Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.29246 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18182/2018 proposto da:

T.K., elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dall’avv. Maria Monica Bassan che chiede di ricevere le comunicazioni relative al processo alla p.e.c.

maria.bassan.ordineavvocatipadova.it e al fax n. 049/8646524;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte di Cassazione, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA – Sezione Padova;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1107/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 4/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2019 dal Consigliere Paola GHINOY.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Venezia confermava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da T.K., proveniente dal Gambia, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. La Corte riferiva che il richiedente aveva dichiarato di temere di essere ucciso dal capo villaggio, che aveva posto in essere riti magici che avevano provocato la morte del fratello e reso meno fertile il suo terreno. Inoltre aveva aggiunto che il capo del villaggio in un’occasione l’aveva aggredito, provocandogli un trauma o una ferita alla mano. T. l’aveva spinto e l’aggressore era caduto, forse fratturandosi un braccio. A quel punto i parenti del capo villaggio avevano iniziato a cercarlo per cui lui aveva ritenuto necessario fuggire.

3. La Corte condivideva la valutazione del primo giudice in ordine alla non credibilità del racconto per la sua genericità e mancanza di coerenza e plausibilità.

4. Escludeva per tale motivo la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e di quella sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) mentre in relazione alla lettera c) argomentava che la situazione del Gambia quale risultante da aggiornate e qualificate fonti internazionali (European Asylum Support Office – EASO, Report of the Secretary – General on the activities of the United Nations Office for West Africa and the Sahel, USDOS-US Department of State, IRIN) e da siti destinati ai consigli di viaggio per turisti, risultava che il nuovo presidente del Gambia, B.A., rientrato nel paese nel gennaio 2017 ponendo fine a una crisi politica, aveva normalizzato la situazione, liberando anche molti detenuti politici, per cui non risultava l’esistenza di un conflitto armato a causa di una situazione di violenza indiscriminata.

5. Neppure ravvisava i presupposti per la protezione umanitaria, mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo ad individuare una situazione di vulnerabilità.

6. Per la cassazione della sentenza T.K. ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui gli intimati non hanno opposto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 anche in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. h-bis per la mancata valutazione della situazione del paese di origine (Gambia) e della situazione personale del richiedente ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, nonchè la mancata comparazione tra situazione di integrazione sociale e lo stato di specifica vulnerabilità.

8. Il ricorso non è fondato.

Occorre in primo luogo rilevare che il ricorrente ha sollevato censure avverso la sentenza gravata con esclusivo riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando la violazione e falsa applicazione delle norme sopra individuate in primo luogo nella parte in cui la Corte avrebbe omesso o compiuto in modo superficiale la valutazione della degenerazione del tessuto socio-politico del Gambia.

9. Tale profilo di doglianza è inammissibile. Il ricorrente, infatti, ha dedotto in modo del tutto generico la violazione delle nome di legge sopra indicate, attraverso il richiamo delle disposizioni asseritamente disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal giudice di merito. Ma questa Corte ha più volte affermato il principio, secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360 c.p.c., comma, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. 24155/2017; 195/2016; 26110/2015). “Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. 7394/2010).

10. Anche volendo ipotizzare una censura ex art. 350 c.p.c., n. 5, neppure sono indicati fatti decisivi il cui esame non sia stato compiuto dal giudice territoriale, ed anzi quanto riferito (pg. 8) conferma l’evoluzione in senso positivo del processo di giustizia transizionale, riferendosi anche della presenza in Gambia di forze militari Ecowas, il cui ritiro era previsto a metà 2018.

11. In relazione poi al profilo che attiene la mancanza di una valutazione comparativa tra la condizione del paese di origine e quella conseguita in Italia, il motivo è infondato.

12. Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (nel testo operante ratione temporis) al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

13. Non può essere dunque riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

14. Segue coerente il rigetto del ricorso.

15. Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

16. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater non risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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