Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.29241 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19024/2015 proposto da:

Banca Carime Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio 69, presso lo studio dell’avvocato Ascenzi Guido, rappresentata e difesa dall’avvocato Paolini Serena, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in Roma, Via Salaria 292, presso lo studio dell’avvocato Baldi Giuseppe, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati La Scala Giancarlo, La Scala Giuseppe, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 878/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/04/2019 da SOLAINI LUCA udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo del ricorso;

udito l’Avvocato Ascenzi per il ricorrente, in sostituzione dell’avvocato Paolini, che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato Baldi per il controricorrente, con delega, che si riporta agli atti.

FATTI DI CAUSA

I ricorrenti citavano in giudizio Banca Carime SpA esponendo che, nel quadro di un contratto di negoziazione titoli sottoscritto con l’Istituto di credito, avevano acquistato in tempi diversi obbligazioni Parmalat e Cirio che erano state emesse in Lussemburgo dalla consociata olandese e collocate da banche estere nonchè proposte dall’odierna banca nel quadro di suggerimenti all’investimento. Che solo nel novembre 2005 avevano appreso dalla stampa che i titoli acquistati negli anni 1999-2001 e nel 2003 non erano obbligazioni emesse in Italia dalla Parmalat Finanziaria SpA ma, come detto, dalla consociata estera. In tal modo, la banca aveva fatto acquistare una cosa diversa da quella ordinata dal cliente (aliud pro allo) senza fornire alcuna informazione; pertanto, la violazione delle norme imperative poste a tutela degli acquirenti di strumenti finanziari (D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 30; artt. 26-29 reg. Consob) aveva comportato l’invalidità dei contratti di acquisto dei titoli con conseguente obbligo della banca di restituzione delle somme incassate, ovvero, in subordine, la risoluzione del contratto per violazione da parte della banca degli obblighi d’informazione con condanna al risarcimento del danno pari all’importo a suo tempo pagato per l’acquisto dei titoli.

Nella resistenza della Banca, il Tribunale rigettava tutte le domande degli attori, ritenendo che la violazione degli obblighi di comportamento facenti capo alla banca non comportassero nè la nullità nè la risoluzione delle diverse compravendite dei titoli obbligazionari.

Gli investitori proponevano gravame che la Corte d’Appello di Catanzaro accoglieva, con sentenza n. 878/15 pubblicata il giorno 23.6.2015, ritenendo che l’Istituto di credito fosse inadempiente agli obblighi d’informazione previsti dalla legge, e che l’inadempimento fosse di non scarsa importanza rispetto ai contratti di acquisto dei titoli Parmalat e Cirio con conseguente fondatezza della domanda di risoluzione contrattuale e della correlativa domanda restitutoria.

Banca Carime SpA ricorre per cassazione contro la predetta sentenza della Corte calabrese affidando l’impugnazione a quattro motivi. Resistono, gli investitori, con controricorso, illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 81 c.p.c. e art. 1292 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, erroneamente, i giudici d’appello avrebbero ritenuto legittimati attivi i ricorrenti ad agire in nome proprio anche in relazione ai diritti pro-quota in titolarità dei familiari cointestatari dei titoli Parmalat e Cirio, richiamando a sproposito l’art. 1292 c.c. in tema di solidarietà attiva, avendo confuso il diritto all’azione, che è un diritto distinto e autonomo anche se connesso e strumentale rispetto al correlato diritto sostanziale.

Il secondo motivo prospetta, da una parte, il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 1, commi 1 e 5, artt. 94 e 100 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dall’altra, il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto, erroneamente, i giudici d’appello avrebbero ritenuto esistente, nella vicenda in esame, un’ipotesi di sollecitazione all’investimento nei confronti di investitori non professionali, quando si trattava di mera attività di negoziazione titoli in conto proprio, ipotesi nella quale non vi era l’obbligo di consegnare alcun prospetto informativo.

Il terzo motivo deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, del D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23, degli artt. 1453 e 1458 c.c. e degli artt. 2 e 12 dei contratti quadro per la negoziazione, la ricezione e la trasmissione di ordini su strumenti finanziari, stipulati degli odierni appellanti con la banca Carime SpA, in quanto, la violazione degli obblighi informativi poichè avvenuti dopo la stipula del contratto quadro, poteva comportare la risoluzione di quest’ultimo contratto e non dei singoli ordini d’investimento in quanto esecutivi del contratto principale, mentre, la responsabilità precontrattuale per come ritenuta dalla Corte d’Appello poteva configurarsi solo se la violazione degli obblighi informativi fosse avvenuta nella fase antecedente alla stipula del contratto d’intermediazione finanziaria, per come risulterebbe dalle pronunce giurisprudenziali riportate in ricorso.

Il quarto motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 1458 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, la Corte territoriale avrebbe omesso di ordinare la restituzione dei titoli obbligazionari, a suo tempo acquistati con i contratti risolti, da parte degli investitori all’Istituto di credito.

Il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto, risulta pacifico tra le parti che gli odierni controricorrenti siano stati gli acquirenti dei titoli oggetto di controversia. Quand’anche tali titoli siano successivamente confluiti in un deposito cointestato con altri familiari ciò è irrilevante. Ed inoltre, i cointestatari del contratto-quadro potevano agire disgiuntamente nei singoli rapporti con la banca (vedi i riferimenti, ai fini dell’autosufficienza, alla p. 11 del controricorso). Sul punto vale richiamare anche, Cass. civ. sez. VI-2 ord. n. 27417 del 20.11.2017, in tema di richiesta di pagamento dei credito ereditario, da parte di ciascun coerede, e Cass. civ. sez. III n. 14530 del 22.6.2009, in tema di richiesta di adempimento al conduttore, da parte di ciascuno dei più locatori.

Il secondo e terzo motivo di ricorso, che possono essere oggetto di un esame congiunto, in quanto connessi, sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di intermediazione nella vendita di strumenti finanziari, le singole operazioni di investimento in valori mobiliari, in quanto contratti autonomi, benchè esecutivi del contratto quadro originariamente stipulato dall’investitore con l’intermediario, possono essere oggetto di risoluzione, in caso di inosservanza di doveri informativi nascenti dopo la conclusione del contratto quadro, indipendentemente dalla risoluzione di quest’ultimo, atteso che il momento negoziale delle singole operazioni di investimento non può rinvenirsi nel contratto quadro” (Cass. nn. 16861/17, 8394/16, 12937/17, 16820/16, vedi anche Cass. ord. n. 3261/18).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha correttamente dichiarato la risoluzione dei soli contratti esecutivi del contratto-quadro aventi ad oggetto i titoli, in riferimento al cui acquisto, era stato dedotto da parte degli investitori l’inadempimento agli obblighi informativi, senza che la dichiarata risoluzione potesse coinvolgere, anche la risoluzione del contratto d’intermediazione, e, quindi, di tutti gli investimenti operati nel tempo e cioè anche quelli per i quali non era stato dedotto alcun inadempimento degli obblighi informativi da parte della banca. La ratio cui è ispirata la decisione della Corte di appello è corretta perchè le singole operazioni d’investimento hanno piena autonomia negoziale rispetto al contratto quadro stipulato dall’investitore e il requisito della non scarsa importanza dell’inadempimento deve essere valutato alla stregua della singola operazione d’investimento denunziata.

Il quarto motivo è fondato, in quanto, la restituzione delle prestazioni eseguite in corso di rapporto è una conseguenza automatica della risoluzione del rapporto contrattuale, ex art. 1458 c.c., pertanto, è dovuta la restituzione dei titoli compravenduti alla banca, contestualmente alla restituzione da parte di quest’ultima delle somme investite dai risparmiatori.

Vanno, pertanto, rigettati i primi tre motivi di ricorso, ed accolto il quarto, cassata senza rinvio l’impugnata sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., accolta la domanda introduttiva del giudizio, nei limiti di cui in motivazione.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito a seguito dell’alterno esito rispetto al giudizio d’appello, mentre le spese del presente giudizio di legittimità devono compensarsi per un quarto restando a carico della banca la restante parte.

PQM

La Corte:

rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto motivo di ricorso, cassa l’impugnata sentenza in parte qua e, decidendo nel merito, dispone la restituzione alla banca dei titoli obbligazionari relativi ai contratti risolti.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito e compensa per un quarto le spese del giudizio di legittimità; condanna, per il resto, la banca ricorrente al pagamento in favore degli investitori delle spese di lite del presente giudizio che liquida in Euro 7.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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