo cui i coniugi convenuti, allorchè hanno in prime cure dedotto di essere meri affittuari del terreno, hanno in tal guisa prospettato che fossero piuttosto i loro locatori, ossia i terzi poi chiamati, “interessati a sostenere e a provare di essere proprietari del terreno o in forza di atto di acquisto o in forza di usucapione” (così controricorso, pag. 18).
Del resto B.A. e F.D. non hanno in questa sede svolto difese.
Cosicchè esplica valenza nella fattispecie l’insegnamento secondo cui il principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore nei confronti del terzo chiamato in causa dal convenuto opera solo quando tale chiamata sia effettuata dal convenuto per ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea, individuandosi il terzo come l’unico obbligato nei confronti dell’attore, in posizione alternativa con il convenuto ed in relazione ad un unico rapporto (cfr. Cass. 27.4.2016, n. 8411).
Con il sesto motivo le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. e quindi la nullità dell’impugnata sentenza.
Deducono che, disconosciuta l'”estensione automatica” dell’iniziale domanda alle terze chiamate, le conclusioni formulate dall’attrice pur nei loro confronti in data 19.1.2012 ed in data 19.9.2012, ossia tardivamente, allorchè erano già decorsi i termini perentori di cui all’art. 183 c.p.c., costituiscono domanda nuova, come tale inammissibile.
Il sesto motivo parimenti va rigettato.
Più esattamente il motivo in disamina resta assorbito nel riscontro della legittima e rituale operatività dell’automatica estensione nei confronti delle terze chiamate, in questa sede principali ricorrenti, della domanda inizialmente proposta da O.G. nei confronti dei coniugi B. – F..
D’altronde l’incipit del mezzo in esame è così formulato: “esclusa la predetta “estensione automatica” della domanda” (così ricorso principale, pag. 14).
Con il settimo motivo le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c..
Premettono che le domande da esse esperite in veste di terze chiamate sono state dichiarate inammissibili, siccome tardive.
Deducono dunque che le medesime domande non possono essere prese in nessun caso in considerazione, neppure al fine di ritenere che era insorto un contraddittorio pieno tra l’attrice ed esse terze chiamate.
Il settimo motivo è privo di fondamento.
E’ vero certo che la domanda riconvenzionale con cui le terze chiamate ebbero a chiedere di “accertare la proprietà a seguito di contratto o comunque a titolo originario per l’intervenuta usucapione” (così ricorso principale, pag. 4), è stata dichiarata inammissibile, siccome tardiva, dal primo giudice (cfr. sentenza d’appello, pag. 17; alle pagg. 13 – 18 della sentenza d’appello è riprodotta la motivazione del primo dictum).
Ed è vero inoltre che la corte territoriale ha opinato nel senso che la rivendica della O. fosse da esaminare in contraddittorio anche con P.T. e L.F. (cfr. sentenza d’appello, pag. 25).
E tuttavia la proiezione, recte l’estensione della domanda di rivendica della O. nei confronti di P.T. e L.F. è da correlare, propriamente, siccome si è esplicitato in sede di disamina del quinto motivo, alla linea difensiva assunta dagli originari convenuti.
D’altra parte le ricorrenti principali opinano per l’inutilizzabilità della loro tardiva domanda riconvenzionale, giacchè la corte di Torino ha, sulla scorta della medesima riconvenzionale, reputato comprovata la proprietà del fondo in capo alla O..
E nondimeno questa Corte spiega che il vigente ordinamento processuale è ispirato ai principi del libero convincimento del giudice e di libertà delle prove, sicchè nulla esclude che il giudice tragga gli elementi del proprio convincimento dalle risultanze comunque acquisite agli atti (cfr. Cass. 8.5.2006, n. 10499) e perciò, si aggiunge, pur dalla comparsa di costituzione del terzo chiamato, ancorchè la riconvenzionale che vi è formulata, sia inammissibile.
Con l’ottavo motivo – spiegato in via subordinata – le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza.
Deducono che la corte torinese ha pronunciato ultra petita, allorchè, in dipendenza della declaratoria – in prime cure – di inammissibilità della domanda riconvenzionale da esse esperita, ha ritenuto sussistente un giudicato “interno”.
Deducono quindi che la dichiarazione di proprietà del terreno agricolo in Comune di ***** ha valenza unicamente nei rapporti tra l’attrice e gli iniziali convenuti e non è idonea a precludere la riproposizione da parte loro delle stessa domanda.
L’ottavo motivo del pari è privo di fondamento.
Evidentemente i rilievi formulati in sede di vaglio del quinto mezzo del ricorso principale e sulla cui base si è dato atto della rituale automatica estensione della iniziale domanda di O.G. nei confronti delle terze chiamate, rendono del tutto ingiustificato l’assunto delle principali ricorrenti, veicolato dal mezzo in disamina, secondo cui “nessuno rapporto processuale si è instaurato fra la attrice e le terze chiamate” (così ricorso principale, pag. 16).
Su tale scorta si evidenzia che la preclusione da giudicato, con effetti in un successivo giudizio, che abbia identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la causa petendi ed il petitum, non sussiste, qualora la pronuncia di merito si sia astenuta dallo statuire in ordine al bene della vita oggetto della domanda, limitandosi a dare atto, anche se erroneamente, della mancata proposizione della domanda medesima (cfr. Cass. sez. lav. 2.3.1988, n. 2217).
Ovviamente, nel caso di specie, la corte piemontese non si è limitata a dare atto, anche se erroneamente, della mancata proposizione della domanda riconvenzionale esperita in prime cure da P.T. e L.F..
Ed ha piuttosto correttamente riscontrato la sussistenza del giudicato “interno”, giacchè la P. e la L. “in questo grado hanno domandato unicamente la conferma dell’appellata sentenza” (così sentenza d’appello, pag. 25).
Con il nono motivo – spiegato in via subordinata – le ricorrenti principali denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e la conseguente nullità della sentenza.
Premettono che la corte piemontese in motivazione ha assunto che esse terze chiamate hanno eliminato la via d’accesso al fondo, sicchè ne ha ordinato il ripristino.
Indi deducono che tale circostanza non è mai stata allegata ex adverso e comunque che l’affermazione della corte non è ancorata ad elementi riscontrabili ex actis.
Il nono motivo parimenti è privo di fondamento.
Al di là del rilievo per cui, siccome segnala la controricorrente (cfr. controricorso, pagg. 23 – 24), sono state le stesse terze chiamate a prefigurare nella loro comparsa di costituzione di aver inglobato il terreno conteso nel più ampio appezzamento di loro proprietà, così evidentemente sopprimendone l’autonomo accesso, è innegabile in ogni caso che la restituzione all’avente diritto non poteva e non può che essere disposta con la condanna al ripristino dell’accesso autonomo al fondo controverso.
Per altro verso è indubitabile che il mezzo in disamina, allorchè assume che “la parte della sentenza che riguarda il “ripristino” (…) non è fondata su elementi di causa esistenti e riscontrabili ex actis” (così ricorso principale, pag. 17), si risolve in maniera inammissibile in censura della valutazione delle risultanze probatorie.
Propriamente esplicano valenza gli insegnamenti menzionati in sede di disamina del secondo motivo del ricorso principale (il riferimento è a Cass. n. 11892/2016 e a Cass. (ord.) n. 23153/2018).
Il rigetto del ricorso principale assorbe e renda vana la disamina dell’unico motivo – espressamente condizionato – del ricorso incidentale.
In dipendenza del rigetto del ricorso le ricorrenti principali vanno in solido condannate a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
B.A. e F.D. non hanno svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso principale nessuna statuizione in ordine alle spese va perciò nei loro confronti assunta.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti principali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbita la disamina del ricorso incidentale condizionato; condanna in solido le ricorrenti principali, P.T. e L.F., a rimborsare alla controricorrente, O.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019
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